A.A.A. VOTARE A

C’è chi dice “non mi riguarda”. E lo stanno dicendo in molti, in più occasioni, su diversi temi: dagli ameni negazionisti del femminicidio, che spuntano come primule quando la discussione diviene, da sotterranea, pubblica (e vedi mai ci si guadagnasse uno sprazzo di notorietà in più), ai puri e duri del web, pronti a serrare i ranghi quando paventano restrizioni e molto meno pronti, d’abitudine, a scaldarsi su altri argomenti.
C’è chi dice “non mi riguarda” e lo dice forte, e aggiunge “che sarà mai questo chiacchiericcio sui diritti, sulla comunità, io non voglio essere tutelato/a, chi ha gambe buone arriverà comunque fino in fondo”.
C’è chi dice “non mi riguarda”, e lo dice un po’ scocciato, perché abbiamo altro a cui pensare, i tempi son cupi, c’è l’antipolitica, c’è la disoccupazione, c’è.
Ecco.
C’è il referendum, domenica a Bologna. Il referendum che non riguarda soltanto la situazione della scuola pubblica di una città, ma di tutto il paese. Il referendum dove si mette in gioco  una visione del futuro che deve toccarci uno per uno, perché si tratta di garantire  a chiunque, senza differenze di censo e, sì, di classe, l’accesso all’ istruzione.
Pubblica, maledizione, pubblica.
Tutti e tutte coloro che pensano che no, la situazione della scuola non mi riguarda e soprattutto non riguarda il prezioso, unico, da ogni tempesta preservabile, frutto del mio ventre e dei miei lombi, sappiano che non è così. Che senza una scuola a tutti accessibile e libera da ogni (ogni!) confessione religiosa, per un paese non c’è futuro. Tutti e tutte coloro che ostinatamente continuano a credere  che la vera politica è come una partita a Stratego, e che insomma bisogna pur tenerci caro il voto di una certa parte dell’elettorato, sappiano che questo è il ragionamento che ci ha portato nella palude dove siamo immobili, da anni.
Io non voto a Bologna. Ma ho firmato l’appello del Comitato Articolo 33, e vi invito a ripetere: A, votare A.
E faccio mie le ragioni espresse in questo post di Wu Ming:

