3. ALFABETO. ISTRUZIONI PER L'USO DEGLI INTELLETTUALI

Poi c’è l’intellettuale che decide di impegnarsi in politica. Ovvero di mettere il proprio corpo in politica oltre che le proprie parole.
Metterci il corpo significa, per esempio, andare in tribunale come ha fatto Erri De Luca, chiamato a rispondere proprio delle parole pronunciate, ed essere rinviato a giudizio, perché  l’equazione NoTav=terroristi è un must della primavera-estate.
Metterci il corpo significa, per esempio, non poterne di più delle discussioni interne sulle paludi d’autore o su chi vince o non vince lo Strega, e persino non poterne più di firmare appelli, anche se poi si firmano, per carità, vedi mai servissero a qualcosa (poco).
Metterci il corpo significa anche provare a vedere se si è utili.  Toccare con mano il meccanismo: visto che fino a quel momento lo  hai ignorato, mentre conosci bene – a differenza di quel che vuole la narrazione –  il contatto con gli esseri umani, giacché con i medesimi sei gomito a gomito non certo nelle famigerate presentazioni-di-libri-con-firmacopie, ma perché esperisci il raid quotidiano nelle metropolitane, frequenti da lustri le scuole pubbliche di periferia e gli altri genitori che portano i figli alle scuole pubbliche di periferia, vai a fare la spesa e tutto quello che fanno le persone comuni e con pochi soldi, e alla sera, naturale, frequenti i salotti. Il tuo, dove svieni sul divano alle dieci e mezza, perché la sveglia suona alle sei e tu non riesci a tirare  fiato che alle ventuno.
Dunque, prendi contatto con ciò che ignori, e ha un bel dire King, “comincia da quel conosci”, perché il meccanismo della politica tu non lo conosci. Non sai cosa sia un comitato elettorale, un mandatario, unochetitienelagenda, una testadilista. Non sai da dove si comincia, letteralmente, e scopri che tutti coloro che con il meccanismo hanno dimestichezza hanno cominciato da mesi, mentre tu sei ancora là con l’agendina aperta davanti. Non sai che in un incontro elettorale, che spesso si chiama apericena con il candidato, ti troverai di fronte a una richiesta inespressa, che  esige che tu piaccia,  e tu questa problematica non te l’eri mai posta, perché pensavi di dire le cose che hai sempre detto e nel modo in cui le hai sempre dette, e invece no, c’è questa aspettativa, in ottima fede, affinché tu metta l’accento su una parola o su un’altra perchiamarelapplauso, e il tuo pensiero si torca fino a un obiettivo che è dunque sempre quello, piacere.
Poi finisci col non pensarci più e continuare a fare come hai sempre fatto, ma questa è un’altra storia.
Dunque, gli intellettuali che fanno politica possono agire in molti modi. Possono riportare all’oggi i vecchi vizi che avevano a vent’anni, e giocherellare con le strategie da Risiko infischiandosene se invece dell’Oceania ci sono esseri umani (ma probabilmente almeno una parte degli esseri umani in questione è convinta di essere l’Oceania e di dover giocare quel ruolo). Possono essere testimoniali, e contribuire con quello che hanno: scritti e musica, per esempio, e sono quelli che ho amato di più, in questa primavera. Possono essere ingenui o smaliziati, inferociti o cinici, fare un test su se stessi o cercare di appropriarsi di un’esperienza. Tutto questo e altro ancora.
Ma anche se, come dice un meraviglioso fortiniano come Alessandro Giammei, cercano di usare la complessità come una spada, si ritroveranno nello stessa casella: gli intellettuali-che-non-sanno-niente-degli-operai-e-sono-privilegiati, perché non basta osservare, ma vivere. Puoi anche obiettare che la tua storia è diversa, che le cattedre universitarie sono roba che non ti riguarda, e pure i dannatissimi salotti (tranne quello di casa tua col copridivano Ikea perchè ha i cuscini sventrati) e che un paio di cosette non solo sugli operai, ma sugli schiavi (quelli dei call center o di Amazon o dei fast food) le hai molto vicine: non servirà. Sei in un altro scaffale, quello con l’amaca di Jep e i trenini e un bel po’ di gossip da twittare dall’amaca medesima, e la spada, facci un favore, usala per un seppuku.
Qualcuno ha chiesto, su Facebook, di raccontare cosa ci si aspettava dall’esperienza elettorale. La risposta è identica: complessità e umanità. Le ho trovate nel cammino, si sono polverizzate nella gestione seguita al traguardo. Cosa aspettarsi ora? Che qualcuno prenda in mano quella gestione con occhi e obiettivi diversi. Solo a quel punto sarà possibile decidere che uso fare della spada.
E piantatela coi salotti.

