Ho letto – divorato, anzi- Vi perdono di Angela Del Fabbro. Se n’è parlato molto per le tematiche che affronta e per la sua protagonista: una donna che esaudisce il desiderio di morte di malati terminali costretti a sopravvivere in un corpo oltraggiato. Adriano Sofri, in particolare, ha dedicato al romanzo un lungo articolo su Repubblica.
E’ un libro che merita, per molti motivi: non ultimo, il linguaggio (la padronanza è tale da farmi pensare – forse a torto – che dietro non ci sia la mano di un’esordiente). Dico “non ultimo” e so che suona strano, quando si parla di libri: ma in questo caso il tema è quello che occupa tutta la scena.
La stessa cosa avviene, come è stato giustamente ricordato, nel romanzo di Michela Murgia, Accabadora. Vero: due autrici che hanno il coraggio di raccontare la morte costituiscono un bel segnale, dopo anni di rimozione. E’ anche vero che l’accostamento del femminile alla morte stessa (è la donna che dà la vita e la toglie) rientra in pieno nell’antico stereotipo delle Grandi Madri, al tempo spesso fertili e distruttrici. Però, come diceva giustamente Giovanna qualche giorno fa, degli stereotipi non si fa piazza pulita in un sol colpo: bisogna quanto meno iniziare ad afferrarli per poi, lentamente, riplasmarli.
Ps. A proposito di stereotipi di tutt’altro genere e spessore, e a proposito di Maya Fox: vi invito a leggere il blog di Iku, che ha segnalato questo post nei commenti. Segnalo anche questo: merita.
Vedo che l’autrice del blog, che scrive riflessioni cosi’ interessanti, e’ dell’88.
Non e’ un caso. Io ho una figlia dell’89, e seguendo lei, i suoi coetanei e le generazioni succcessive, posso dire che la fine degli anni 80 e’ stato veramente uno spartiacque.
E’ da li’ in poi che il martellante condizionamento dei media, specie tv commerciali, ha iniziato a plasmare letteralmente le menti, fin da piccoli, in un processo inarrestabile, deliberato e continuamente peggiorativo.
Da li’ in poi (sempre procedendo per generalizzazioni, e’ ovvio) abbiamo avuto bambini sempre piu’ precocemente gender oriented, smaliziati, “addestrati” nel vestiario, nei giochi, negli atteggiamenti, nelle priorita’ della vita.
Non e’ che prima non fossimo influenzati da pubblicita’ e media, anzi, noi adulti lo siamo stati fin dai tempi di Carosello e lo siamo pesantemente tuttora, pero’ avevamo qualche difesa, qualche barriera, qualche struttura mentale e culturale pregressa, qualche voce critica e/o punto di riferimento alternativo ad aiutarci: adesso stiamo sperimentando i risultati delle prime generazioni “non vaccinate”, completamente prive di anticorpi familiari, scolastici, sociali, politici, religiosi, e quindi facile preda dell’infezione virale.
La realta’ che osservo e’ uno specchio piuttosto significativo: una citta’ di provincia molto molto provinciale, spenta, conformista e grigia, in cui ho visto verificarsi questa degenerazione progressiva.
Alle elementari e al liceo mia figlia ha fatto in tempo a intravedere una situazione migliore, di un’epoca che finiva: iniziative con parrocchia e associazioni locali, comitati di genitori e insegnanti, manifestazioni di svago e culturali, alle elementari, fermenti, discussioni, assemblee, rappresentanti di istituto svegli e motivati, al liceo. Poi, gia’ dal secondo anno, il baratro, il nulla, l’indifferenza.
Ora lei stessa mi parla sgomenta delle ragazzine piu’ giovani e dei loro atteggiamenti.
Ma io non sono del tutto pessimista: gli anticorpi prima o poi si possono sviluppare, anche in ritardo, e le generazioni che hanno dato origine ai vari movimenti che han cambiato la storia non e’ detto che fossero molto piu’ “impegnate” in partenza. I giovani son veloci a cambiare, veloci ad assorbire.
Dipende tutto dalle spinte esterne. Ora non e’ che viviamo un momento tanto tranquillo e consolidato. Chi vivra’ vedra’, secondo me. Nel bene o nel male, non saprei dirlo, ma il cambiamento arrivera’.
E noi, noi in prima persona, come possiamo ‘aiutare il cambiamento’?
Io che ho 26 anni e ho studiato in un collegio universitario, ho potuto seguire con attenzione l’arrivo delle ultime generazioni di ‘matricole’, ragazzi ma soprattutto ragazze nati verso la fine degli anni ’80. Sempre generalizzando, è ovvio, sono rimasta sbigottita dalla totale mancanza di punti di riferimento in queste ragazzine, dedite esclusivamente alla cura dell’aspetto fisico e ad intrecciare effimere relazioni con svariati ragazzi, il tutto condito da pianti in pubblico, grida isteriche di gioia, effusioni eccessive… E nei casi peggiori, questa è la SOLA occupazione di queste ragazze, che dovrebbero avviarsi a diventare donne. Per lo meno i maschi hanno il calcio, le automobili, qualche passione capace di portarli fuori da se stessi. Le ragazze no. Neanche studiano, neanche pensano, se non in termini di romanticherie finte e sdolcinate, vivono di emozioni evanescenti.
