Insomma, da ultimo leggo e sento un bel po’ di lamentazioni. Oddio l’editoria italiana. Oddio che catastrofe. Non leggo più i contemporanei. Di contro, leggo anche. Urca che capolavoro. Dopo averlo letto non sarete più gli stessi. Quant’è figo l’autore, mi ha anche sorriso da lontano all’incontro stampa.
Facciamo un po’ di pulizia mentale e ricominciamo da capo. Ovvero. Non è vero, proprio no, che si pubblichino solo schifezze. Si pubblicano “anche” schifezze, come è del resto sempre avvenuto: l’anomalia di oggi è che si pubblica tanto e si legge di meno perché si hanno altre cose da fare, come per esempio scrivere su Facebook che si pubblicano troppe schifezze. In mezzo alle schifezze, però, ci sono romanzi molto buoni, medi, indimenticabili, inutili anche se ben scritti (in questo caso la parola inutile è da intendersi come personale sensazione relativa a un libro che leggi fino alla fine ma che dimenticherai già la mattina dopo mentre sbocconcelli il tuo cookie al cioccolato).
Allora? Allora, se si è Harold Bloom (sul Venerdì di domani Paola Zanuttini lo intervista) puoi anche dire che ormai il trash impera, che Jonathan Franzen e Foster Wallace non sono poi un granché e che per essere scrittore degno devi essere morto (un vecchio classico, peraltro). Se non si è Harold Bloom, e magari è anche una fortuna perché grande potere porta grande responsabilità e prendersi la responsabilità di dire che Foster Wallace non è un granché è faccenda pesante, ci si può limitare a dire una piccola cosa, che non dico per la prima volta. I libri sono magia: no, non è una frase da cioccolatino, intendo proprio magia, abracadabra, quella cosa lì. Arte dell’illusione. Che inganna chi vuole essere ingannato ed è felice di essere ingannato. Ci si può arrivare in mille modi, a quell’inganno, ma se funziona, funziona il libro. Io lo scrivo in modo banale. Il mio mago preferito, Mariano Tomatis, lo dice molto meglio di me. Trovate il video della sua lezione torinese su Giap, con il testo dell’intervento, da cui traggo solo questo estratto. Abracadabra e buona giornata.
“La prima indagine scientifica sul potere della parola risale alla Parigi del 1784. In quell’anno una commissione studia i presunti poteri paranormali di un medico tedesco, Franz Anton Mesmer. Il verbo “mesmerizzare” lo dobbiamo a lui: oggi diciamo che qualcosa ci ha “mesmerizzato” per dire che ci ha colpiti e sedotti. Mesmer è convinto di poter curare i malati con la sola imposizione delle mani. Come nella moderna pranoterapia, crede di proiettare dalle dita un fluido magnetico, in grado di sciogliere i nodi che impediscono al fluido vitale di scorrere liberamente nel corpo dei malati. La commissione scopre che il fluido non esiste ma deve ammettere che l’azione del medico ha una certa efficacia. Oggi conosciamo l’effetto placebo e sappiamo che la convinzione di venire curati ha effetti concreti sull’organismo. All’epoca la commissione ne intuisce l’esistenza attraverso un test molto ingegnoso. Uno dei commissari mette le mani a una certa distanza dal petto di un soggetto e costui sente una sensazione di calore. Spostando le mani lungo il corpo, l’impressione di caldo le segue. Poi il soggetto viene bendato, e questa volta le varie azioni gli vengono solo descritte. «Hai le mani vicino alle spalle, cosa senti? Ora le sto imponendo sui fianchi, cosa senti?» Non c’è nessuna imposizione delle mani, eppure le sole parole provocano le stesse sensazioni. La commissione conclude che non è il fluido di Mesmer ad agire sui malati ma le sue parole, che stimolano l’immaginazione e provocano vere e proprie reazioni fisiche. La moderna psicoterapia e l’ipnosi affondano le proprie radici in questa scoperta sensazionale.
