208. STORIE DAI BORGHI. LE PAROLE PER DIRLO: UN DIZIONARIO

Le parole per dirlo. Quante volte ci interroghiamo sulle narrazioni e sulla loro efficacia, quante volte esprimiamo il timore che reiterino stereotipi, che non arrivino al cuore delle questioni che premono sulla nostra realtà. Ora, Marco Giovagnoli ha compilato per Lo stato delle cose un dizionario che riguarda il sisma, e che è prezioso per ripartire almeno con le narrazioni stesse. Lo trovate qui. E comincia, com’è giusto, con la A di Abbandono.
Abbandono
È lo spettro che aleggia sulle aree più interne colpite dal terremoto del 2016-17, ossia il pericolo che queste zone siano destinate a non essere più abitate o quanto meno non più abitate come lo erano prima degli eventi sismici. Non che il fantasma non fosse già apparso prima del 24 agosto: gran parte delle zone terremotate sono anche quelle per le quali il tema dell’abbandono da parte degli abitanti era oggetto di riflessione e di intervento da parte delle istituzioni di governo e dell’attivismo locale, anche se poi in realtà si scoprirà che queste aree erano ancora in parte vissute attivamente. Testimonianza in tal senso arriva dalla Strategia nazionale per le aree interne (Snai) che nasce proprio come piano per il rilancio socioeconomico di territori analoghi a quelli in questione. Il tema dell’abbandono viene ovviamente rilanciato a seguito delle difficoltà di reinsediamento post-sisma e del rischio di desertificazione e diventa questione “politica” nella misura in cui lo spopolamento viene percepito come conseguenza dell’impasse nella ricostruzione o, peggio ancora, volontà precisa di “semplificare” i territori approfittando dell’evento sismico. Va segnalata anche un’altra declinazione di questo termine, un suo rovesciamento di significato, ossia il rischio dell’abbandono degli abitanti da parte dello Stato, del Governo, dei media, dell’attenzione dell’opinione pubblica etc.: dunque non persone che abbandonano, ma persone che vengono abbandonate. Cioè lasciate nella loro precarietà, nella ridefinizione coatta delle proprie sfere vitali, nell’impoverimento materiale e relazionale; colmate di (sovra)attenzione mediatico-politica in una primissima fase, ricordate poi in occasione delle feste comandate e infine lentamente relegate nel cono d’ombra del lungo e incerto processo di ricostruzione, in balia di burocrazie asettiche, lente o, parallelamente, feroci, o anche sorpassate da altre emergenze nazionali ed internazionali, etc. Due volti del rischio dell’abbandono, dunque, uno territoriale, esterno ed un altro più intimo, vitale. Entrambi potenzialmente esiziali per le aree e le comunità colpite dal sisma.

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