A PROPOSITO DI FANTASIA

Sul quotidiano di ieri è uscita anche una mia intervista a Paolo Legrenzi. Riporto qui l’integrale: anche perchè, in un certo senso, il discorso che Legrenzi porta avanti a proposito della fantasia può costituire un corollario a quanto detto su Tolkien.

“ La probabilità che una certa persona sia stupida è indipendente da qualsiasi altra caratteristica della persona stessa”. Era il 1976 e ad enunciare questa legge (la seconda di cinque) fu lo storico Carlo Maria Cipolla, che al tema della stupidità dedicò un divertissement in inglese, The Basic Laws of Human Stupidity . Il libro venne pubblicato in italiano nel 1988 con il titolo Allegro ma non troppo, ed è diventato uno dei testi più venduti della casa editrice Il Mulino. E’ in arrivo il bis: perché il 20 maggio uscirà Non occorre essere stupidi per fare sciocchezze, scritto dal docente di psicologia Paolo Legrenzi, anche autore di un piccolo e prezioso saggio, La fantasia, pubblicato sempre per Il Mulino (pagg.127, euro 9,80). Il punto unificante fra i testi è la confutazione dei luoghi comuni sui due concetti: nel primo caso, l’idea che la stupidità sia qualcosa di innato e, nel secondo, la convinzione che la fantasia sia qualcosa di intimamente disdicevole e buona, al più, per i bambini.

“Stupidità e fantasia non sono caratteristiche rigide – racconta Legrenzi – Quel che già Cipolla aveva capito riguarda il grande preconcetto che divide le persone in stupide e intelligenti. La stupidità non è permanente come il colore degli occhi: a contare sono sempre le circostanze. Si è, invece, portati a pensare che la vita sia come quella descritta da Calvino ne Il visconte dimezzato: da una parte la metà buona, dall’altra quella cattiva. Non è vero: non siamo sempre ladri o sempre onesti. Né sempre buoni: ricordo gli studi su un battaglione tedesco che ha compiuto crimini atroci e che ragionava proprio sui motivi che spingono persone colte e persino miti all’efferatezza. Sono partito da qui e mi sono chiesto perché persone molto intelligenti compiono temporanee stupidaggini, che in alcuni casi cambieranno la loro vita”.

Qual è la risposta?
“In molti casi dipende dal contesto che ci circonda. L’America che ha quasi portato Bill Clinton all’impeachment dopo le rivelazioni di Monica Lewinsky. La sinistra moralista di Bologna che ha spinto alle dimissioni l’ex sindaco Del Bono. Oppure, lo scandalo che ha investito e segnato Piero Marrazzo: in una società costituita da transessuali il gesto di Marrazzo sarebbe stato normalissimo. E’ il giudizio della maggioranza a rendere stupida l’azione: giudizio di cui chi la compie è ovviamente ben consapevole”.

Dunque ignorando il giudizio altrui la stupidità non esisterebbe?
“L’azione stupida si dimentica comunque dopo poco tempo. Clinton verrà ricordato per il suo operato politico, non per la sua relazione con una stagista. Piuttosto, è interessante l’idea di chi commette la sciocchezza e che ritiene che questa lo distruggerà irreversibilmente. Noi riteniamo di essere il cuore del mondo, mentre per gli altri non contiamo quanto immaginiamo”.
E questa è una caratteristica dei nostri tempi?

“Si chiama spotlight effect. Significa pensare di essere sempre al centro della scena. Significa fare una gaffe con il proprio capo e rimuginarci per giorni, mentre l’altro non ha minimamente dato peso alle nostre parole. Ultimamente, questa sopravvalutazione di noi stessi è diventata un fenomeno collettivo. Basta fare una comparazione fra i giornali italiani e il modo in cui i media stranieri parlano dell’Italia per capire che questo spotlight di massa è prodotto dai media medesimi. L’agenda-setting, la scelta delle notizie, è determinata certamente dal mercato. Ma influisce anche sulla nostra individualità”.

Il mercato influisce anche sulla riduzione della fantasia a caratteristica infantile?