Da sempre poeti e cantastorie sono consapevoli del potere che hanno le parole di stimolare – in chi ascolta – sensazioni di compassione, vendetta, tenerezza, rabbia, confusione, terrore… A lungo l’indagine di queste possibilità è stata di carattere pratico: sono stati elaborati miti e leggende, scritti romanzi e composte canzoni. Solo negli ultimi due secoli psicologi e neuroscienziati hanno iniziato a studiare gli effetti del linguaggio in maniera più rigorosa e quantitativa. Le scoperte che sono state fatte sono estremamente affascinanti.
Si è scoperto che le parole possono modificare la percezione. Nel 1968 Paul R. Wilson si presenta all’Università del Queensland con un collega, chiedendo agli studenti: «Secondo voi, quanto è alto questo signore?» Fa la stessa domanda a tre classi diverse, con una sola differenza. Alla prima classe dice che si tratta di un laureando; alla seconda, che è un assegnista di ricerca; alla terza, che è un professore a tempo pieno. Ogni studente misura con lo sguardo l’altezza dell’uomo e Wilson raccoglie le varie stime; scoprendo che le diverse classi hanno visto altezze diverse: man mano che la carica sale, aumenta anche l’altezza che gli viene attribuita. L’uomo è sempre lo stesso, ma chi crede di trovarsi davanti a un professore lo vede più alto di chi crede che si tratti di uno studente.
Si è scoperto che le parole possono modificare i ricordi. Nel 1975 Elizabeth Loftus fa vedere ad alcuni soggetti le fotografie di un incidente stradale. A metà di loro viene chiesto di stimare a quale velocità andassero le auto quando si sono “toccate”, all’altra metà quanto andassero veloci quando si sono “scontrate”. Tutti vedono lo stesso set di immagini, ma i due verbi hanno influenzato in modo diverso l’immaginazione: chi ha sentito la parola “toccate” stima una velocità più bassa rispetto a chi ha sentito la parola “scontrate”.
La cosa più subdola è che quelle parole sono nascoste in una domanda e quindi passano quasi inosservate a chi le ascolta. È per questo che in tribunale, durante gli interrogatori, non basta registrare le risposte ma bisogna tener traccia anche delle domande: le parole scelte, infatti, possono manipolare i ricordi di un testimone in favore o contro l’imputato. Noi maghi usiamo lo stesso meccanismo per cancellare – dal ricordo degli spettatori – ogni indizio del trucco usato; il nostro lavoro consiste nel lasciare l’impressione di aver assistito a qualcosa di totalmente inspiegabile”.
Ps. Ah. Non dimenticate il finale:
“Contro i nichilisti, capaci solo di smontare qualunque tentativo di resistenza alle leggi del mercato, io ho un antidoto. Non è proprio una formula magica, ma con me funziona. È un dialogo tratto da Q, il romanzo più noto dei Wu Ming. Ogni tanto lo rileggo, perché le sue parole mi aiutano a rimettere la barra al centro. Da una parte c’è Eloi, che cerca di proporre uno stile di vita alternativo a quello dei ricchi mercanti. Dall’altra c’è il protagonista, più cinico e rassegnato, che commenta:
«E tu vorresti convincere i mercanti giù al porto che è meglio per il loro spirito dare tutto a voi altri…?»
Eloi risponde: «Nient’affatto. Voglio convincerli che è più bella una vita libera dalla schiavitù del denaro e delle merci.»
«Scordatelo. Te lo dice uno che i ricchi li ha combattuti per tutta la vita.»
Eloi stringe gli occhi e alza il bicchiere.
«Noi non vogliamo combatterli, sono troppo forti. Vogliamo sedurli.»
Wu Ming vola alto, ma è solo un collettivo di teste e non un genio e non tocca le vette di Carl Barks ( creatore di Uncle Scrooge/Zio Paperone e di tanti altri Ducks disneyani ndr ) -secondo alcuni uno dei maggiori storytellers del secolo scorso – quando fa terminare la sua Zio Paperone e la Disfida dei Dollari con il vecchio arpagone pennuto che nuota tra le sue monetine e Paperino che commenta come lo zio con tutto il suo danaro sia un papero povero perchè non trova il tempo ed il modo di ritagliarsi una finestra in cui gustare un cono gelato. Scrooge, mentre i nipoti ed i loro
ice-creams escono di scena, riflette che nessuno è davvero povero se ha tempo e modo di fare quello che gli piace e riprende a tuffarsi nelle monete “come un pesce baleno”.
