9. STORIE DAI BORGHI: ROSARIA E DI NUOVO CLARA

C’è una cosa che mi colpisce, e non colpisce solo me. E’ importantissimo, e va incrementato, il dare visibilità ai prodotti delle Marche. Ma le Marche non producono solo caciotte e ciauscoli e lenticchie e scarpe. Producono arte, producono cultura, musica, libri. E ancora, cammini, paesaggi, storie. E ancora, senso di comunità. E ancora, come scriveva ieri Maurizio Serafini (che con Luciano Monceri si destreggia tra il Montelago Celtic Festival e i cammini francescani e la musica e miliardi di altre cose):”Le case probabilmente si ricostruiranno ma il rischio più grande è che l’anima di questi luoghi rischierà di estinguersi. Arriveranno sicuramente finanziamenti dall’alto e mega progetti per trasformare le macerie in gioiellini per turisti facoltosi (come è già successo per la Toscana) ma vuoti di un’anima secolare. Allora dico: non lasciamo le chiavi del nostro cuore a chi concepisce un territorio solo come investimento economico; dico ai giovani: non abbandoniamo la nostra storia solo perché attratti dalle comodità e dai servizi della costa dove vi siete rifugiati. Dico: ricostruiamo la nostra cultura perché è solo la cultura che combatte le macerie della nostra anima. Uniamoci e cominciamo a parlare della nostra storia. Montelago Celtic Festival ci sarà anche ad agosto 2017 senza rischio di crolli perché il popolo di Montelago sta in tenda e sarà la festa dei terremotati e sarà la festa che accoglierà associazioni, giovani, amministrazioni comunali, imprenditori del cratere per decidere tutti insieme come non disperdere il nostro patrimonio culturale. Siamo già tanti ad attivarci per questo progetto. E tanti, sono sicuro, arriveranno. Sentirete spesso parlare di terremoto culturale, di EPICENTRO”.
Così è. Nell’attesa, continuate a mandare storie, via mail. Come quella di oggi,
scritta da Rosaria Gasparro. Sotto, di nuovo quella di Clara Schiavoni.

Rosaria Gasparro
dov’era
chiedi al tremore e alla pioggia dove vanno i fantasmi senza casa chiedilo alla polvere e al silenzio dov’era la sicurezza perché incompiuta quando a suo modo l’ineluttabile sprofonda e rompe e nella grandezza di un attimo si sbriciolano i millenni
castelluccio ussita norcia chiamali per nome uno per volta i paesi da portare in vita chiedi dov’era il potere di salvarli chiedi conto dell’arte perduta dei crolli di basiliche e stanze verdi degli anziani e dei bambini i morti e i vivi delle loro paure della notte che si allunga delle case dei santi e degli uomini degli animali soli di come risorgere con la fioritura delle lenticchie dal sepolto dei numeri
chiedi alla terra di questo suo gioco indifferente che ritorna respiro di croste e rovine che scuote il nulla delle cose l’insignificanza delle piccole vite figli che non imparano di nuove e antiche faglie
chiedi i luoghi della fiducia i legami fondanti tra le pietre e gli uomini spalanca le finestre sui prati di fiordalisi fanne il tuo borgo dell’anima prendi il tremore e fanne un pensiero lungo e leggero costruzione responsabile dov’era.
Clara Schiavoni
L’amore che mi lega alle terre marchigiane colpite dal terremoto è profondo e, pur essendo nata a Tolentino, si è irradiato in me a partire dal 2011 quando ho iniziato a viaggiarle in lungo e in largo per visitare cittadine, rocche e castelli guidando su strade quasi solitarie tra le colline boschive con i loro verdi di cui riuscivo a contarne sempre sette.
Lasciato alle spalle Tolentino, direzione Camerino, cominciavo a respirare meglio, una sensazione di benessere mi invadeva, sempre, e tra quelle colline mi sentivo a casa. Il mio era un ritorno e questa sensazione mi meravigliava alquanto mentre vivevo una magia unica.
Arrivata in località Sfercia emozione grande osservare lo sperone roccioso che si proietta verso il cielo ed è la formidabile base su cui svetta Rocca Varano: roccia e rocca inattaccabili, lavoro della natura e dell’uomo, un tutt’uno che si staglia nel cielo, circondato dal verde dei boschi. La forza che l’immagine sprigiona è grande mentre sposti lo sguardo sulle pareti rupestri coperte di cespugli di terebinto, forti lecci e la rosa di san Giovanni e poi i versanti meno ripidi dove il carpine nero dilaga insieme all’ornello, allo scotano e al ginepro.
Ripresa la strada per Camerino, dopo pochi chilometri cominciavo a intravedere la città protetta dalle sue mura e i versi del Betti mi venivano alle labbra”…La si vede quasi con meraviglia, uscendo dai monti, sul cucuzzolo di un colle, eminente, isolato. Un forestiere che salisse tra la nebbia se la troverebbe davanti come un’apparizione…Il suo profilo lontano esprime un destino di signoria…”
Ho soggiornato a Camerino per un lungo periodo percorrendo “le vie strette, molto pulite, talune assai ripide” insieme a Giuseppe de Rosa; visitando Palazzo ducale insieme a Pier Luigi Falaschi, sognando sugli spalti di Rocca Varano dove sono ritornata più volte con Luigi Vannucci che ne è stato, e ne è tuttora, talmente innamorato da essersi costruito la casa, la sua “château varanò″ a pochi metri dalla rocca.
Ho conosciuto persone, diventate poi amiche, che hanno un amore viscerale per la loro terra, che me l’hanno mostrata con i loro occhi innamorati e forse il loro sentimento mi ha inondato come è stato anche a Visso con Valerio Franconi, strada dopo strada, vicolo dopo vicolo fino al mastio sul monte che sovrasta la cittadina.
Come è stato in quasi tutte le località colpite dal terremoto.
Vorrei spazzare via la terribilità dell’oggi e rivedere d’incanto questi luoghi amati come erano.
Il dolore che ci attanaglia è immenso, il cammino per la rinascita sarà lungo, ma le nostre genti ce la faranno!
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