Come promesso, ecco le vostre storie dai paeselli marchigiani (e anche umbri, se volete). Da oggi e a tempo indeterminato questo blog è vostro. Potete mandarmi i vostri racconti, ricordi, descrizioni, via mail (la trovate nei Contatti) oppure in allegato su Facebook, se preferite.
Si comincia proprio con un mio contatto Facebook, si firma Teresa Vispa e ha scritto quanto segue. Grazie, a tutte e tutti.
Piccolo decalogo per non marchigiani
1. Ussìta è un participio passato in romagnolo. Il paese devastato si chiama Ùssita.
2. C’è una ragione se le Marche sono al plurale: le differenze (culturali linguistiche culinarie) fra entroterra (che comincia a macerata, 20 km dal mare) e la costa sono enormi. E persino fra la costa (Portonovo- Porto Sant’Elpidio) e le cittadine sui colli le differenze sono notevoli.
3. Le Marche sono attraversate “a pettine” da fiumi che scorrono paralleli da ovest a est. Significa che ogni cittadina sul mare ha il “suo” entroterra naturale. Da Civitanova arrivi naturalmente a Macerata Tolentino Caccamo Muccia (Chienti); da Porto Recanati, Treia, San Severino, Sefro (Potenza). La distanza sembra minima, ma fra Tolentino e San Severino ci sono differenze enormi. E non è una questione di campanile. Le differenze sono maturate e si sono rafforzate nei secoli, quando proprio le vie fluviali (esattamente quelle che qui portarono i Piceni, percorse dal Lazio verso est) erano le più sicure e battute. Questo spiega il ruolo, e la peculiarità, di Camerino, posto proprio a cavallo del crinale fra le due valli, a guardia di entrambe. Ma è solo un esempio.
4. Le Marche rurali e quelle dell’industria sono due mondi separati che si intersecano. Il boom degli anni ’60-’70 (poltrona Frau, o i più recenti successi di Nero Giardini e di tutto il calzaturiero nel civitanovese) nasce da capitali accumulati con l’agricoltura, e quelli che oggi sono imprenditori hanno origini contadine non remote. Ma oggi fra l’economia di un piccolo paese come Fiastra (agricoltura, allevamento e il turismo indotto dal lago) e quella di un borgo come Tolentino, che è un importante distretto industriale, ci sono differenze che, a guardare solo le macerie, non si percepiscono. Come non si percepisce che molti di coloro che nelle cittadine hanno redditi medio-alti hanno spesso capitalizzato in case, soprattutto al mare. C’è una spaccatura fra chi ha la seconda casa (e vi ha trovato rifugio e conforto) e chi, magari anziano, non solo non ha più niente, ma capisce che non riuscirà a vedere la ricostruzione.
5. Le Marche non hanno solo paesi, hanno paesi formati da borghetti minuscoli. Acquacanina ha 121 abitanti, e 11 frazioni. Questo la dice lunga sul senso di sicurezza offerto dal regno del Papa, che in fondo consentiva ai contadini di vivere tranquilli anche al di fuori delle cinte murarie. Quattro case, una chiesa e un cimitero: la ricetta del paesello. Un paesello diffuso, sparpagliato su decine di chilometri quadrati, sempre uguale e sempre diverso.
6. A questo si aggiunge la particolare predisposizione di monaci (soprattutto francescani in cerca di solitudine) a fondare chiese e chiesette in luoghi impervi o fuori mano. È questo il patrimonio che, anche, è andato perduto. Ma si è perduto perché già prima era fatiscente (non tutto, sappiamo di Sant’Eutizio restaurato e venuto giù lo stesso). Un patrimonio enorme sì, ma spesso fatto di quattro pietre squadrate, nessun ornamento. Tracce preziose per chi? I cartelli gialli che indicavano i luoghi interessanti sono stati sostituiti da quelli marroni, ma la gente passa oltre lo stesso e visita Norcia, Assisi, Visso, i grandi (!) centri. Gran parte di quello che è morto è morto anche di incuria, e di ignoranza (compresa quella dei residenti). Luoghi carichi di storia millenaria, non toccati dalla devastazione delle guerre ma dai terremoti precedenti. Terremoti, e qualche raro incendio: ecco i nemici naturali dei paeselli.