11 pensieri su “3. ALFABETO. ISTRUZIONI PER L'USO DEGLI INTELLETTUALI

  1. Bello e comprensibile. Però ho notato una cosa: gli intellettuali in politica possono essere “ingenui, smaliziati, inferociti, cinici”. Niente altro? Se si costruisce una vision a partire da questo vuoto torricelliano non otteniamo niente,i grandi del novecento che hanno ottenuto risultati da posizioni di sinistra avevano ben altro in cui credere.

  2. Bello, Loredana. (Direi che questo dopo-campagna ti è più pesante della campagna, ma hai ragione, sei nel vero, quindi pazienza; anch’io, per brevi attimi, ho sperato).

  3. Facendo parte dell’associazionismo “scomodo” comprendo perfettamente il tuo stato d’animo, Loredana. Io mi consolo così: ho dato il mio massimo contributo possibile, ho gettato il mio seme: da qualche parte attecchirà. E se anche una sola persona avrà tratto un miglioramento della sua vita perché è entrata in relazione con me (anche solo incidentalmente) e io pure in quanto entrato in relazione con lei, bene, devo ritenermi soddisfatto e fortunato. Poi, finito il tempo delle disillusioni, si riprende a combattere, sperando che un’altra vita che si incrocia con la tua possa migliorare, e tu con essa. And so on, until we die.

  4. Mi è molto difficile capire come sia possibile prima aderire a una simile brutale semplificazione propagandistica
    “perché l’equazione NoTav=terroristi è un must della primavera-estate.”
    e poi rivendicare il ruolo centrale della complessità in politica.
    A parziale discolpa della mia incapacità di comprendere porto il gran caldo torinese del dopopranzo di oggi.

  5. Loredana, lieto di sapere che i miei pochi e misurati contributi contribuiscano a un sia pur limitato momento di certezza e sicurezza. Questo suo apprezzamento mi conforta nella mia volontà di portare al suo apprezzatissimo blog un contributo di approfondimento, perché in questo nostro mondo così complesso non è possibile limitarsi agli slogan.
    Che poi la cosa riguardi la TAV è tutto sommato secondario, visto che la TAV non è tanto una faccenda di una linea ferroviaria, ma piuttosto un curioso maelstrom che attira magneticamente molta della cialtroneria, molta della superficialità, molta della sbadataggine intellettuale in giro per l’Italia e desiderose di cercarsi un ubi consitam come uno stormo di uccelli dopo un lungo viaggio migratorio.
    Ci siamo intesi quindi: basta slogan, sia sulla TAV e sia sugli altri problemi scottanti della nostra società e tanto salutare approfondimento nella complessità. E se proprio non si riesce a evitare un poco di cazzeggio a ruota libera, che anche questo è umano e in fondo inevitabile, la nosta civiltà occidentale ha inventato in proposito i mondiali di calcio, esportando con successo l’espediente a livello planetario. Quindi se propria avverte l’ineluttabile necessità di qualche banalità, si scateni con le previsioni per Italia-Costarica e lasci perdere la TAV.
    Con simpatia
    picobeta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.

Torna in alto