Ero un bimbo alto molto meno della percezione di un professore di ruolo da parte della sua scolaresca quando ho letto quel fumetto. Deve esser stato addirittura prima che scoprissi quei comics ripieni di grandi poteri che portano a grandi responsabilità. Oggi, dopo quarant’anni, sono sedotto dalla magia delle parole di Paperone e mi basta pensare alle parole gelato al caffè per sentire caldo dalle parti del cuore.
Sorry, non so perchè il commento qui sopra sia stato firmato come Anonymous, Non che Crepascolo sia un nome vero, ma del resto anche Wu Ming …
Anch’io ho sempre apprezzato quella storia di Paperino e Zio Paperone, @Crepascolo. Però, giusto l’altra sera, rivedendomi C’eravamo tanto amati (pare incredibile, ma dopo 40 anni ci sono ancora scoperte da fare in quel film), ho pensato che il finale della disfida del dollaro aveva potuto fornire a Scola lo spunto per il monologo di Aldo Fabrizi sui ricchi che vivono soli, mentre i poveri si sostengono fra loro. E, fermandosi in superficie, è anche una possibile morale del film, quella dei ricchi, vecchi e parvenu, condannati a morire soli, o peggio ad avere solo i propri simili come compagnia. Però, scendendo sotto la superficie, è altrettanto vero che i ricchi come quelli del film, cioè i palazzinari senza scrupoli, hanno preso in mano Roma e la comandano da vent’anni (più i 40 che sono trascorsi dall’uscita del film a oggi), alla faccia dei gelati che sono buoni (come cantavano gli Skiantos) e di quelli che col gelato il mondo lo lasciano così com’è. Mentre i “buoni e generosi” come Manfredi ci provavano (e continuano a provarci) ancora, nonostante tutto, a cambiare il mondo. E allora alla consolazione del gelato preferisco il “se semo stufati d’esse’ bboni e generosi” del portantino Manfredi [a href=”https://www.youtube.com/watch?v=6SrApGtKZ2U”qui, al minuto 5:30].
Il link che chiude il commento precedente è questo: https://www.youtube.com/watch?v=6SrApGtKZ2U
Scola è stato un vignettista quindi quasi un collega di Barks. Io non sono un fan dei Paperoni parvenu o per antico censo che si sono spartiti Roma e tutto il resto e tutto sommato la penso come il collega di Scola nomato Monicelli – quindi per la proprietà transitiva quasi un altro collega di Barks – che sosteneva i ricchi cullassero i poveri nella speranza che Altrove avrebbero avuto quello che sarebbe stato meglio per i ricchi non chiedessero Qui ed Ora.
Alcuni Paperoni parvenu ed anche no assunsero un certo Tomatis Mesmer perchè si affacciasse sulla piazza del villaggio globale e dicesse le parole magiche che dovevano toccare il cuore dei poveri senza scontrarsi con loro e farli sentire alti come professori universitari, ma i poveri erano stufi di sorbire sorbetti ed altra materia che al sole non si scioglie e si secca e seccati una volta per tutte mandarono un pernacchio a Mesmer ed ai suoi mandanti, la cui eco li raggiunse ovunque stessero tuffandosi sulle loro monete. Al crepuscolo non era cambiato nulla ed i ricchi erano ancora tali, ma sai la soddisfazione di mandare un messaggio sì sonoro a chi di solito ascolta ben altro tintinnìo…
Ma se vi piace l’idea che non è vero che “nomina sunt consequentia rerum” e che è invece vero che “res sunt consequentia nominum” allora comprate e leggete “Contro natura” di Beatrice Mautino e Dario Bressanini (consiglio questo che rasenta l’ordine) e scoprite che se pacioccate i geni dei vegetali in laboratorio e chiamate il risultato “Tritordeum, il cereale del futuro”, allora ci sarà la coda nei negozi bio per comprarlo e invece se gli appiccicate per sbaglio l’etichetta OGM allora sarà destinato dai benpensanti alimentari ai gironi infernali del cibo tossico, strumento delle multinazionali, sabotatore dell’ambiente e killer della biodiversità.