► “E’ necessario sostenere la scuola pubblica comunale e statale, l’unica dove possono andare tutti, a prescindere dal reddito e dalla religione. A Bologna i finanziamenti comunali ammontano a meno della metà dei soldi pubblici stanziati per le scuole dell’infanzia paritarie private: destinarli alle scuole dell’infanzia comunali e statali sarebbe un importante segnale in controtendenza rispetto alle politiche di tagli alla scuola pubblica praticate dagli ultimi governi. Dopo anni di sacrifici imposti alla scuola pubblica, durante i quali i fondi alla scuole paritarie private sono stati regolarmente riconfermati (quando non aumentati), è giunto il momento che anche le scuole paritarie private facciano la loro parte.
► La scuola pubblica ha bisogno di risorse. E’ sempre più frequente che nelle scuole comunali e statali i genitori debbano portare da casa carta igienica, fazzolettini, fogli da disegno, o che debbano autotassarsi per provvedere ad acquistare materiali didattici. Ma questa è solo la punta dell’iceberg, sotto la quale si trovano fenomeni ben più gravi come la diminuzione delle ore di compresenza e di quelle per le maestre di sostegno, oltre alla precarizzazione del personale. Tutte cose che alla lunga influiscono sulla continuità didattica e penalizzano i più deboli, spingendo le famiglie che possono permetterselo a spostare i figli nella scuola paritaria privata, a proprie spese, e alimentando così un circolo vizioso che allarga la forbice sociale. Ogni euro recuperabile per la scuola pubblica diventa quindi prezioso.
► Qualsiasi richiesta di nuovi fondi allo Stato centrale non può che avvantaggiarsi dalla vittoria della “A” al referendum, cioè dall’affermazione della priorità della scuola pubblica comunale e statale. Viceversa, una vittoria della “B” consentirebbe allo Stato di proseguire sulla linea dei tagli, investendo al minor costo possibile, cioè ulteriormente sulla scuola paritaria privata, che non è una scuola per tutti.
► All’inizio di questo anno scolastico ben 423 bambini e bambine a Bologna sono rimasti senza posto alla scuola dell’infanzia pubblica comunale e statale. Il Comune è dovuto correre ai ripari (aumentando gli alunni per classe oltre i limiti e aprendo nuove sezioni, ma soltanto part-time) per riuscire a soddisfare le richieste. Nonostante questo, 103 bambini e bambine sono rimasti ugualmente esclusi dalla scuola dell’infanzia pubblica. Con il milione di euro stanziato per le scuole paritarie private nel 2011 si sarebbero potuti creare, a settembre 2012, 330 nuovi posti alla scuola pubblica comunale e statale ed esaurire abbondantemente la lista d’attesa.
► L’ipotesi di un fallimento delle scuole paritarie private in assenza dei finanziamenti comunali, con tanto di licenziamenti degli insegnanti ed esodo degli alunni verso la scuola pubblica comunale e statale, è irreale e puramente allarmistica. 26 delle 27 scuole dell’infanzia paritarie private di Bologna aderiscono alla Federazione Italiana Scuole Materne (FISM), fondata su impulso della CEI nel 1973. Le scuole della FISM dunque esistono da molto prima della legge sulla parità scolastica, che è del 2000. Nel 1995, prima che il sistema delle convenzioni venisse varato a Bologna, le scuole dell’infanzia private accoglievano il 24% degli scolari; nel 2013 le scuole paritarie private ne accolgono il 22%: è evidente che non è il milione di euro erogato dal Comune a garantire la frequentazione di queste scuole. Infatti dividendo l’ammontare dell’attuale finanziamento comunale – cioè 1.055.500 euro – per i 1.730 bambini che frequentano le scuole paritarie bolognesi, si ottiene la cifra di circa 600 euro per bambino, che suddivisi sulle dieci rate mensili dell’anno scolastico, equivalgono a un contributo per bambino di circa 60 euro al mese. Non è credibile che un rincaro del genere produrrebbe un ritiro di massa dalle scuole paritarie private e un’emigrazione di massa verso la scuola pubblica comunale e statale, allungando a dismisura le liste d’attesa. Soprattutto è difficile credere che le scuole paritarie private non possano reperire altrove quel milione di euro l’anno, evitando così qualunque rincaro delle rette. Considerando che tutte eccetto una sono scuole cattoliche, che la Curia di Bologna possiede un patrimonio di circa 1.200 immobili in città, oltre a 22 milioni di euro dell’eredità FAAC depositati su un conto presso la LGT Bank di Lugano, e che la Chiesa cattolica raccoglie l’8 per mille dai fedeli, un’idea su quale partner potrebbe sostituirsi al Comune per integrare la cifra in questione nasce spontanea.
