11. STORIE DAI BORGHI: PAOLA, CALDAROLA E I 23 GIORNI

Molti di voi lo sapranno già: ho accettato, molto onorata e molto entusiasta, di entrare nella squadra di consulenti di Nicola Lagioia per il Salone del Libro di Torino 2017. Perché condivido la sua idea di cultura, i suoi progetti e la sua visione, e anche quella parola “realvisceralismo”, mutuata da “Detective selvaggi”di Roberto Bolaño, che indica la ricerca di strade nuove.
Ecco, per me una delle strade che percorro più volentieri è quella che ostinatamente richiama le storie dimenticate. Sono passati ventitre giorni dall’ultima forte scossa di terremoto nelle Marche. Ci sono alcune convinzioni, fondate o meno, secondo le quali occorrono ventuno-ventitre giorni per cambiare un comportamento: abitudini alimentari o mentali, per esempio. Mangiare più frutta o imparare una lingua straniera. Ecco, in questi ventitre giorni sicuramente la quotidianità di chi è colpito dal terremoto è giocoforza mutata. E’ però svanita l’attenzione degli altri. Di qui l’0stinazione.
Di qui la strada che oggi vi porta a Caldarola, il paese che ospitò il pennello di Simone De Magistris. L’uscita per Caldarola porta al lago di Caccamo, sotto Pieve Favera. Sul lago c’è una panchina dove ho scritto molto (tutti i libri dell’eteronimo, per esempio). A Caldarola vi conduce Paola Cartechini, che ringrazio, come tutti coloro che mi stanno inviando storie (continuate, per favore: io continuo).

L’aria di Caldarola l’ho respirata fin da ragazzina. Ricordo di mattine d’estate passate a camminare tra i vicoletti stretti e ordinati, le corse fino al Castello, che quando arrivavi in cima non sapevi più se il respiro si fermava per l’affanno, o per lo spettacolare panorama che si presentava; i tetti, lo scorcio della piazza, il campanile della chiesa di San Martino, le colline verdi sullo sfondo.
Ricordo i gatti che sonnecchiavano pigri sui davanzali delle finestre, lo spiazzo davanti al convento delle suore dove giocavo a nascondino, mia nonna seduta con le amiche in piazzetta, i gelati al bar sotto le logge. I turisti che si fermavano per una foto, davvero incantati dal paesino, come quelli descritti nelle fiabe.
E poi i personaggi che lo popolavano, ognuno con le sue caratteristiche inconfondibili, dal fruttivendolo, al barista, al tabaccaio, al titolare del generi alimentari o della pizzeria, alla maestra insegnante di intere generazioni, al ragazzo disabile benvoluto e coccolato da tutti i paesani. Qui ho passato gli anni della mia infanzia e qui ho scelto di vivere e crescere i miei figli.
Storie, intrecci, momenti, tutto perso in un istante.
Ora, nella tragedia immensa che stiamo vivendo, la ferita più grande è vedere la mia gente smarrita, con poche speranze e tante macerie che fanno male agli occhi e al cuore. Quello che Caldarola mi ha insegnato, è che un paese è fatto sí di case e edifici, ma soprattutto di persone. E il loro dolore è il mio dolore, dall’amico che ha perso il lavoro e la casa, al conoscente costretto a trasferirsi altrove. Ci sono momenti di disperazione e sconforto, ma io voglio avere delle speranze. Voglio crederci con tutta me stessa, lo devo soprattutto ai miei figli e a tutti coloro che amano questo posto quanto me.

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