FUNES E NOI

E’ una strana società, la nostra: immemore ma ossessionata dalla cattura del ricordo. Una società che filma la nascita del figlio, il viaggio, gli episodi piccoli e grandi senza davvero viverli, sognando, un giorno, di rivedere la propria vita  in poltrona. Una società che ambisce a trasformare il presente in passato. “E’ sempre stato così”, mi ha detto tempo fa Maurizio Ferraris. “Solo che oggi abbiamo protesi tecniche raffinate che rendono possibile fermare l’attimo anche a costo di non viverlo. Conserviamo a futura memoria: e lo scopo inconscio è intimamente funerario: lasciare traccia di noi dopo la morte”.

Icona: un racconto di Borges, Funes el memorioso. Un uomo con una memoria prodigiosa, costretto a ricordare ogni singolo istante della sua vita. Non solo il bicchiere sul tavolo, ma tutti gli acini dei grappoli d’uva che formano la pergola sopra il tavolo. Non potendo dimenticare nulla, finisce col non avere ricordi.

Mi chiedo, allora, come si fa a trasformare la memoria in qualcosa di vivo. Perché esiste una contraddizione tremenda fra la ragazzina che svolge religiosamente il tema in classe sulla Shoah e, una volta a Birkenau, sorride allo schermo del cellulare. Ma non è, a mio parere, colpa sua. E’ un ripensamento generale della memoria e del come la trasmettiamo, che andrebbe fatto.

Un pensiero su “FUNES E NOI

  1. Io, da docente, dico che i ragazzi devono essere portati nei luoghi della Shoah solo dopo un’adeguata preparazione storica. Non bastano i due paragrafi del libro di storia. Vanno fatti approfondimenti, vanno letti libri e ascoltate testimonianze. Si può fare. Io lo faccio da anni. Solo la conoscenza è la cultura possono salvare i nostri ragazzi dall’orrore della superficialità odierna.

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