► Le scuole dell’infanzia paritarie private applicano criteri d’accesso diversi da quelli della scuola pubblica comunale e statale. Si tratta infatti di enti privati no profit, a pagamento, che in base alla legge 62 del 2000 fanno parte del sistema nazionale d’istruzione. Attualmente, su 1.730 frequentanti le scuole dell’infanzia paritarie private bolognesi, gli alunni stranieri sono 80, cioè il 4,6%, contro il 23,3% nella scuola dell’infanzia pubblica comunale e statale; i bambini disabili sono lo 0,3%, contro il 2,1% nella scuola pubblica comunale e statale. Inoltre nella scuola comunale e statale sono certificati 271 casi di disagio sociale. Questi dati confermano che il sistema d’istruzione integrato pubblico-privato sta già creando due tipologie di scuole molto diverse per composizione sociale e culturale. Non ci sono dubbi su quale delle due sia la più inclusiva, si faccia maggiormente carico dell’integrazione, rispecchi la varietà e la complessità sociale e attitudinale, e di conseguenza debba avere la priorità nei finanziamenti per esaurire le liste d’attesa.
► La scuola dell’infanzia pubblica comunale e statale non prevede un’educazione confessionale e di conseguenza rispetta pienamente la libertà religiosa di tutti i bambini e delle loro famiglie. Per frequentare le scuole paritarie private della FISM è necessario accettare un progetto educativo di impostazione cattolica (vedi articoli 1 e 2 dello statuto FISM) e la Carta formativa della Scuola cattolica dell’Infanzia. In tale Carta si legge che «l’azione educativa consiste nell’introdurre il bambino nella realtà, interpretata nella luce della Tradizione ecclesiale» e che «la trasmissione della dottrina della fede avviene mediante l’introduzione in uno stile di vita (stile del gioco, dello stare a tavola, del rapporto con gli amici…) che sia sostanziato dalle verità di fede imparate e celebrate». Nel caso una famiglia rifiuti la Carta formativa e insista comunque per iscrivere i figli alla scuola paritaria privata confessionale (come potrebbe capitare, ad esempio, a una famiglia non cattolica che non avesse trovato posto alla scuola pubblica), l’accettazione è rimandata al «comitato di gestione, […] il quale decide udito il Vicario Episcopale per la Cultura e la Scuola».
► Nella scuola dell’infanzia pubblica comunale e statale vige la libertà di insegnamento e il personale è selezionato in base alle graduatorie pubbliche. La Carta formativa della Scuola cattolica dell’Infanzia specifica che nelle scuole associate alla FISM i maestri e le maestre devono soddisfare prerequisiti che non sono soltanto pedagogici e professionali: «Oltre le necessarie qualità professionali esigite [sic!] dalle leggi civili, l’insegnante dovrà: a) possedere una solida conoscenza della visione cristiana dell’uomo e della dottrina della fede; b) accogliere con docile ossequio dell’intelligenza e della volontà l’insegnamento del Magistero della Chiesa: c) vivere un’esemplare vita cristiana». Davanti a precetti di questo tipo le perplessità nascono spontanee: a parità di preparazione professionale, una maestra divorziata avrà le stesse possibilità di essere assunta di una felicemente coniugata? E una maestra che esprimesse posizioni critiche nei confronti della Chiesa quante possibilità avrebbe di insegnare in queste scuole? Una maestra gay verrebbe valutata per la sua preparazione o verrebbe discriminata?
► Quello del 26 maggio è un referendum consultivo, non abrogativo. E’ cioè finalizzato a suggerire un indirizzo politico all’amministrazione comunale. Significa che se vincesse l’opzione A, il finanziamento comunale alle scuole paritarie private non verrebbe cancellato dalla sera alla mattina. Volendo ci sarebbero i tempi e i modi di studiare soluzioni alternative al finanziamento comunale. E’ infatti del tutto evidente che l’obiettivo del referendum non è lasciare fuori da scuola altri bambini, ma garantire un posto a tutti, senza discriminazioni. Senza cioè che, con l’aiuto dei soldi pubblici, chi ha la possibilità economica ed è disposto ad accettare un’educazione confessionale abbia il posto garantito e gli altri no”.