Tritordeum non sembra il cereale del futuro quanto il sovrano di un regno atlantideo che risale tra la mucilla dell’Adriatico in un contesto da romanzo anni ottanta di Tondelli e si trascina fino al bar di uno stabilimento balneare dei lidi ferraresi e si rimpinza di bomboloni ( krapfen per coloro cresciuti dalle parti di vascorossilandia ndr ) piangendo il suo perduto amor mentre Casadei e Morrissey bisticciano a tutto decibel dalle radioline dei gitanti.
@ picobeta
io il libro di Bressanini-Mautino l’ho letto, ora tu da’ un colpo sul post di Giap lasciato in sospeso, anche solo per dire che stai bene.
@stefano
sono lieto del fatto che condividiamo qualche utile lettura di sano e laico galileismo come Mautino/Bressanini, che scrivono mica male anche se usi a formule chimiche e a articoli su riviste di biotecnologia. Ovviamento ho onorato la tua richiesta e sono andato a lasciare qualche replica sul sito degli ottimi Wu Ming
@CREPASCOLO
Tritordeum è nomen da ingenerare ampie e variegate consequentia, che lei non si è lasciato sfuggire
Su Giap deve lavorare di più…
http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=24085
E` un caso che Jonathan Franzen si sia espresso in questi termini sul collega a lui associato in questo ragionamento “sanguinario” in questi elogi riportati su Wikipedia oppure è in corso una guerra fra bande combattuta con armamenti neurolinguistici?:
Non esisteva scrittore vivente dotato di un virtuosismo retorico più autorevole, entusiasmante e inventivo del suo. Arrivato alla parola numero 70 o 100 o 140 di una frase sprofondata dentro un paragrafo lungo tre pagine e intriso di umorismo macabro o di autocoscienza favolosamente reticolata, sentivi l’odore di ozono esalare dalla precisione scoppiettante del costrutto che lui impartiva alle frasi, dal destreggiarsi fluido e calibratissimo tra dieci livelli di dizione: alta, bassa, media, tecnica, avanguardistica, secchiona, filosofica, gergale, farsesca, esortativa, teppistica, sdolcinata o lirica. Quelle frasi e quelle pagine, quando riusciva a crearle, erano una dimora sincera, sicura e felice quanto ogni altra avuta in quasi tutti i venti della nostra conoscenza.
Perché in quasi tutto il periodo della nostra conoscenza, l’interazione forse più intensa che ho avuto con Dave è stata quando ho letto da solo sulla mia poltrona, per dieci sere di fila, il manoscritto di Infinite Jest. È in quel libro che Dave, per la prima volta, ha orchestrato se stesso e il mondo secondo i suoi dettami. A livello più microscopico: sulla faccia della terra non si è mai visto un prosatore che usasse la punteggiatura con la passione e la minuzia di Dave Wallace. A livello più globale: ha sfornato un migliaio di pagine di amenità che, pur non mostrando mai un cedimento nella forma e nella qualità dell’umorismo, diventavano sempre meno spiritose, sezione dopo sezione finché, verso la fine, ti ritrovavi a pensare che tanto valeva intitolare il libro Infinite Sadness. Nessuno come Dave ha colpito nel segno.
Se i detrattori di Harold Bloom, e chi lo critica senza aver mai aperto qualche suo libro, avessero l’1% della sua cultura e passione… il mondo sarebbe un posto migliore, quello editoriale soprattutto…
Sì capo. Giusto capo. Hai ragione capo 😀
@lipperini: coda di paglia?
il fanatismo in tutte le sue forme non è una buona stampella intellettuale…
p.s
il capo sei tu…
Angus, come fai a dire che chi critica X non ha aperto qualche suo libro? Hai i servizi d’intelligence? Metti i chip nei polpastrelli alla gente?
@Va a lavurér
Tu cosa hai letto di HB?
@lipperini
e tu cosa hai letto di HB?
p.s
tra 100 anni l’umanitá continuerá a leggere Shakespeare e Dante. Di Stephen King nessuno si ricorderá.