7. Spesso i contadini del maceratese hanno trattato male, molto male, i campi e le bestie. I marchigiani dell’interno, almeno fino a una generazione fa, non sono uomini romantici sensibili alla bellezza del paesaggio. Hanno restaurato male le loro case. I vecchi edifici sono stati sostituiti o affiancati da case con portoncini di vetro e metallo. Hanno rimpiazzato i portelloni di legno alle finestre con le tapparelle di plastica. Dopo l’inizio dell’èra turistica (anni ’80), in posti come Fiastra si è costruito come se si fosse sul mare (in fondo, il lago di Fiastra serve proprio a prendere il sole e a farci il bagno). E, comunque, in genere gli edifici nuovi sono venuti su random, seguendo il gusto del geometra di turno. Solo nell’ultimo decennio si è cominciato a rispettare un po’ di più la pietra, a seguire uno stile (spesso genuinamente kitsch) che prende in prestito stilemi montagnardi facendo il verso al Tirolo.
8. Paesaggio montano bello, non sublime. Castelluccio è sublime, altri borghi sono (erano) graziosi. Altri ancora, trasudanti cacca di pecora e fumo di camino che tira male, non sono turisticamente attrattivi. Altri (Cingoli, Castelraimondo) hanno visto le loro montagne sventrate dalle cave di pietra. Altri, come Frontignano, Bolognola, Ussita, Fiastra, hanno conosciuto fra gli anni ’80 e ’90 un boom turistico fatto per metà da oriundi (perlopiù romani) che sistemavano la casa dei genitori per venirci a passare agosto (sugli Appennini la densità di sagre e feste intorno a Ferragosto è [era] pari a quella della costa romagnola), e per metà da marchigiani della costa che qui sono venuti a costruire la seconda casa. Una moda che sembra declinata (e comunque molte di quelle case non ci sono più).
9. I marchigiani non sono né meglio né peggio né più caparbi né più mollaccioni di umbri lombardi o friulani. Basta con la retorica. Spesso i marchigiani dell’interno sembrano e sono “tosti” perché abituati a combattere con un contesto naturale duro, con estati brevi, calde e spesso siccitose e inverni lunghi, freddi, umidi. E una terra secca e piena di pietre da cui al massimo puoi spremere un po’ di granaglie (per gli animali). Niente olio, come in Umbria, né vino.
10. La variante della ss. 77 oggi sembra una tragedia minore. Anzi, per fortuna c’è.
Che cosa abbiamo perso, o potremmo perdere, seguendo la memoria e un po’ la geografia:
1. Le grotte dei frati nella gola del Fiastrone. La storia dei benedettini eremiti nell’anno Mille o dei francescani dissidenti è sempre bellissima, soprattutto se raccontata durante la breve, facile passeggiata nel bosco. E passeggiando si incontrano viti selvatiche e cacchi di fico. Eredità dei frati, o di qualche contadino?
2. Le carbonaie che incontri passeggiando per la valle del rio Sacro (Fiastra). Sì, perché un carbonaio ancora c’è. Si chiama Checco, ha 90 anni circa e lo fa ancora, il carbone, partendo dalla legna di qui, leccio e roverella. A casa sua (che naturalmente non vuole lasciare) ha solo un focolare, e il tetto bucato per far uscire il fumo. Abita esattamente sopra casa mia. Lo ha visto tutta Italia, al Tg della 7, alle 20:10 del 1 novembre.
3. (Digressione a proposito della valle del rio Sacro: se si gira a destra, dopo un po’ si arriva alle cascate dell’Acquasanta, uno dei tanti punti del monte da cui una sorgente spruzza gentilmente i viandanti di acqua vaporizzata, una vera manna, d’estate. E nella valle ci sono anche le aquile. Tutto questo il terremoto non lo ha toccato, però)
4. L’abbazia di S. Maria di Rio Sacro, Meriggio, frazione di Acquacanina. Romanico purissimo, anno Mille. Una chiesa importante nella zona e che subì nel tempo alcune trasformazioni. Rimessa a posto dopo il ’97, era stata appena riaperta che già dovettero chiuderla dopo il terremoto del 24 agosto. Conteneva un crocefisso ligneo, rubato negli anni ’70, come tante cose di qui finite sul mercato antiquario. Si vocifera che il committente fosse un prelato della costa.
