A PORTE CHIUSE

Parliamo di case stregate. Negli ultimi quattro anni siamo stati ossessionati dalla casa, siamo stati prigionieri nelle nostre case e capita che molti di noi lo siano ancora. Sia pur liberi di uscire, in certi casi ci riesce difficile. La casa ci richiama indietro, ci pretende, e anche se il mondo è teoricamente (almeno in parte, viste le circostanze) a nostra disposizione, ci ricorda che anche quando facevamo i turni per metterci in coda al supermercato eravamo colti da una strana fascinazione per le nostre quattro pareti, piccole o grandi. Qualcosa che ci faceva sentire al sicuro. Io resto a casa, era lo slogan che fioriva sulle foto profilo di Facebook.
Ecco, se vi siete chiesti perché nella letteratura horror abbondino le case stregate, il motivo è questo, lo stesso che indica Stephen King in Danse Macabre:

“La casa è il posto in cui ci si immagina di potersi liberare dell’armatura e mettere da parte lo scudo. Nelle nostre case ci concediamo l’assoluta vulnerabilità: sono i posti in cui ci togliamo i vestiti e andiamo a letto senza che qualcuno stia di sentinella (eccetto quei popolarissimi parassiti della società moderna, gli allarmi contro i ladri e contro il fumo). Robert Frost disse che la casa è il posto in cui, quando ci vai, devono lasciarti entrare. I vecchi aforismi dicono: la casa è dove è il cuore, non c’è niente come la casa, un po’ d’amore fa diventare casa l’abitazione. Non è male sottolineare che la narrativa horror rappresenta una fredda carezza nel bel mezzo di tutto ciò che ci è familiare, e il buon horror vi darà questa carezza con una pressione improvvisa, inaspettata. Quando si va a casa e si chiude la serratura, ci piace pensare di aver lasciato fuori i problemi. Il buon romanzo horror sui Brutti Posti ci sussurra che non abbiamo chiuso la porta al mondo; ci siamo    chiusi dentro… con loro. “

Ora, sul New York Times di ieri c’è un articolo sulla nuova tendenza di farsi costruire una porta nascosta che conduce in una stanza segreta nella propria casa: esattamente come quelle dei romanzi gotici o delle Cronache di Narnia. C’è anche chi si dà al fai da te, con le porte girevoli mascherate da libreria:

“Le aziende che producono porte pronte per l’installazione mascherate da librerie e portastecche da biliardo affermano che gli affari hanno iniziato a prosperare al culmine della pandemia nel 2020, quando gli americani rintanati in casa si sono lanciati in progetti di ristrutturazione. Alcuni proprietari di case che hanno trasformato le camere da letto in uffici per il lavoro a distanza hanno sostituito le normali ante degli armadi con altre che fungono anche da scaffali per rendere gli spazi più funzionali e dall’aspetto più professionale durante le chiamate Zoom”.

Ci si chiede perché. Un tempo, scrive il New York Times, la porta segreta serviva a nascondere riunioni clandestine ai tempi del proibizionismo o anche libri poco verecondi, come nella biblioteca del  finanziere J. Pierpont Morgan. Oggi le stanze segrete servono per  per nascondere armi o casseforti, o per fornire un posto dove ripararsi durante un uragano o addirittura, forse, l’Armageddon.

Probabilmente, però, c’è altro. Ripenso a un film come Favolacce dei fratelli D’Innocenzo, che era ambientato a Spinaceto, in un quartiere “chiuso”. Ebbene, da anni nella periferia romana sono spuntati da anni piccoli complessi residenziali quasi identici: ne conosco e ne ho frequentati diversi. Si entra con un codice numerico, le strade sono curate, ogni villino ha il box auto e i padri tagliano da soli l’erba del giardino e naturalmente grigliano bistecche e salsicce e bruschette nel forno a mattoni di cui i villini sono provvisti. Ci si saluta da un villino all’altro. A volte si cena insieme. Ci si odia, anche, segretamente o meno. Perché sono una delle crescenti gated community, comunità serrate dove ci si rinchiude perché fuori, ehi, non è sicuro, ci sono gli zingheri, ci stanno i ladri, e noi abbiamo i bambini.

Le porte segrete non mi fanno pensare a Narnia, né a un gioco illusionistico, in verità. Mi fanno pensare, invece, a un peggioramento di quel ritirarsi nel Sè, sempre più profondo, sempre più separato e chiuso, che ormai caratterizza il nostro tempo. Un rifugio dove è impossibile entrare (e, chissà, uscire).
E questo, a mio parere, spiega molte cose: dai risultati elettorali al fatto che i quotidiani italiani aprono da due giorni sulla foto ritoccata di Kate Middleton. Huis clos, come diceva Sartre.

Un pensiero su “A PORTE CHIUSE

  1. leggevo che una volta la casa era intesa come il proseguimento “del fuori” – ad esempio nelle campagne, si dormiva spesso con gli animali. ma la vita era fuori.
    con l’inurbamento il “fuori” ha cambiato faccia. e la casa è sempre più diventata un rifugio, un qualcosa che esclude il fuori.
    forse basterebbe recuperare anche linee di progettazione più inclusive, come nelle città giardino di cui Roma è piena.
    o come gli esempi testaccini o di villa riccio.

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