Certo, sicuro. Mi presti la macchina del tempo (Wells, quella) per verificare chi si ricorda di chi fra cento anni? 🙂
No, non rispondo a una domanda maleducata e supponente. Oh sì, liberissimo di pensare questastronzettanonhalettoniente, che bello, continuo ad annidarmi sul blog a farle le pulci perché così, azzo, mi sento un figo. 🙂 Dai, ti ho risolto la serata, Angus!
Da copione, non hai risposto alla domanda, capo…
Hai solo dimostrato mancanza di rispetto e argomenti. Maleducazione e pensieri proiettati son tutta farina del tuo bazaar, sorry. Qui a fare il “figo” sotuttoio sei solo tu, capo…
Angus, caro. Capisco che ci si senta meglio quando si ottiene l’ultima parola. Te la lascio. Ma la mancanza di argomentazione è tutta tua. Io non rispondo alle interrogazioni dei presunti maestrini e quel che ho detto lo confermo virgola dopo virgola, ok? Ora, gentilmente, ho molto di meglio da fare che dialogare secondo il canone delle scuole materne. Saluti.
Ho letto “Il genio”. Due palle come cocomeri.
Si ricorderanno di Stephen King, forse, perché da esseri umani ci nutriamo di mode. Ma ci sarà sempre chi dirà “Ma Shakespeare è meglio di…”. Certo, dubito che ci sarà qualcuno (tranne italianisti sfegatati) che si ricorderà di Wu Ming, come nutro forti perplessità sulla durata ultra-secolare del successo di un Wallace o di un Franzen. Ma, giustamente, chi può dirlo? Non abbiamo la macchina del tempo 🙂
Del resto, oggi, di scrittrici semi-sconosciute pubblicate 100 anni fa (tipo Annie Vivanti o la Marchesa Colombi), ci ricordiamo solo noi *noiose* studiose accusate di *femminismo a oltranza*. E ci dicono che siamo intellettuali da mercatino. Pazienza. Il mondo gira sempre uguale.
Grazie Loredana per l’apertura mentale che ci regali, e pazienza se a qualcuno da’ fastidio. (Bloom è un grande studioso, e la grandezza va di pari passo con la sua supponenza fallogocentrica: va letto proprio perché così si può imparare a criticarlo. E subito dopo leggetevi Gilbert e Gubar. E subito dopo Jane Eyre. E subito dopo Jean Rhys. E così via….) 🙂
Se non ci fosse stato Harold Bloom ad aver criticato Stephen King, i kingiani avrebbero dovuto inventarselo, vista la loro ossessione verso non meglio specificati ‘critici’.
Una volta chiesi dei nomi, a parte quello sempre ripetuto del povero Bloom. Mi venne educatamente risposto di andarmeli a cercare su Google. Il vero kingiani sa che esistono per fede.
@Serena
Ad alcuni da fastidio semmai la faciloneria e non “l’apertura mentale” (i libri prima si leggono – i libri e non l’intervista all’autore – e poi si criticano). Vedi, il messaggio che si vuole far passare in più sedi (un messaggio funzionale al modello economico attuale) è che l’importanza di un libro risieda nell’emozione (il libro è magia, il libro deve rispondere al canone dell’emozione etc etc) e questa è la massima espressione del qualunquismo politically correct ormai imperante (il trash di cui parla Bloom) perché, si possono mai mettere in dubbio le emozioni? In realtà si… Se parliamo di letteratura dovrebbe contare innanzitutto il talento letterario (l’arte… art… art… che risuona come basso continuo nella Tempesta di Shakespeare… If by your art…). Harold Bloom, che se ne infischia delle mode e delle ideologie tutte, femministe e fallogocentriche comprese, è difficile da leggere (presuppone una serie di letture forti alle spalle e competenze, sulla poesia in particolare che ormai a quasi nessuno interessa soprattutto studiare) quindi comprendo il fastidio di molti, le soluzioni facili, le lamentele, la retorica della difesa dei generi, il risentimento insomma di voler essere ascoltati, e premiati addirittura, non per quanto si vale ma per quel che si è (per “l’essere altro da” che “virtuosamente”si espone). Un esempio al volo: i libri di Harry Potter. Stile a parte, non valgono molto letterariamente (magari la Rowling avesse il talento di Beatrix Potter…) non perché sono stati scritti da una donna o per il genere a cui appartengono ma per l’accozzaglia di stereotipi di cui sono intrisi (pregasi leggere Jack Zipes sulla questione, che in Italia non viene più stampato). Il mondo in realtà è sempre uguale, esisteranno sempre i maghi, dotati di vera arte, e gli imbonitori del futuro e delle emozioni (ed è metafisicamente giusto e sano che sia così). Il cibo degli esseri umani non sono le mode, lo diventano quando gli umani non si accorgono di essere ormai addomesticati e non si fanno più domande… (quelle non dell’intelligenza ma dell’intelletto del cor, che è altra cosa…).