24 pensieri su “A.A.A. VOTARE A

  1. Sono motivazioni di un’evidenza talmente palmare che non riesco, proprio non riesco a riconoscere la buona fede di chi sostiene l’opportunità di continuare e addirittura aumentare la quota di contributo pubblico alle scuole private. Ignoranza, forse, ma mai come in questo caso l’ignoranza è stata una colpa. Documentatevi, che poi ragioniamo.

  2. Quotidianamente bazzico sia la locale materna parrocchiale che la comunale… la differenza che spiegano qui sopra wu-ming sulla composizione sociale dei due tipi di scuola salta all’occhio e all’orecchio con forza: i bambini nella parrocchiale sono praticamente tutti bianchi, l’inflessione quasi unica tra i genitori è la veneta; nella materna comunale gli accenti stranieri sono tanti, i bambini hanno nomi italiani, stranieri e misti, e facce e colori assortiti… gli stessi che vedi alla fermata dell’autobus, al supermercato o al parco giochi.

  3. Quoto Maurizio, e aggiungo che il referendum bisognerebbe farlo sul l’inserimento della scuola dell’infanzia nell’obbligo scolastico. Per me è una vergogna che lo stato non sia tenuto ad occuparsi dei minori di 6 anni.

  4. Io invece a Bologna ci vivo e domenica voterò B dopo essermi documentata sul tema e assolutamente in buona fede .
    Voterò B perchè la difesa della scuola pubblica poco ha a che vedere con quello che viene messo in discussione con il referendum, contrariamente a quello che si sta cercando di far passare a livello nazionale. Il referendum mette in discussione i contributi che il Comune di Bologna (non lo Stato) dà alle scuole d’infanzia paritaire (non le scuole di ogni ordine e grado), nell’ambito di un sistema integrato che ha il vantaggio di ampliare l’offerta a disposizione delle famiglie e di garantire determinati standard di qualità anche nella scuola paritaria.
    Voterò B perchè il Comune di Bologna, almeno fino ad oggi, ha dimostrato di credere e investire nei servizi per l’infanzia comunali molto più di quanto si faccia in altre città, indipendentemente da un contributo che esiste da quasi 20 anni.
    Voterò B perchè i signori del comitato promotore del referendum non sono riusciti a dimostrare che l’abolizione del contributo alle scuole dell’infanzia paritarie risolverà il problema delle liste d’attesa e non lo inasprirà, e che quindi sia in grado di portare un vantaggio effettivo ai bambini e alle famiglie bolognesi. E ancora meno credo che questi soldi (il contributo alle paritarie private è pari a meno del 3% di quello che il Comune spende per le proprie scuole dell’infanzia) potrebbero risolvere problemi quali la precarizzazone del personale e altri citati.
    Voterò B perchè credo che il sistema integrato bolognese sia sicuramente migliorabile, ma che questo miglioramento non debba necessariamente passare dalla sua demolizione. Se l’obiettivo fosse davvero quello di rivedere o rimodulare il sistema attuale le strade percorse e i toni della discussione sarebbero stati altri…

  5. @ Nico
    Dici di esserti informato, ma ti sfugge che l’attuale sistema integrato, non destinando alla scuola pubblica sufficienti risorse per finanziare anche quella privata (cioè confessionale: tranne una, 26 su 27 scuole materne di Bologna sono legate alla FISM, cioè alla Curia), costringe 103 famiglie a iscrivere i propri figli a una scuola confessionale. L’abolizione del contributo alle private costerebbe, se fosse interamente a carico delle famiglie, solo 60 € a retta. Sempre che la Curia bolognese (primo proprietario immobiliare della città, peraltro) non decida di attingere al lascito testamentario di decine di milioni di euro ricevuto dal defunto fondatore del gruppo FAAC, invece che mantenerlo immobilizzato sui conti della LGT Bank di Lugano (così non paga neanche le tasse sui depositi bancari, davvero molto evangelico).
    O, in alternativa: perché tutto questo fronte cattolico, da Prodi al nuovo sottosegretario all’istruzione Galletti, invece di chiedere soldi al comune che ogni anno ne riceve sempre meno, non si impegnano per chiedere al governo di ripristinare i finanziamenti tagliati a scuola ed enti locali?

  6. nella spagna post guerra civile la restaurazione dell’ordine precostituito fu in qualche modo delegata al clero(in particolare ai gesuiti ndd)che con la gestione paramilitare dell’istruzione iniziò un’opera di “lobotomizzazione” collettiva fortunatamente non andata del tutto a buon fine.Ci manca solo che in questa strana parentesi della democrazia,in cui i partiti al governo alludono alla mancanza di alternative(quasi dimenticandosi che lo stesso presidente Napolitano alla fine dei colloqui con i rappresentanti degli stessi partiti che portarono alla sua elezione si premunì,onde evitare che qualcuno pensasse male,di sottolineare che questa era slegata ad accordi per formare un esecutivo),si continuino a sperperare risorse disperdendole continuando nel contempo a violentare il principio di non onerosità costituzionalmente ben definito in cui si afferma la libertà di insegnamento

  7. Per me avere la possibilità di mandare mio figlio alla materna privata NON è un ampliamento dell’offerta. Soprattutto se la materna privata è cattolica; soprattutto se gli insegnanti sono assunti solo con il placet della Curia; soprattutto se in quella scuola trovo SOLO un certo tipo di famiglie di provenienza.

