Un anno fa è morto Valerio Evangelisti. Oggi ne parleremo a Fahrenheit. In realtà non si è mai smesso di parlarne, e grazie al cielo di leggerlo. La speranza è che sia così ancora e ancora e ancora. Un anno fa scrivevo questo, per La Stampa. Lo ripropongo, e lo riproporrò ancora e ancora e ancora.
Molti anni fa (venti, addirittura), in un’intervista a Il Mucchio selvaggio, Valerio Evangelisti disse: “detesto la fantascienza corrente. Trovo che la fantascienza abbia espresso molto nel passato, specialmente quella cosiddetta sociologica, ma ritengo che quella presente assomigli di più a una favola fine a se stessa. A quel punto, però, la preferisco nei film: ad esempio, sono un adoratore della serie classica di Star Trek, ma a livello di favola; narrativamente il genere mi sembra un po’ povero. Si tratta di spezzarne i confini. Personalmente, sono abbastanza infastidito dalla definizione che mi si dà di scrittore di fantascienza, anche perché uno magari fa un tomo di 450 pagine sul femminile in Jung e dopo ti intervistano sui dischi volanti e sui mostri marini”.
Se si vuole raccontare chi è stato e cosa ha scritto Valerio Evangelisti, scomparso ieri a Bologna a 69 anni, bisogna tener presente questo: non è stato il re del fantasy, né il principe della fantascienza, né un romanziere di avventura, ed è stato tutto questo insieme. Basterebbe leggere Metallo urlante, che uscì nel 1998 (omaggio all’heavy metal, ma anche alla mitologica rivista Métal Hurlant per capire che Evangelisti è stato un grande scrittore, e punto.
Alla fine di quegli anni Zero dove ogni cosa sembrava possibile, la rete e i generi letterari e anche un futuro diverso dall’attuale, facemmo una chiacchierata proprio sulla sua non incasellabilità. Vero, Evangelisti ha creato Nicholas Eymerich, l’Inquisitore domenicano che è protagonista dei suoi romanzi più noti, e che è fra i pochi villain (è crudele, spietato, misogino) a suscitare amore incondizionato nei suoi fan. Ma il ciclo di Eymerich non è semplicemente un ciclo storico: perché le avventure del’inquisitore si incrociano con presenze sovrannaturali, scivolamenti nel futuro, miti arcaici. E’ un fantasy? Forse. Fantascienza. Anche. Ma poi, dove lo metti, uno scrittore adorato per il ciclo di Eymerich e per quello del pistolero-stregone Pantera, che ha scritto una memorabile trilogia americana (Antracite, Noi saremo tutto, One big union), un ciclo sui pirati, uno su Nostradamus, uno sulla rivoluzione messicana, uno – bellissimo – sui braccianti romagnoli? Non lo collochi. In quella chiacchierata, raccontò di esserne persino felice: “Sono orgoglioso del fatto che i librai abbiano difficoltà a collocare la mia narrativa in un settore specifico. Inizialmente finivo regolarmente nell’angolo della fantascienza, anche con romanzi per due terzi storici e per un terzo fantastici come Magus. In realtà, pure i miei primi romanzi “fantascientifici” toccavano generi vari. Adesso ho rotto la gabbia (al prezzo di sacrificare un poco Eymerich, il mio personaggio più famoso) e classificarmi è diventato difficile. Era il risultato che mi prefiggevo fin dall’inizio. C’è chi mi inserisce nella categoria generale dei “romanzieri d’avventura”. La qualifica mi onora, però spero di sfuggire appena possibile anche a quella definizione. La narrativa che amo è libera e poco etichettabile.”
Con una caratteristica, che è sempre stata politica: parlare del presente. Lo disse, ancora, al Mucchio Selvaggio: “ I miei libri hanno una componente che è presa dal romanzo storico, una parte abbastanza importante, ma è evidente come io non segua tanto la via del romanzo storico. Più che altro, miro allo sfondamento della storia: a un certo punto nei miei libri la nozione del tempo va tutta persa perché ci si sposta attraverso la storia da un momento all’altro, tirandone fuori dei fili che danno luogo a un’altra vicenda. Secondo me, poi, la storia del passato e quella del futuro sono cose quasi inconoscibili. Il passato viene quasi sempre ricostruito attraverso filtri, in un’operazione di fiction che è simile a quella di chi costruisce un futuro immaginario. Il filtro è alla fine solo uno: il presente.”
Lo stesso ciclo di Eymerich del presente parla. Evangelisti ha sempre raccontato di averlo scelto perché gli piaceva il nome “dal suono tagliente come una coltellata. Solo dopo indagai sul personaggio”. Perché Eymerich è realmente esistito: era un inquisitore domenicano nato a Gerona (Catalogna) nel 1320 e morto nel 1399. Poi, grazie a lui è diventato culto: fumetto, gioco di ruolo, vino (le lacrime di Eymerich, prodotto in provincia di Piacenza). Anche perché spiazza i canoni, ancora una volta: è il Male assoluto, è idealista assassino e perfido attizzatore di roghi. Ma mai meschino, mai incoerente: e per questo amato, a dispetto della ferocia di cui dà prova nella certezza di essere la spada di Dio, e di dover annientare libri, idee, esseri umani, nel suo nome. In poche parole: il magister Nicolas non è un personaggio di bassa lega, ma una creatura letteraria complessa. Come sostiene Evangelisti, «anche se ciò che Eymerich finisce col compiere è senz’altro il male, tuttavia ha un’ oscura consapevolezza che ciò che fa è sbagliato; solo la cieca fiducia in una legge che gli è dettata dall’esterno gli consente di superare le remore morali. In sintesi, ciò che io voglio è rendere chiare le ragioni logiche di un crimine, adottando il punto di vista del criminale, ed evidenziando le motivazioni che dà a se stesso».
Dunque, Nicolas Eymerich è una metafora impeccabile dei meccanismi del potere. Ma il potere mortale che rappresenta non è innocuo in quanto lontano nei secoli: pur accuratissimi nella ricostruzione storica, i romanzi di cui è protagonista mettono a confronto il crudele domenicano con avvenimenti misteriosi che quasi sempre aprono una o più dimensioni temporali parallele. Il che, di fatto, permette al lettore di capire che si sta parlando del presente. Se è fantascienza, è una fantascienza che conferisce al passato e al futuro ipotetico la stessa caratteristica di mondo alieno in grado di rispecchiare le inquietudini del nostro presente. E con un intento preciso: perché Evangelisti ha sempre sostenuto che la narrativa fantastica “con la sua natura di sogno consapevole, da cui si entra e si esce a volontà, costituisca un buon addestramento a evadere dai sogni imposti ed eterodiretti”.
Al presente, sia pure con l’occhio – spesso – del genere è volta quella che ancora oggi è la più importante web-zine letteraria italiana, Carmilla. Nonché l’impegno quotidiano di Evangelisti contro le disuguaglianze, contro la dimenticanza di quelle disuguaglianze che caratterizza ogni suoi libro: politico è la definizione che calza a pennello, ed è l’unica giusta. Oltre a quella di uomo buono, fuori da ogni tentazione spettacolare del mondo letterario.