6. CONTRO LA VIOLENZA: DISCUSSIONE

Ultimi interventi dell’incontro contro la violenza sulle donne fra alcune rappresentanti di SNOQ e Lorella Zanardo. Vi riferirò direttamente del prossimo.
Cinzia Guido
Premetto che ciò che penso è permeato dal mio essere una donna del Sud, anzi una bambina che è diventata donna al Sud.
Diventare donna ha per me significato vivere una violenza quotidiana, fatta di parole, sguardi, ammiccamenti continui, fino ad arrivare agli inseguimenti per strada, alle mani che escono dalla macchine per toccarti. Ho “nascosto” la mia femminilità per anni per difendermi da questo e diventare donna è stato per me un po’ una violenza.
Eppure, rispetto all’oggi, ricordo una maggiore condivisione su questo tema. Nel mio liceo conoscevamo le ragazze che avevano subito violenza, avessero o meno deciso di sporgere denuncia, e verso di loro c’era un sentimento collettivo di solidarietà. Non ho gli strumenti per valutare appieno, ma mi sembra che questo oggi manchi.
Per andare indietro e provare a leggere le cause, sicuramente anche per me uno degli aspetti da analizzare è il rapporto con la madre.
Nella nostra società il modello di madre proposto è quello di una madre sempre presente, che risponde e appaga tutti i bisogni del bambino. Un modello che ha avuto paladini in ogni area culturale qui in Italia e non solo, da Giovanni Bollea, così amato dalla sinistra, alla Chiesa Cattolica, che nell’enciclica Mulieris Dignitatem ha sì restituito dignità alla donna, ma all’interno di un disegno in cui la sua vocazione è “prendersi cura”.
Questo modello è talmente POTENTE che di recente una giornalista inglese che vive in Italia ha invitato le donne a dire ai propri mariti di farsi stirare i vestiti dalle loro madri. Non dunque imparare a provvedere a se stessi, ma continuare a chiedere ad una donna di occuparsi di loro!
Anche le donne hanno il loro peso nel perpetuarsi di questo modello, a me sembra di vedere tante di noi poco inclini a rinunciare al potere all’interno delle relazioni familiari: si preferisce giocare il ruolo di Ape Regina, negando al maschio qualunque ruolo di accudimento nei confronti dei figli.
Questi figli che diventano poi uomini, vivono permanentemente nel ricordo di questa madre così presente e disponibile nei confronti di ogni richiesta, di ogni bisogno.
Di fronte a questo modello, il sottrarsi della donna che compie una scelta di rottura della relazione affettiva è vissuto come un venir meno a ciò che è naturale, legittimo, dovuto. La risposta maschile è la negazione della soggettività femminile attraverso la violenza, negazione che si spinge fino all’omicidio: senza di me tu non PUOI vivere.
Un altro aspetto è io credo legato al fatto che mentre noi donne ci siamo ridisegnate un ruolo, anche se con tanta fatica, a partire da noi, da ciò che siamo e vogliamo attraverso un percorso lungo e condiviso, gli uomini si sono trovati ridefiniti nel loro ruolo a partire dal nostro cambiamento.
Non quindi un percorso scelto e consapevole, ma un’azione “di rimessa”: è come se fossero un po’ venuti a rimorchio. Per questo trovo fondamentale che il percorso che vogliamo fare sia fatto insieme agli uomini.
Giorgia Serughetti
Credo che la nostra azione contro la violenza debba tenere conto di due considerazioni. La prima, è che la violenza maschile nasce all’interno della costruzione della mascolinità, degli immaginari maschili, del rapporto tra genere maschile, desiderio, potere. La violenza esprime più precisamente il crinale particolarmente problematico sul quale gli uomini si muovono nella costruzione della loro identità di genere e nella relazione con il femminile: incapaci di conformarsi a modelli tradizionali, per i quali non dispongono più delle risorse materiali (lavoro sicuro, reddito…) né simboliche (il linguaggio del virilismo) del passato, ma anche incapaci di ricostruire i propri modelli sulla base della reciprocità, della parità, della libertà dei due generi nelle relazioni intime, private, economiche, politiche. Gli uomini violenti portano a una consistenza brutale, deviante, patologica, ciò che si annida però nella normalità di una mascolinità in transizione. Perciò un’azione capillare ed energica contro la violenza non può prescindere dal alleanza con gli uomini, il movimento degli uomini anti-sessisti e molti altri uomini disposti a ripensare con noi il maschile e le relazioni.