  8. @Girolamo De Michele
    L’alternativa mi sembra molto più sensata e condivisibile. Il problema non è quel poco che il comune spende per le convenzioni, ma il fatto che a livello centrale non gli venga data la possibilità di continuare a spendere e investire sui suoi servizi. Credo che tagli più mirati e l’esclusione dal patto di stabilità dei costi relativi ai servizi educativi e al personale che ci lavora risolverebbero i problemi di cui stiamo parlando, e altri secondo me ancora più gravi, in maniera molto più efficace.
    Per quanto riguarda l’altro tema, sono perfettamente al corrente che ci sono 103 bambini esclusi, e mi dispiace per quelle famiglie, ma ritengo più importante il fatto che quest’anno più di 5300 bambini abbiano trovato posto gratuitamente nelle scuole comunali e che il Comune abbia dichiarato che altri 220 posti saranno disponibili dal prossimo anno educativo (e ulteriori 100 nel successivo).

  9. Riporto per intero Elena Elle:
    “Per me avere la possibilità di mandare mio figlio alla materna privata NON è un ampliamento dell’offerta. Soprattutto se la materna privata è cattolica; soprattutto se gli insegnanti sono assunti solo con il placet della Curia; soprattutto se in quella scuola trovo SOLO un certo tipo di famiglie di provenienza”.
    Ecco, si poteva dire meglio di così? Se Elena sbaglia, qualcuno mi sa spiegare dov’è l’errore?

  10. @Maurizio
    L’errore sta nel fatto che quello che per Elena non è un ampliamento dell’offerta, per molte altre famiglie lo è, magari perchè in una scuola paritaria privata trovano una migliore risposta alle loro esigenze di orari/calendario scolastico o magari perchè ci tengono ad iscrivere il proprio bambino come anticipatario per evitare di inserirlo per un solo anno al nido (e mi sembrerebbe forzato arrivare ad affermare che il Comune debba garantire il posto anche a tutti i potenziali anticipatari). Ho un bambino che frequenta la scuola dell’infanzia pubblica e un altro che la dovrà iniziare il prossimo anno. Se non ci fosse stato posto nella scuola pubblica, avere l’alternativa di iscriverli ad una paritaria convenzionata, potendo usufruire di un contributo comunale per le rette e avendo la garanzia di un controllo pubblico sugli standard qualitativi, sarebbe stato per me un ampliamento dell’offerta.

  11. fossi bolognese voterei A.
    qui (trento) molti bambini vengono iscritti alle scuole private (cattoliche) perchè queste offrono un orario pomeridiano più esteso o flessibile. Nella scuola pubblica i bambini alle 4.10 restano fuori dai cancelli della scuola.
    Bella comodità avere il posticipo per chi lavora, giusto? Non dover fare i salti mortali per andare a prendere i figli alle 16.
    Allora mi chiedo: quell’ora e mezza di servizio in più offerto dalla scuola privata è senz’altro un ampliamento dell’offerta, ma magari concentrando i fondi pubblici nelle scuole pubbliche quell’offerta ci sarebbe stata anche per chi non ha i soldi per pagare la privata. E chi ha i soldi per pagarsi la privata se la pagherebbe comunque.
    Così si potrebbe anche – per esempio – ovviare all’assurda situazione per cui chi ha i soldi per pagarsi la scuola privata può lavorare anche in orario pomeridiano. Chi quei soldi non li ha, ed è verosimilmente perchè si trova in condizioni lavorative più precarie, non ha copertura per il pomeriggio.
    A senza dubbio.
    con un piccolo OT: di buono c’è che questo referendum ha riaperto le discussioni sulla scuola con taglio molto concreto ed è già un ottimo risultato, no?

