Domani si parte per RavennainOnda, la festa di Radiotre. C’è un appuntamento fra gli altri che mi è caro: il debutto della versione live di Omissis, domenica 2 ottobre alle 11 al Teatro Alighieri. Perché raccontare con voce e corpo, in presenza, la storia di Graziella è importante per me, e spero lo sia anche per chi ascolterà. Omissis-live avrà altre tappe ancora da precisare e di cui vi informerò. Le cinque puntate del podcast sono disponibili qui.
Qui sotto, invece, l’articolo che ho scritto per La Stampa lo scorso 2 settembre, e che ricapitola sinteticamente la storia.
A domenica, per chi ci sarà.

Gli anni, pochi, che misurano la vita di Graziella De Palo sono anche gli anni più controversi, e tuttora non raccontati fino in fondo, del secolo scorso. Il suo tempo termina nel 1980: il 2 settembre Graziella esce dall’Hotel Triumph, nella zona Ovest di Beirut, insieme all’ex compagno e collega Italo Toni. Sono in viaggio dal 22 agosto, ufficialmente per un reportage sui campi palestinesi. Poco il bagaglio. Di Graziella verrà restituito solo un taccuino rosso e qualche carta: una mappa, appunti su una proposta di legge di Falco Accame sulla soppressione di traffici sporchi nei porti italiani, un bloc-notes con indirizzi e nomi e un’intervista con Nayef Hawatmeh, leader del Fronte democratico liberazione Palestina.
E un paio di scarpe d’argento col tacco che Graziella non avrebbe mai indossato: perché da quando la vidi per la prima volta, nel dolce autunno del 1970, con il sole che le illuminava i capelli nell’aula di una scuola cattolica romana, si vestiva con rigore. Scarpe basse, loden, gonne a pieghe, jeans, cardigan grigi, un cerchietto che abbandonò presto. Il rigore, invece, non lo avrebbe mai abbandonato.
Fu proprio all’insegna del rigore che costruì gli articoli, cinque, scritti per Paese sera: nell’ultimo, aveva raccontato che in Italia esistevano mercanti di armi incensurati e protetti dai servizi segreti. In dettaglio. Sei elicotteri Agusta venduti ai libanesi, ma mai arrivati a destinazione. 500mila armi portatili, a 40mila pezzi per volta, che passavano dalla fabbrica Beretta, via Bulgaria, fino in Medio Oriente. I servizi segreti, scriveva, sostenevano società di comodo tricolori che rifornivano la Libia di armi. Su tutti, parlava del colonnello Stefano Giovannone, nome in codice Il Maestro. C’erano dieci nomi, su uno dei taccuini di Graziella. Ex alti ufficiali, colonnelli e generali, passati a dirigere società di navigazione, di telecomunicazioni e di autotrasporti: coperture per agevolare le spedizioni di armamenti.
E’ vero, sembra impossibile che questo avanzare nel cuore di tenebra dell’Italia sia stato il compito di una ragazza che aveva compiuto 24 anni dieci giorni prima che un aereo precipitasse nel mare di Ustica. Ma quelli erano gli anni in cui la giovinezza posava uno sguardo lucidissimo sul mondo: Andrea Purgatori, che di Ustica si occupò, aveva 27 anni quando raccolse la telefonata di un testimone che gli disse che no, quello non era un incidente qualsiasi. Si cominciava presto: Graziella, suo fratello Giancarlo e io avevamo fondato un giornalino autoprodotto, oggi si chiamerebbe una fanzine, che si chiamava Parliamone insieme. I giovani raccontano il mondo, era l’idea: noi ragazze avevamo 15 anni, Giancarlo 16.
Non era possibile, del resto, sfuggire al mondo. La sera del primo bacio (il 1973, avevamo 17 anni) uscivamo dal cinema: avevamo visto, con i nostri neo-fidanzatini, Film d’amore e d’anarchia. Il cielo era pieno di stelle: una di quelle stelle precipitò nella stessa sera. Si chiamava Argo 16, il nome in codice di un aereo Douglas C-47 Dakota, ed era il mezzo con cui Gladio trasferiva uomini e armi in Sardegna, e che aveva riportato in Libia un gruppo di terroristi arabi accusati di progettare un attentato alle linee aeree israeliane. Era uno dei modi in cui agiva il lodo Moro, il patto di non belligeranza stipulato segretamente fra Italia e Medio Oriente: restituzione degli arrestati in cambio dell’impegno a non commettere attentati in Italia.
Di questo, all’epoca, non sapevamo nulla. Ma era difficile non voler sapere, in quegli anni: che non erano solo quelli delle manifestazioni per il Cile (la prima a cui andammo insieme, mano nella mano) e della musica di Bob Dylan. Per noi erano, per esempio, gli anni delle riviste: non quelle di moda (quelle sarebbero venute dopo, quando gli anni Settanta erano finiti e il decennio successivo, dopo l’orrore del 1980 e delle sue stragi e dei morti per il terremoto dell’Irpinia, realizzava quel che aveva promesso: leggerezza) ma Il Mondo, e L’Espresso. Sul Mondo leggevamo del Partito radicale, del divorzio, dell’aborto. Ci sembrava il modo giusto per avere vent’anni: così, in una mattina di gennaio del 1976, bussammo a un portone di via di Torre Argentina, e da quel momento la nostra vita cambiò. Il lavoro in un’agenzia di stampa che si chiamava Notizie radicali, la radio appena nata, gli appelli. Ci sentivamo vive, e il mondo si schiudeva come una promessa di giustizia.
Noi sappiamo, e stavolta abbiamo le prove, che non andò così: tutto sbanda e svolta in pochi anni. Giorgiana Masi viene uccisa il 12 maggio 1977. Un anno dopo, viene rapito e assassinato Aldo Moro, che nelle lettere dalla prigionia invocherà la presenza di Stefano Giovannone come intermediario. Invano. Due anni ancora, e Graziella, che nel frattempo aveva seguito una strada tutta sua, che riguardava appunto il traffico d’armi, si sarebbe trovata all’ingresso di un albergo di Beirut, in attesa di un’automobile che l’avrebbe condotta alla morte. Forse lo sapeva: a un’amica aveva confidato il proprio terrore per “la cosa grossa” che aveva davanti. La stazione di Bologna era saltata in aria da un mese.
Sono passati 42 anni. La sua famiglia ha indagato e protestato fino allo sfinimento. Sulla vicenda di Graziella De Palo e Italo Toni è stato posto il segreto di Stato, su richiesta dello stesso Stefano Giovannone e con l’approvazione di Bettino Craxi, nel 1984. Di recente, su tutto quello che riguarda il colonnello è stato prorogato il segreto fino, pare, al 2030. Il mondo, nel frattempo, è andato avanti e Graziella non ha mai avuto una tomba. Raccontarla in un podcast (Omissis-Graziella De Palo, una storia italiana per Radio3, dal 2 settembre su Raiplaysound, dal vivo il 2 ottobre al Teatro Alighieri di Ravenna per la festa di Radio3) dopo averla raccontata in un romanzo (L’arrivo di Saturno, Bompiani) non fa giustizia: ma almeno la rinomina, la evoca come un soffio gentile, corrucciato e perduto per sempre. Lei, e le ragazze piene di speranza che hanno attraversato quel tempo, e in certi casi ne sono state fermate.
 

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