La seconda considerazione complica la prima. La violenza è scandalosa, indicibile, perché riguarda il nostro privato, il privato, l’intimità di tutte e di tutti. Ma la soluzione non può essere, o non può essere solo, privata, legata all’educazione, alla consapevolezza di uomini e dinne rispetto alla forma e i contenuti delle relazioni. La violenza ha un riflesso pubblico che complica la cosiddetta “crisi” del maschile. Le donne sono più padrone dei loro corpi di quanto lo siano delle loro rappresentazioni: una chiave della violenza contemporanea sulle donne credo sia nella rappresentazione di perpetua disponibilità delle donne, sessuale ma anche affettiva, relazionale, di cura. Uomini che non sviluppano nuovi modelli forti e consapevoli di relazione con il femminile, ma solo modelli reattivi o in alternativa vittimistici, trovano nella fantasmagoria delle immagini, delle rappresentazioni dei corpi femminili e del potere maschile un sostegno ideale ai modelli tradizionali. In questa contraddizione sta una radice fondamentale, credo, del comportamento violento. Su questo terreno della rappresentazione l’azione deve essere pubblica.
Licia Conte
Con il 13 febbraio abbiamo rivendicato la nostra dignità: non siamo cose o pezzi di carne. Questo abbiamo detto e il popolo italiano ci ha capito.
Nell’andare alla radice della violenza che quotidianamente colpisce le donne ci apprestiamo a indagare sulla ragione più profonda e antica della disparità. Gli uomini hanno segregato le donne semplicemente perché più forti fisicamente, esercitando il dominio, quello più brutale, quello fisico.
Nei vari processi di civilizzazione che si sono succeduti nelle culture umane questo fatto è poi rimasto in ombra, occultato. Ma quando l’ondata civilizzatrice perde vigore le donne tornano a soffrire di più: si fa più pesante l’oppressione anche fisica. I processi di civilizzazione infatti hanno sempre al centro le donne e la loro condizione.
Nel nostro Continente il riscatto dai secoli bui si palesò con l’avvento e poi l’affermarsi della cultura “cortese” del “dolce stil novo”. Menestrelli e poeti cantavano le lodi delle signore dei castelli medievali, che del resto erano spesso assai più istruite dei loro consorti. La promozione femminile non fu però indolore: la donzella medievale consegnava al suo paladino la stessa sua difesa fisica, oltre che quella del suo onore, e ne accettava di fatto la tutela.
Da solo 150 anni circa le donne cercano di scrollarsi di dosso questa tutela, ma la partita non è certo chiusa. Nelle mentalità maschili più fragili e primitive la questione può porsi ancora in questi termini: se non ti sottometti, ti sottometto e se non ho più dalla mia il diritto faccio ricorso all’arma di sempre: la mia forza che è superiore alla tua.
Perciò solo andando a disvelare questi meccanismi si può sperare di avviare un vero, ampio e straordinario processo di nuova civilizzazione umana, che veda al suo centro l’uomo e la donna alla pari, mettendo da parte una volta per sempre l’idea che la forza fisica sia la ragione più grande che gli uomini hanno a disposizione. Anche perché non è vero: gli umani sanno di aver sconfitto altri viventi con la forza della ragione e non con la ragione della forza.
Lorella Zanardo
Com’è andata con SNOQ?