  12. @Nico: un ampliamento dell’offerta per essere davvero tale non dovrebbe prevedere l’adesione a requisiti confessionali. E comunque un contributo quantificabile in 60 euro/mese non mi pare tale da spostare masse di aspiranti verso il privato, essendo poco significativo per la singola famiglia e molto significativo, nel suo ammontare complessivo, per l’ente pubblico che lo eroga. Penso si possa affermare con ragionevole certezza che il venir meno di tale contributo non indurrebbe nessuno a ritirare i propri figli da alcuna scuola privata, mentre l’impiego di quei fondi per ripristinare i servizi delle esauste scuole pubbliche sarebbe di grande sollievo per tutti quelli che la scuola paritaria non se la possono comunque permettere, con o senza i 60 euro.

  13. @ Nico: se le scuole private possono offrire un’offerta più ampia è appunto perché sono più ricche (dove sono io nella materna parrocchiale c’è la cuoca e cucina interna, alla pubblica i bambini mangiano pasti precotti, anche se super studiati, bilanciati ecc. in una specie di container): non sarebbe meglio ampliare l’offerta d’orario della scuola pubblica invece? Nella elementare comunale dove va mio figlio per esempio il Comune destina un tot di fondi per fare attività pomeridiane di qualità (nuoto, danza, arte…) a prezzo super calmierato per i residenti, in modo che i bambini possano restare a scuola fino alle 16,15 dal lunedì al venerdì e non solo i due pomeriggi curricolari.

  14. @Maurizio
    Nell’economia di una famiglia 60 euro al mese potrebbero non essere trascurabili, magari non sposterebbe le masse, ma numeri confrontabili con le attuali liste d’attesa sì. Faccio l’avvocato del diavolo… ad oggi la scuola dell’infanzia comunale è gratuita, se tutti i bambini che la frequentano pagassero una retta “poco significativa per la singola famiglia” di 60 euro al mese si raccoglierebbero oltre tre milioni di euro l’anno, ben più di quello che si ricaverebbe dall’abrogazione dei contributi alle paritarie private.
    @Elena
    Le scuole dell’infanzia comunali a Bologna sono aperte dalle 7.30 alle 17.30, e il Comune offre un servizio di posticipo a pagamento (calcolato in base al reddito) fino alle 18 per quelle statali, che chiuderebbero alle 16.30. Le scuole dell’infanzia comunali di Bologna accolgono 5800 bambini, quelle statali 1600, le paritarie convenzionate circa 1800. I bambini esclusi dalle scuole pubbliche lo scorso anno sono stati poco più di 100.
    Sono d’accordo che sia importante portare l’attenzione sulla scuola pubblica, ma da bolognese ritengo che questa battaglia condotta proprio nel nostro territorio rischi di compromettere un sistema che in generale funziona e di cui dovremmo essere orgogliosi.

  15. @ Nico
    Quest’anno gli esuberi nella scuola pubblica – in base a i dati forniti dal Comune di Bologna – sono 131. Quindi più dell’anno scorso. E continueranno ad aumentare di anno in anno, ce lo dice la demografia, se non corriamo ai ripari. Il sistema integrato ha funzionato finché sono perdurate determinate condizioni: vacche grasse, calo demografico e un numero contenuto di famiglie immigrate. Nel momento in cui la percentuale di poveri e di non cattolici ha iniziato ad aumentare, di anno in anno il problema è tornato ripresentarsi. La società è cambiata rispetto a diciotto anni fa, quando fu stabilita la convenzione con le scuole cattoliche. Oggi Bologna – e l’Italia – è molto più multietnica, multireligiosa e multiconfessionale. E soprattutto molto più povera. Se crediamo che il problema dell’amministrazione sia ancora quello di garantire il diritto alla scuola, allora non possiamo non prendere atto che il sistema va cambiato. Se invece ci sta bene che un bambino povero e/o non cattolico che rimane escluso da scuola perché non c’è posto alla scuola pubblica rimanga a casa, perché tanto quella d’infanzia non è scuola dell’obbligo, allora l’istruzione come diritto l’abbiamo già mandata a farsi friggere.