“In un certo senso sì, perché si tratta comunque di un fenomeno recente. Le racconto un aneddoto: qualche giorno fa ho letto su Science un articolo che riguardava le prime forme di civiltà e rivelava che la prima opera realizzata da mani umane, 39.000 anni fa, è la statuina di un uomo con la testa di leone. Dunque, un’opera di fantasia. Del resto nella storia dell’umanità la fantasia non è mai stata prerogativa dell’infanzia: è stata, invece, il discorso epico sul mondo. Nell’antica Grecia gli dei si mescolavano agli uomini: non esistevano i due livelli separati, ma il piano fantastico si intrecciava con quello reale. Anche il mondo di Giordano Bruno era più fantasioso del nostro. E’ con la nascita della scienza moderna che il confine si fa più netto, perché il mondo collettivo viene definito dalla realtà e la fantasia viene confinata nell’individuale. Soprattutto nell’individuale dei bambini”.

La responsabilità è soltanto della scienza?

“Non solo. L’idea che non bisogna avere la testa fra le nuvole è un prodotto della cultura industriale occidentale. Educhiamo i bambini ad essere produttivi, a fare i compiti, concentrarsi, stare attenti a scuola proprio per la necessità di indirizzarli a un’attività produttiva quotidiana. Dell’individuo fantasioso diffidiamo, lo immaginiamo come il Felix Krull raccontato da Thomas Mann: qualcuno che imbroglia. La fantasia, negli adulti, non viene mai considerata produttiva, e dunque sana”.

Eppure gli adulti si divertono a leggere Harry Potter.

“Ma spesso lo negano. Quale adulto si sarebbe vergognato davanti a Orlando furioso? Per paradosso, pochi adulti si vergognano a guardare un reality show dove la fantasia diventa passiva e non attiva. Credo che il compito della psicologia, oggi, sia proprio quello di ragionare su questi luoghi comuni: e tentare, almeno, di ribaltarli”.

17 pensieri su “A PROPOSITO DI FANTASIA

  1. “…la fantasia sia qualcosa di intimamente disdicevole….”
    Però: che meraviglia! fa piacere sapersi disdicevoli, e anche infantili, agli occhi del mondo. In un certo senso, questo è un gran regalo. Perchè in fondo è così: i grandi fantasisti sono come i poeti: sono clandestini.

  2. Non riduciamo, per favore, i concetti di Legrenzi, e non sviliamoli. Irene: per quanto io ami molto il lavoro di Francesco Dimitri, amo molto, molto meno, il marketing virale. Ok?

  3. Sullo iato – esplosivo – tra omologazione e fantasia suggerirei il romanzo “La ragazza del ritratto” dello scrittore inglese Paul Torday. E’ impressionante notarlo, ma sembra proprio l’applicazione romanzesca di quanto dice Legrenzi. Ed è anche un romanzo magnifico, ovvio.

  4. Chi non ha fatto almeno una stupidata all’anno non merita menzione. E allora perchè non due? mah, per fissare il principio.
    E insomma questa storia che gli intelligenti non facciano mai fesserie mi ha sempre irritato. Mio fratello, ad esempio, è molto più intelligente di me, possiede un’intelligenza emotiva mostruosa, l’unica che valga la pena di invidiare al prossimo, eppure ha fatto una grande stupidata sposando sua moglie. Io invece felice scapolone, ma anche un po’ cog-lione.
    Una volta chiesi a un amico psichiatra: ‘come faceva l’uomo delle caverne con la depressione, l’ansia, la nevrosi, come si curava?’
    Intanto, mi rispose, aveva tre volte gli spermatozoi che c’hai tu, e poi niente, scopava. A proposito, e tu?