Mi avete scritto in tante/i chiedendo com’è andata con SNOQ. In breve: all’ennesimo episodio di violenza contro una ragazza, ho scritto un breve post e due righe a Cristina Comencini di SNOQ chiedendo di condividere una riflessione su cosa fare e come eventualmente farlo, per fermare questo devastante femminicidio. C’è un grande fermento sul territorio, incontro ovunque vada donne e ragazze che formano associazioni, che si uniscono per combattere la misoginia italiana, “colpo di coda del patriarcato”. C’è però una frammentazione di sforzi che pare dispersiva: molti obiettivi potrebbero forse essere raggiunti più facilmente se si unissero le forze su obiettivi specifici, continuando poi il proprio cammino autonomamente.
Con questo desiderio ho incontrato a Roma alcune rappresentanti di SNOQ tra le quali Cristina Comencini Francesca Izzo, Lidia Ravera e altre.
L’incontro è stato utile perché mi ha evidenziato ciò che scrivo spesso: il web per informare ma gli incontri reali per conoscersi realmente e provare a cambiare. Voglio dire che spesso la rete dà adito a malintesi, che potrebbero talvolta essere chiariti attraverso discussioni “dal vivo”.
Tutte siamo state d’accordo nel condividere dolore e preoccupazione per i dati allarmanti sulla violenza. Unanime però è stato anche il sentimento di incertezza su come reagire. Sembrava infatti a tutte noi presenti che, nonostante l’emergenza esista e la consapevolezza parrebbe anche, organizzare ora una manifestazione nazionale su questo tema potrebbe non dare i risultati sperati. Non tutte le donne sono consapevoli del problema ma ancor più molte donne sembrano impaurite a prenderne atto, quasi che confrontarsi con questo tema le “fragilizzasse”.
Ci si chiede dunque se una possibile manifestazione potrebbe raccogliere un numero di donne significativo. Il mio contributo si è focalizzato sul raccontare come in rete e sul
territorio la voglia di reagire si manifesti con la richiesta di aderire ad una protesta, che non sempre significa una grande manifestazione. Flash mob davanti ai Palazzi di Giustizia, performance che inscenino la violenza, condivisione nazionale di un simbolo di protesta, come poteva essere stata la bandiera della Pace anni fa.
Certo è che gruppi diverse di donne “sentono” il problema della violenza in modi diversi e hanno necessità di esprimere con modalità diversificate. A mio avviso questa potrebbe essere una ricchezza, più difficile da organizzare ma forse con più possibilità di essere ascoltata perché indirizzata in modo specifico a gruppi di riferimento variegati e diversi per età, idee politiche, desideri.
Fondamentale mi è parsa la proposta che ho raccontato e che mi era stata formulata da una rappresentante di FaS il giorno prima dell’incontro: all’emergenza violenza che si manifesta nel Paese si può e si deve rispondere con un’immagine ed una rappresentazione POSITIVA FORTE E SICURA delle DONNE.
Sinora la protesta si è manifesta attraverso campagne che raffiguravano donne picchiate e offese, fiaccolate che manifestavano il dolore attraverso immagini di donne violentate e uccise, interviste a donne che avevano subito violenza: tutte azioni fondamentali senza le quali oggi non ci sarebbe nemmeno la consapevolezza che fortunatamente alcune hanno. Oggi può essere arrivato il tempo di mostrare le donne con la loro forza, con la loro capacità di reagire, con i progressi che stanno facendo nella società anche tra mille difficoltà: una rappresentazione che comunichi coraggio energia e possibilità di farcela alle tante donne che subiscono perché impossibilitate o incapaci di reagire, ma anche al Paese intero. Una idea dunque di donna non fragilizzata dagli eventi ma pronta alla protesta,capace di reazione e forte e positiva.
Su questa possibilità ci si è tutte ripromesse di riflettere con interesse. Unanime è stato anche il desiderio di accogliere gli uomini nel disegnare una reazione futura.