  16. 60 euro sono pochi o tanti a seconda di quanto si guadagna. Sono pochi per famiglie che possono comunque pagarsi una retta privata che eccede di molto quei 60 euro, sono tanti per le famiglie tipo della scuola pubblica, che quelle rette non se le possono sobbarcare. Il ragionamento speculare tra le due tipologie non regge.

  17. Io insisto ancora su come gli insegnanti sono reclutati nella scuola privata, perché questa è una di quelle ingiustizie madornali che forse continuiamo a ignorare perché ci fa tanto comodo…
    Possibile che debba mettere mio figlio in una scuola dove a insegnare sono maestre (sfido chiunque a trovarmi un uomo che insegna in una scuola cattolica) che prima di tutto devono dimostrare di: frequentare la Chiesa e abbracciare i suoi principi; non essere divorziate; non vivere more uxorio; non avere avuto figli fuori dal matrimonio; essere contrarie all’aborto, all’omosessualità, al diritto di scelta per il fine vita.
    E poi, solo poi, devono pure avere un diploma magistrale.
    Ma con che coerenza manderei mio figlio in una scuola così? E con che coerenza un Comune laico può dare fondi a scuole così?
    Insisto: questo non è affatto un ampliamento dell’offerta.

  18. @Wu Ming 4
    Mi sembrerebbe giusto fare due considerazioni e riportare i dati reali (e non solo quelli che fanno comodo):
    1) Probabilmente è vero che nella graduatoria appena uscita ci sono 131 esclusi, ma è anche vero che ci sono quasi 100 posti liberi disponibili nelle scuole pubbliche (http://www.comune.bologna.it/media/files/posti_disponibili_dopo_grad140513.pdf). Qualche famiglia dovrà sacrificarsi e fare un po’ di strada per portare il proprio bimbo a scuola, ma avrà comunque un posto nella scuola pubblica, o no??
    2) Non ha senso confrontare gli esuberi che ci sono adesso dopo la prima graduatoria con quelli definitivi dello scorso anno. Se ricordo bene alla prima graduatoria l’anno scorso gli esclusi erano circa 400, quindi molti di più rispetto ai 131 di quest’anno. Se l’andamento sarà lo stesso dello scorso anno è plausibile che per l’inizio dell’anno educativo a settembre si riesca ad esaurire la lista d’attesa.

  19. @ Nico
    C’è da augurarselo davvero che la lista d’attesa venga esaurita. Ma siamo sempre al limite. Faccio presente che l’anno scorso, per portare gli esuberi da 423 a 103, il Comune di Bologna se l’è cavata aprendo in fretta e furia nuove sezioni, quasi tutte part-time, e stivandoci dentro i bambini senza criterio. Insomma non è consigliabile prendere a modello la soluzione emergenziale dell’anno scorso, che in quanto tale, cioè emergenziale, dimostra che il problema c’è.
    I 131 esuberi di quest’anno sono al netto dei 90 posti nella scuola pubblica. O almeno questo è quello che ha annunciato il Comune. 221 in lista d’attesa, 90 posti disponibili, uguale 131 esuberi, cioè 28 in più rispetto all’anno scorso.
    C’è poi un altro dato interessante: mentre i posti liberi nelle paritarie private l’anno scorso erano 96, quest’anno sono il triplo, cioè 300. Non vorrà dire che quando si creano le nuove sezioni comunali e statali e si rende effettivo per tutti il diritto alla scuola pubblica, le famiglie la prediligono e le scuole private si svuotano? Quanti sono i “captive consumers” che iscrivono i figli alle scuole paritarie private perché non c’è alternativa? Non sarà che tutta questa domanda di scuola paritaria confessionale è un po’ “drogata” dall’assenza di posti alla scuola pubblica? In fondo nel 1994, l’anno prima che entrasse in vigore la convenzione con le scuole d’infanzia cattoliche, gli alunni che le frequentavano erano il 24%. Nel 2013 sono il 22% (addirittura un po’ di meno).