@Angus. Adoro Jack Zipes (e Marina Warner, devo dire, li ho letti quasi contemporaneamente). Sicuramente non mi sono espressa bene nel mio primo commento, non intendevo certo suggerire che la “buona” letteratura abbia un sesso (l’ideologia femminista è tanto pericolosa quanto le altre…).
E concordo pienamente con te quando dici “Il mondo in realtà è sempre uguale, esisteranno sempre i maghi, dotati di vera arte, e gli imbonitori del futuro e delle emozioni (ed è metafisicamente giusto e sano che sia così). Il cibo degli esseri umani non sono le mode, lo diventano quando gli umani non si accorgono di essere ormai addomesticati e non si fanno più domande”…
Io, di domande me ne sono posta sia leggendo Bloom sia Franzen e King. Il primo, nonostante l’impostazione concettuale praticamente speculare alla mia, mi ha dato MOLTO. Gli altri, mi dispiace dirlo, li ho cestinati. Non mi hanno emozionato, né il cuore né il cervello. Non vi ho trovato materia per pensare, né alla fin fine, talento.
Però non mi spingo tanto sino a dire che non possano emozionare qualcun altro. Volevo spezzare una lancia a favore del lavoro di Loredana, che i testi li ha letti e li ha fatti propri. Certamente, la faciloneria di cui parli è da evitare (per questo nel mio primo commento parlavo di moda preconizzando la presenza futura di King…). Grazie del tuo commento!
@Serena
“Però non mi spingo tanto sino a dire che non possano emozionare qualcun altro.”
Emozionano eccome (sarcasticamente potrei dire che ognuno in fondo trova le emozioni che merita, il che è vero…) ma è già un’epoca buia quella che viviamo… al sarcasmo preferisco pensare che ci siano ancora esseri umani che all’emozionalismo preferiscono la ricerca della parte migliore di se stessi attraverso la pratica delle arti (rileggevo delle stupende pagine della Zambrano in questi giorni, “Perché si scrive” da “Verso un sapere dell’anima” che andrebbero ben meditate). Grazie per la tua gentilezza.
Angus. Il problema è che si può amare Zambrano ed essere emozionali, o emotivi. E’ rifiutare e disprezzare chi prova le due strade che, per me, è poco tollerabile. So di non essere gentile come Serena, ma tant’è.
@lipperini
Si apre un fronte di indagine tra letteratura e neuroscienze che non possiamo affrontare in questa sede. (“Emozionalismo” sta a “Sensorialismo” come “emotività” a “sensorialità”? Non lo so… Dovremmo parlarne con Anna Barbara che discettava anni or sono di questo in architettura). Libera emozione in libero stato? Parlo in generale, basta che non si scambi, o si imponga, il diritto all’emozione per altro, è una deriva pericolosa che non fa bene alla letteratura e ai lettori.
p.s
Mai disprezzato nulla e nessuno, ne qui ne altrove. (Sprezzatura castiglioniana talvolta che è diversa dal disprezzo).
«Certo, dubito che ci sarà qualcuno (tranne italianisti sfegatati) che si ricorderà di Wu Ming»
Io invece ho l’impressione che li ricorderà un sacco di gente tranne gli italianisti sfegatati.