7 pensieri su “6. CONTRO LA VIOLENZA: DISCUSSIONE

  1. Io no, un’altra manifestazione non la voglio, non è la cosa più urgente. Come se ci fosse bisogno del plebiscito per fare un po’ di democrazia: no io vorrei un manipolo di competenze, tra quelle maggiormente implicate, e una serie di proposte concrete partorite da quelle competenze.

  2. La violenza sulle donne può essere eliminata (vedi la educazione/mentalità maschilista unica con cui tutti i bambini/e vengono cresciuti…) solo con la PREVENZIONE! Occorrono (da PROPORRE subito) corsi di educazione sessuale/prevenzione nelle scuole, e soprattutto nelle UNIVERSITA’ (tutte le facoltà: come sono oggi formati gli educatori, giornalisti, pubblicitari, psicologi, sociologi, medici, sessuologi ecc.): Per educare i ragazzi e le ragazze:
    – a rispettare, amare e far felice il proprio partner
    – ad essere capaci di prendere liberamente decisioni autonome e responsabili su come vivere la propria vita sentimentale e sessuale
    – alla prevenzione degli stupri, molestie sessuali e violenze/discriminazioni contro qualsiasi persona e a non farsi condizionare dai mass-media e pubblicità che usano il corpo delle donne come oggetto sessuale
    -ecc…
    Sono disponibile per collaborazioni…

  3. Come ho avuto modo di spiegarle in privato, dottor Puppo, concordo sull’analisi, ma non su quella che può configurarsi come una forma di pubblicità. La ringrazio per il contributo

  4. Quale pubblicità? Scrivere: Sono disponibile per collaborazioni… è pubblicità? Commenti e proposte (e metto a disposizione tutto il mio lavoro…) per la prevenzione (questo è il mio campo professionale) delle violenze sulle donne per lei è pubblicità? Le interessa o no il mio lavoro/proposte/ecc per cambiare questa società maschilista?
    PS: e le collaborazioni sono gratuite (almeno da parte mia) con chiunque interessi fare qualcosa…

  5. E allora cercherò di essere ancora più chiaro: a me non interessa fare “analisi” ecc, ma “fare” e Proporre qualcosa di concreto subito (e anche senza il mio nome)! Oltre alla prevenzione come ho scritto sopra in scuole e soprattutto università per combattere l’educazione maschilista unica…, io sto proponendo, dopo aver letto dell’ultimo V-day (sui monologhi della vagina), anche uno “spettacolo teatrale” a donne/attrici/registe dal titolo “i monologhi della vulva” e a chi interessa praticamente è già pronto! Vagina e orgasmo vaginale sono termini sfruttati dai maschilisti per “rinforzare” la mentalità e le violenze contro le donne… Mi hanno chiesto: Perché non si deve usare “vagina” per gli organi genitali esterni?
    1- La negazione (e ignoranza) del piacere femminile serve per controllare la sessualità femminile e avere “potere” sulle donne: l’orgasmo vaginale è stato inventato 100 anni fa (senza basi scientifiche!) per fare accettare alle donne il loro ruolo sociale (Laqueur 1990) e la loro inferiorità…
    2- L’orgasmo femminile è sempre scatenato dalla stimolazione della vulva (clitoride, piccole labbra ecc…): vagina (organo riproduttivo, presente anche nei maschi nella prostata…) sta a Vulva (organo del piacere) come oggetto sessuale sta a Persona e le violenze sessuali hanno come base la “cultura del buco”…
    3- Chiamare le cose con il loro vero nome è importante (altrimenti NON esistono): le donne non si devono più vergognare della vulva… la conoscenza è libertà (il Potere delle Parole!): vulva-clitoride-piccole labbra sono termini che devono usare tutte le ragazze/donne (inoltre è importante anche per i ragazzi/prevenzione violenze…) e i monologhi della vulva potrebbero contribuire/servire alle donne per “liberarsi” (stesso discorso per i maschi che non sanno niente della vulva!)… è già pronto, quindi: a chi interessa farlo e portarlo in giro per l’Italia? Aspetto le vostre risposte alle mie proposte (che chiaramente possono essere migliorate ecc con il vostro contributo).
    PS: da usare anche “ovaie”: perché le donne devono usare i termini maschili (che confondono già da piccole le ragazze!) come “palle/ca–o/ecc”???…

  6. Mi trovo d’accordo col Dr. Puppo: purtroppo si spende tanto denaro in tante sciocchezze o cose futili nella nostra società
    ma non nella prevenzione e nell’educazione dei ragazzi, che tanto potrebbe risolvere a monte di questi gravissimi problemi.
    Un paese in cui una donna muore un giono si uno no sotto i colpi del suo uomo non è un paese civile,
    e un paese che circoscrive queste continue insopportabili violenza a “problemi della coppi” o “delitti passionali” laddove trattasi di prblemi di tutto il Paese e delitti di misogninia, non è un Pease libero e democratico.
    Qualsiasi persona dedichi la propria vita a risolvere questi problemi e ad aiutare le vittime di tali soprusi è da incoraggiare e sostenere.
    Fra l’altro, dubito che un medico che eserciti in questo ambito necessiti di pubblicità.. non è mica un chirurgo plastico…

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