Aggiungo alla lista altri luoghi, per capire, per guardare:
1. Belforte del Chienti/1. Non mi risulta essere una delle località più colpite, ma è da tenere d’occhio, ed è un luogo indicativo per comprendere la complessa realtà locale. La chiesa di sant’Eustachio contiene un polittico di Giovanni Boccati dalle caratteristiche eccezionali (letteralmente). Straordinaria è la fattura del dipinto, straordinario il fatto che il pittore camerte, appartenente in pieno al primo rinascimento italiano, al pari del suo quasi coetaneo Piero della Francesca, opta in questo caso per una “moda” gotica (lo sfondo è uno sfolgorante oro) forse per venire incontro alla committenza, ancora legata a stilemi ormai sorpassati da qualche decennio (il che fa davvero del polittico una manifestazione del geniu loci maceratese).
2. Belforte/2. Di contro all’immobilismo suggerito dal polittico, una piccola azienda locale, Di Pietrantonio, si è inventato un tipo di formaggio grana, ottenuto quindi da latte vaccino, totalmente biologico, di cui riesce a fare una forma ogni tanto. Assicuro che è la cosa più divina, nell’ambito dei formaggi grana, che mi sia mai capitato di assaggiare.
3. Belforte/3: in tema di innovazione e di rottura dei canoni, basta andare nell’agriturismo vegano “La Coroncina”. La proprietaria ha ristrutturato un vecchio casale secondo criteri moderni, arredandolo in stile nordico (legno decapato anche per i pavimenti) e ottenendo un risultato straordinario, perché è riuscita a coniugare la leggibilità dell’edificio storico con le esigenze dell’ospite di oggi. Il tutto è lontanissimo dalle leziosaggini finto-tirolesi di cui sopra.
4. Infine, una delle perdite più strazianti, e purtroppo nessuno ne parlerà, perché era un edificio vuoto, brutto (tipica edilizia spartana anni ’60) e bisognoso di restauri. La cosiddetta “Dous laetitiae” di Frontignano di Ussita. Un ostello appartenente alla curia, utilizzato da tutte le parrocchie della provincia (anche da noi recanatesi, dunque) da più di cinquant’anni. Era per noi scout il luogo del campo invernale, quando non si poteva piantare le tende, e si stava in quegli stanzoni senza riscaldamento e senza acqua calda (e pensavamo che forse in tenda non sarebbe stato tanto peggio). Era il luogo dei campi estivi dei lupetti, quando erano troppo piccoli per la tenda. Era il luogo delle colonia, quelle vacanze di dieci giorni che hanno avvicinato tanti ragazzini della costa a quei monti (escursioni fisse: il Bove e i laghi di Pilato, sempre conquistati in scarpe da tennis, dai camminatori della domenica). Un luogo ancora attivissimo perché qui in provincia le parrocchie svolgono un ruolo sociale rilevante; un luogo che ha accostato alla montagna generazioni di ragazzini (anche contemporanei) per i quali è più facile fare un viaggio in macchina o in aereo che una passeggiata in un castagneto.
E’ un piccolo decalogo per i non marchigiani, che si adatta veramente a tutti, perché (quasi tutta) l’Italia dei paesi è così. Bellissime parole per descrivere questa Italia centrale e la storia degli ultimi cinquant’anni, così menefreghista nei confronti del paesaggio e dei beni comuni. C’è differenza però tra la consapevolezza generica che hanno molti sul tema della provincia italiana, e questo discorso che si fa critico, che analizza, che stigmatizza, ma non si arrende. Dopodiché se questa chiarezza l’avessero i cittadini, gli amministratori e soprattutto le aziende turistiche, non avremmo tanti problemi (terremoto a parte). Siamo anche e soprattutto in colpevolissimo ritardo nel modificare i modelli, i criteri di giudizio, i valori. Si dovrebbe e potrebbe allora ripartire dalla formazione, dall’alfabetizzazione degli adulti. I più piccoli, come si vede anche dai ricordi più forti di questo scritto, già lo hanno capito. Avrebbero probabilmente bisogno di non tornare, dopo la scuola, nelle braccia dell’indifferenza e dell’ignoranza degli adulti.