  5. Credo che l’idea di stupidità che emerge qui sia un contenitore un pò troppo vasto, tra stupidità e cattiveria c’è un abisso.
    E’ vero che l’indifferenza o la cecità verso le conseguenze, può farci vivere stupidamente ed in modo cattivo.
    La cultura è un altra cosa si può essere colti e stupidissimi o ignoranti e acuti. Le persone colte che compiono cose efferate sono ancora un altra cosa, ma le avvicierei alle persone ignoranti che compiono le stesse efferatezze, non è la cultura che ci mette in relazione con gli altri ma il valore umano che c’è in certa cultura, e in altra no.
    La fantasia è ancora un’altra cosa, ma credo che c’entri molto di più con la visione penitente e dura di una vita contadina da cui quasi tutti discendiamo con poco o punto spazio mentale per ammettere il diritto al gioco dei grandi e con l’idea di abbandonare i balocchi per impugnare la zappa più che con la scienza o la modernità, le culture come anglosassone e francese che hanno cavalcato la modernità industriale nel novecento hanno dato largo spazio alla fantasia creandone grandi industrie come hollywood o i comics o il fumetto francese o l’animazione tutto basato non sul realismo come da noi (benedetto degli esiti sia chiaro) ma sulla fiaba, praticamente ogni produzione hollywoodiana cosa è se non una fiaba?
    D.

  6. Bouvard et Pécuchet di Flaubert, non si può scrivere di intelligenza e stupidità proditoriamente di fronte a questa opera quasi definitiva. La fantasia è un corollario e nello specifico in questi commenti sembra un alibi per dare la stura alle solite sciocchezze dei soliti nomi che vendono i loro nomi e blog

  7. Ho letto l’intervista.
    La stupidità non è permanente? Per fortuna non sempre, ma spesso lo è. Tutto dipende dal contesto, è vero, ma esasperando il relativismo si finisce col parlare di nulla. Esistono persone anche intelligentissime che commettono stupidaggini perché non si può essere intelligenti ventiquattro ore al giorno e perché a volte la stupidaggine è qualcosa di divertente o semplicemente è quello che ti va di fare in quel momento.
    Quindi per me questa prima parte del testo (intervista, post) è inutile ma innocua.
    Sulla seconda parte ho delle perplessità. Di gente con la testa tra le nuvole ne vedo tantissima, di fantasisti alla ribalta ce ne sono troppi (economia creativa, vendiamo Alitalia a Trenitalia ecc.), di persone che lavorano con dedizione ne vedo già di meno, di persone che ragionano con la propria testa senza dare per scontate alcune verità (“il denaro è il motore del mondo” è oggi la certezza inattaccabile, non l’empirismo, anzi il sistema economico-politico mondiale se ne fa un baffo dell’empirismo), evitando di cadere nella trappola di esaltare verità antagoniste (e presunti detentori di verità antagoniste) che sono solo effetti collaterali necessari per tenere in piedi le “verità” dominanti e i loro detentori, ecco!, di queste persone ne vedo poche, e poche credo che lo siano sempre state, anche se con buona probabilità ci sono stati momenti più felici.
    P.S.
    Sulla differenza che c’è tra l’Orlando furioso e Harry Potter credo che siamo tutti d’accordo. Non vorrei sembrare snob, ma… l’Orlando furioso… Harry Potter… cioè

  8. Recentemente ho avuto una lunga discussione su uno dei miei autori preferiti (non è marketing virale – è tradotto poco e difficile da trovare in italiano). Molto di quello che scrive è classificabile come fantasy o fantascienza, eppure la sua visione della fantasia è molto più problematica e per certi versi antitetica a quella di Legrenzi. E visto anche che le discussioni come quella su fantasy e realismo tendano a ripetersi secondo schemi prefissati, magari è interessante sentire la campana di qualcuno che è obliquo rispetto ai vari campi, indipendentemente dal fatto che si condivida o meno quello che dice.
    Questo è un collage di frasi prese da varie interviste che ho tradotto e assemblato.


    “Mi ci è voluto del tempo per scoprire quale fosse il mio argomento d’elezione, di che cosa volessi veramente scrivere. Alla fine ho capito che si trattava del desiderio, inteso nell’accezione più ampia possibile, e della relazione fra il desiderio e le fantasie, sia a livello individuale che culturale.