  20. @Wu Ming 4
    Chiedo scusa, non avevo informazioni sul dato riguardante gli esuberi e avevo interpretato male quello da voi riportato. In ogni caso la mia impressione guardando questi numeri rimane quella che il Comune si stia dando da fare per risolvere il problema, con tempi di risposta sicuramente non immediati, ma comunque accettabili. Non ho capito il discorso sul numero di iscritti alle paritarie: se negli anni è addirittura calata la percentuale di iscritti, dove sarebbe “tutta questa domanda” drogata dall’assenza di posti nel pubblico?
    Leggendo anche altri commenti qui sopra in ogni caso sono sempre più convinta di essere estremamente fortunata (io e i miei bimbi) a vivere in una città come Bologna, che finora ha dimostrato di impegnarsi seriamente per fornire servizi di qualità ai bambini che ci abitano. La battaglia referendaria, che sarebbe sicuramente legittima in altri contesti e ad altri livelli, qui mi sembra pretestuosa e, secondo me, rischia di distogliere l’attenzione da altri temi (sempre in ambito educativo) che per la nostra realtà cittadina sarebbero in questo momento ben più rilevanti. Abbiamo un sistema che in generale funziona, perchè per migliorarlo dobbiamo per forza rischiare di distruggerlo?
    Grazie comunque per il confronto, credo che possa essere utile a tanti a farsi un’idea più precisa riguardo a questi temi.

  21. @ Nico
    Il Comune si sta dando fare da quando è sotto pressione del movimento referendario. Il Comune può sapere con largo anticipo (addirittura anni) quali sono i flussi della popolazione scolastica. Basta consultare l’anagrafe. Allora perché si ritrova ogni anno in emergenza, con gli esuberi? Come mai c’è voluto l’incombente referendum perché il Comune di Bologna inoltrasse una richiesta di maggiore impegno da parte dello Stato centrale nella scuola d’infanzia bolognese? A me pare che di pretestuoso non ci sia proprio niente, e che già adesso l’azione referendaria abbia spinto il Comune a darsi una mossa, mentre prima navigava a vista di anno in anno, di emergenza in emergenza. Se anche sarà servito soltanto a questo, questo referendum non sarà stato inutile.
    Anch’io mi reputo fortunato a vivere in una città come Bologna, dove un sistema di welfare per l’infanzia è ben radicato. E proprio per questo cerco di difenderlo, magari mettendomi anche nei panni di una famiglia a basso reddito e non cattolica che si ritrova il figlio escluso dalla scuola pubblica.
    Non vedo proprio quale dovrebbe essere la forza distruttiva di questo referendum consultivo.
    Ringrazio anch’io per il confronto che, quando è condotto tra persone civili, aiuta senz’altro a chiarirsi le idee.

  22. Io sono di Torino e non di Bologna però mio figlio il prossimo anno andrà in una scuola materna convenzionata, perchè il pubblico (statale +comunale) non riesce a coprire tutte le richieste (avrei scelto il pubblico avessi potuto).
    Si può scegliere l’opzione A solo se tutti i bambini trovano posto nella scuola pubblica nel loro quartiere (mica puoi aggravare le condizioni ambientali già gravissime da noi e portarli a scuola ad un’ora di distanza: la scuola la si deve poter raggiungere a piedi) e per farlo ci vuole l’obbligo scolastico, altrimenti (e nel caso di Torino altro che 100 fuori, i numeri sono ben altri) bisogna per forza convenzionare il privato (così da verificarne anche gli standard). Anche perchè da noi si tratta di pagare ben poco di più della retta comunale, mentre il privato ha altri prezzi (la differenza che corre tra 190 € e 450-500 € al mese, mentre la mensa al comunale è intorno ai 150€; quindi 40€ in più al mese).
    Come mamma ve lo dico: qui non si preferisce il convenzionato, noi siamo costretti al convenzionato, però se ci levate anche quello senza di contro esaurire le liste d’attesa siamo nei guai.

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