Capita raramente, ma quando accade va sottolineato e raccontato. Sabato sera ho visto Il flauto magico secondo l‘Orchestra di piazza Vittorio. Spettacolo magnifico: di più, esemplare. E non tanto per il sottotesto “politico“, che pure esiste e non è secondario (anzi). Ma per altri due aspetti che provo a riportare qui.
Primo: la capacità di rielaborare un testo musicale restandogli assolutamente fedele ma facendone qualcosa di completamente diverso. Come dice Mario Tronco, alla base del progetto c’era un’idea: raccontare Mozart “come se fosse una favola tramandata in forma orale e giunta in modi diversi a ciascuno dei nostri musicisti. Come accade ogni volta che una storia viene trasmessa di bocca in bocca, le vicende e i personaggi si sono trasformati, e anche la musica si è allontanata dall’originale: è diventato Il Flauto Magico secondo l’Orchestra di Piazza Vittorio”.
Secondo: la forza e la gioia che vengono dalla condivisione e dall’adesione ad un progetto comune. Utilizzo ancora le parole di Mario Tronco: “il nostro Flauto è un lavoro collettivo, senza una vera e propria regia, più vicino a un concerto che a un allestimento teatrale. Ci sarà sempre una forte sensazione di libertà e improvvisazione, come se lo spettacolo fosse diverso ogni sera”.
E’ vero, c’era. Non capita spesso di essere coinvolti in un’ondata di entusiasmo di quella portata, che trasforma gli applausi di cortesia in urla e che fatica a disperdersi. Quando capita, ripeto, è una fortuna per chi è sul palco e, soprattutto, per chi siede in platea.
Quando sono uscita dal Teatro Olimpico, avevo in mente tre parole: così si fa. E subito dopo mi sono chiesta come mai, in narrativa, e in Italia, si faccia così poco. Soprattutto negli ultimi tempi: quando, mi sembra, i discorsi si stanno avvitando sui singoli ego e su progetti molto più legati alla visibilità personale che al legame che dovrebbe unire chi scrive e chi legge. Salvo eccezioni: poche, e comunque preziose.