Insieme a molti amici ho riflettuto su come sia possibile cambiare le cose, creare un minimo di consapevoilezza in queste persone, e il risultato è sempre lo stesso: non c’è capacità di comunicazione, e noi, io e i miei amici, che ci crediamo tanto più colti, profondi e seri, in fondo ci parliamo addosso, e troviamo soddisfazione nel darci ragione a vicenda. Come se si venisse da un altro pianeta: non c’è un terreno comune su cui stabilire una vera comunicazione.
Come aiutare il cambiamento?
Non so, certo e’ difficile farlo con il dialogo, si rischia sempre l’effetto paternalistico, con il distacco e la diffidenza che ne consegue. (A parte il discorso genitori-figli, dove si puo’ e si deve tentare sempre di parlare e spiegare).
Io credo che l’eventuale svolta verra’ da se’, sara’ trascinata dagli esempi, da episodi, da emulazione positiva, aggregazione spontanea, solidarieta’ improvvisamente ritrovata su temi comuni.
Generalizzare va bene per l’analisi, ma la sfiducia e lo scetticismo che ne derivano non aiutano, cosi’ come non aiuta rimanere alla superficie e alle apparenze, facendosi ovviamente prendere dallo sconforto.
Forse si dovrebbe ripartire, non dai massimi sistemi, ma dai movimenti locali, dai piccoli problemi della societa’.
Soprattutto, qualcosa che abbia apparenze concrete e apartitiche, perche’ parte del disimpegno esistenziale trova linfa anche, non del tutto ingiustificata, in un rifiuto totale di tutto cio’ che abbia a che fare con le ideologie presenti e passate.
Cosa fanno i genitori?
Be’, io vi dico cosa faccio io.
L’altra mattina, porto Sara (5 anni dopodomani) in classe, scuola materna.
A un suo amichetto (faccia da birbante, simpaticissimo) cade una cosa a terra. Naturalmente, dato che lui è maschio e dare ordini è nella sua “natura” (leggesi “cultura”: ho conosciuto sia la madre che il padre, un quadretto desolante: Lei tanto gentile e remissiva, lui simpatico egolatrico autoreferenziale), il bimbo, dicevo, ordina a mia figlia: “prendilo!”
ho detto “ordina” non a caso. Era un ordine, non una richiesta. Sara non capisce subito, lui lo ripete, perentorio (e aggiungo, con un musetto simpaticissimo): “prendilo!”
Sara, che è bimba bene educata, sta per abassarsi. Io con calma le fermo la mano e dico: “Giovanni: come si dice?”
Lui mi guarda e non capisce. Lo aiuto
“Prendilo, per…?” mi guarda, muto. “Io: “per…?”
Lui non sa cosa sto dicendo. Non ostante tutti i binbi attorno (ma sopratutto le bimbe) dicono sottovoce, come per aiutarlo: “Per… favore”
Ma lui no. Non chiede per favore, perché dovrebbe? E’ maschio, è nel suo diritto.
(faccio notare che era presente la giovane neoeducatrice che non diceva nulla, che non ha neppure capito dove fosse il problema).
Insisto, ma con calma, col sorriso sulle labbra: “Prendilo, per…?”
Niente. Silenzio (ma non di paura, non di terrore, intendiamoci: conosco il bambino da tre anni, e ci gioco tutte le volte. Era un silenzio di chi non sapeva cosa stessi chiedendo).
Allora ho detto a mia figlia Sara: “Amore, Giovanni non ti ha chiesto per favore, quindi tu non devi prendere nulla.”
Poi l’ho sollevata e le ho dato un bacio sulla guancia. Quando era a portata d’orecchio le ho detto sottovoce: “Non prendere mai ordini da nessuno. Meno che mai da un uomo.”
Giovanni è una birba simpaticissima. Se potessi, però, prenderei a calci nel culo il padre, da qui fino a casa sua. E anche la madre, così banalmente remissiva e “materna”.
Non vi dico cosa farei alla neoassunta che candida mi dice che non s’era accorta di nulla (“come sempre”, volevo aggiungere, dato che queste scene le vedo spessisimo a scuola).
Troppo cagacazzi?
Ancora molte, troppe persone pensano che l’atteggiamento del piccolo Giovanni e del suo babbo e della sua santa mamma sia naturale. E non parlo di pecoroni senza la licenza elementare, ma di laureatissimi, di insegnanti, di professionisti che neanche votano fiammatricolore ma il PD – per intenderci.
Il discorso ha sicuramente molte prospettive, molte culture retrograde (da quella del padre di Giovanni a Maya Fox) che premono da lati diversi ma che legate da un fil rouge.
Cerchiamo un modo per liberarci, parliamo semplice alla gente semplice, e almeno per le strade, indignamoci, come ha fatto Biondillo.