    La spiritualità – così come il sesso, la politica, l’arte, la scienza e probabilmente il linguaggio stesso – si situa nello spazio fra ciò che vogliamo e ciò che possiamo avere, ciò che conosciamo e ciò che rimane ignoto, fra il reale e l’artificiale, il mondano e il meraviglioso, fra tutte le cose che potrebbero essere e l’unica cosa che è vera.

    Ogni organismo vive nello spazio fra desiderio e possibilità.
    Gli esseri umani, stretti nella stessa morsa di impulsi che orienta ogni animale, si chiedono: che cosa succederebbe se avessi… (cibo, denaro, fama, bellezza, realizzazione personale – riempire i puntini a piacimento) , se fosse davanti a me, sulla mia tavola in questo momento? – cosa succederebbe se potessi cambiare le cose?
    Questo è il significato profondo della magia: immaginare quello che potresti avere, desiderarlo intensamente, e improvvisamente vederlo con accecante chiarezza, davanti ai tuoi occhi, ir-reale e iper-reale allo stesso tempo.
    La letteratura è uno strumento per investigare questi aspetti del desiderio; ma anche, molto più significativamente, un modo per compiere atti di magia simpatica, un intervento simbolico sul mondo.
    E la letteratura fantastica dovrebbe essere un mezzo particolarmente efficace per farlo, e, fino all’arrivo della fantasy commerciale, lo è stata.

    Il mio giudizio sulla letteratura d’evasione si è un po’ raddolcito col passare del tempo, ma non è mai veramente cambiato. Una volta cresciuti bisognerebbe avere una relazione più complicata con la lettura che il semplice desiderio d’evasione. Penso che non sia dignitoso leggere per passare il tempo; come minimo, si tratta di un atto politicamente sterile. Se usi la fantasia come valvola di fuga non tenterai mai di cambiare la tua vita, o quella degli altri. Mi sembra che molte forme di fantasia, di evasione, siano cattiva politica, riflessione intrinseca dello spirito del tempo, dell’illusione di libertà e scelta illimitate che sta alla base della civiltà occidentale.

    Il mondo non è uno spot L’Oréal. Non viviamo all’interno delle nostre pubblicità. Nel mondo degli spot pubblicitari i delfini nuotano accanto alla nostra auto, deliziandoci e dandoci la loro benedizione, facendoci sentire “naturali” nel momento esatto in cui li sterminiamo come specie.
    Noi non viviamo in un mondo del genere. Non riusciremo mai a vivere in un mondo del genere. Il mondo reale, il mondo di corruzione e inquinamento, il mondo della scienza messa al servizio dei fini più superficiali, narcisisti, egoisti, è il mondo che abbiamo costruito sognando di guidare accanto ai delfini.

    Questa è politica. La politica è figlia dei sogni, e in politica vince chi sogna più forte.

    La generazione del “perché io valgo”, che fa fatica a separare la realtà dai propri sogni e aspirazioni, sta già vivendo in una specie di realtà virtuale. Di fronte a questo tipo di fantasie, quelle su carta scorrono molto più a valle.

    Ogni epoca eleva un diverso difetto caratteriale a sua virtù specifica. Questa è la voce del difetto caratteriale della nostra era, la credenza che “noi possiamo” essere qualsiasi cosa vogliamo, che ne abbiamo “diritto” e che quello che vogliamo può essere ottenuto senza vi siano delle conseguenze, per noi o per gli altri. “

  9. Cara Loredana, non ho niente contro Legrenzi, ma piccole note per rendere questo blog o altri meno seriosi mi sembra cosa buona.
    Il pagliaccio sono io e me ne assumo tutta la iattanza.
    Nondimen vi leggo con interesse e allegramente.
    Dai su non timbrate il cartellino, oh santo cielo.

  10. Fantasia è rappresentazione, fantasia è luce, è “phàos”, è riflessione, riflette come allo specchio la realtà, capovolgendola, riflette il pensiero. La fantasia ha sollevato animi, ha stimolato il pensiero, ha creato e crea tuttora mondi in cui si respira la libertà del guardare oltre le possibilità.
    Lu

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