ADOLESCENZE

Ho scritto questo articolo per il quotidiano di oggi. Avrei anche una cosa da segnalare, a proposito di adolescenti, ma mi riservo un post lungo, domani.

Ha sedici anni, sua madre è scappata con un benzinaio, suo padre è un alcolista, sua sorella una cattolica fervente. Oppure. Ha sedici anni e il giorno del suo compleanno scompare con il portatile nello zaino. Oppure ancora. Ha vent’anni, e si uccide sugli scogli di Napoli insieme al fidanzato tunisino.
   Tre diverse adolescenze in tre romanzi fra loro lontani per stile e linguaggio, ma decisamente simili per la tematica scelta: Mia sorella è una foca monaca, di Christian Frascella (Fazi, pagg. 291, euro 17,50), Sweet Sixteen, di Birgit Vanderbeke (Del Vecchio, pagg. 116, euro 13,00, traduzione di Paola Del Zoppo) e Quelle stanze piene di vento di Francesca Di Martino (Einaudi Stile Libero, pagg. 190, euro 15,50).  Tratti comuni: nessuna strizzata d’occhio agli adolescenti da best seller. Nessuna concessione al romanticismo di maniera (o, peggio, al sempreverde lolitismo che caratterizza soprattutto le storie di adolescenze femminili, meglio se complicate da anoressia-tossicodipendenza-prostituzione). Nessuna indulgenza, infine: le tre storie trovano il loro centro nel momento esatto in cui si concepisce il sogno di onnipotenza che alla giovinezza viene associato. In  due casi su tre, quel sogno si infrange subito.
   Il protagonista di Mia sorella è una foca monaca, per esempio, ha avuto sedici anni nel 1989: guarda alla televisione le immagini del muro di Berlino che viene smantellato e non capisce.  Non pensa e  non sogna in grande: vive nell’hinterland torinese assieme a un padre amante della birra e svelto di cinghia, combatte, come si conviene, con gli ormoni in ebollizione, sviluppa una straordinaria capacità  di trasformare la sconfitta in meraviglia. Pestato e umiliato da un compagno di scuola, si sente come il pugile Oscar Moya che sceglie di non infierire sugli avversari. Sdegnato dalle ragazze – e mandato letteralmente al tappeto da un pugno dell’unica donna di cui si innamora – , è certo di possedere una carica erotica che le annichilisce. Assunto in prova come apprendista in una fabbrica, distribuisce bugie agli altri aspiranti operai, fingendosi d volta in volta una stella nascente del calcio o dichiarandosi convinto fascista quando si tratta di conquistare la benevolenza del capo, fanatico mussoliniano. Dunque, gioca con l’autoassoluzione, è odioso e manesco, esige attenzione  da un mondo femminile che non capisce e da un mondo maschile che lo respinge perchè troppo giovane e troppo fragile.  L’adolescente di Frascella è, insomma, la stralunata incarnazione di tutto quel che c’è di tragico, eroico, assurdo nella giovinezza: che è destinata a perdere (il lavoro, forse – dopo un malore fatale – il padre) per guadagnare consapevolezza. Ma è davvero un figlio degli anni Ottanta: nel suo mondo manca ogni alleanza generazionale.

  In quel 1989 che vede il protagonista di Frascella attonito davanti al crollo del Muro, Birgit Vanderbeke scrisse un piccolo libro di culto, La cena delle cozze (vincitore del premio Bachmann): era il monologo di un’adolescente che assisteva alla preparazione di un pranzo a base di cozze da parte della madre e del fratello, per omaggiare il padre-padrone che pretendeva di mangiare frutti di mare anche se il resto della famiglia li detestava. Quel romanzo finiva in rivolta: esattamente come Sweet sixteen.  Ma quest’ultima è una rivolta singolare: il giorno del loro sedicesimo compleanno, ragazzi e ragazze di ogni estrazione sociale scompaiono. Non lasciano messaggi, non manifestano segni di depressione, mangiano con gusto gli orsetti di gelatina o le torte alla crema che i genitori hanno preparato per loro, aprono con gioia i regali. E poi si dissolvono.  Gli adulti non capiscono, naturalmente, e si interrogano: specie  l’io narrante, un cinquantenne che lavora in un’agenzia di ricerche sulle tendenze giovanili e che usa come cavia  Josha, il fratello quasi-sedicenne di una sua collega. Senza però riuscire a superare l’enigma di un taglio di capelli, di un software, di un manga, di un blog, di un paio di pantaloni a vita bassa. Si convocano esperti da ogni parte del mondo, si batte ogni strada, fino all’appello del governo  a reti unificate. Ma i  giovani non tornano più.

   Non tornano neanche Alì e Teresella, i due innamorati suicidi del libro di Francesca Di Martino: che ugualmente prende le mosse dalla totale incomprensione adulta. “Dietro di loro non c’è niente, e il mondo è nato con loro”, dice, con insofferenza,  una collega della protagonista, una professoressa in pensione che decide di scrivere un saggio sugli adolescenti. Anzi: sulla proiezione che i giovani hanno di se stessi nel futuro. Raccogliendo dati, incappa in un trafiletto sul suicidio dei due innamorati. Parte per Napoli. Conoscerà le loro famiglie. Conoscerà i segreti che sono dietro quella morte. E conoscerà, attraverso il suo diario, Teresella, che davanti alla doppia atrocità che si cela nella vita del suo amato e in quella della sua famiglia farà una scelta. Invece che veder fare il male, azzerarlo. Sparire, appunto.

   Perché l’idea che i tre libri restituiscono, infine, dell’adolescenza, è quella di figure in corsa: verso il futuro, come in Frascella. Verso il nulla, come in Di Martino. Verso un mondo che potrebbe domarli: o che potrebbero, infine, piegare ai loro sogni. L’ultima immagine di Sweet Sixteen  è quella di un gruppo di pinguini che si gira verso il mare. Poi, arriva l’onda.

7 pensieri su “ADOLESCENZE

  1. Non sembrano, comunque, dei ritratti dell’adolescenza “fiori di rosa fiori di pesco”…
    A sconvolgermi molto in quei casi in cui mi imbatto di racconti sugli adolescenti è la presenza costante di un dato: questi adolescenti fanno sogni frustrati in partenza. Sembra davvero che si sentano già fatalisticamente vittime del futuro e del mondo dei grandi.
    Non mi riferisco ai libri in questione, giacché non li ho letti.
    Però, forse mi sbaglio, sento sempre la presenza del “destino segnato” negli occhi e nelle menti. E anche nei ritratti più fasulli di adolescenti mai esistiti (o minchioni come suggeriva quel bravo critico di ieri!), non percepisco quasi mai atteggiamenti “sani”.
    Perché, aldilà di tutto, l’adolescenza contiene delle mirabolanti spinte propulsive. Tutto, qui in Italia, sembra ridursi al sesso, ai problemi in famiglia, la droga e la violenza, e – soprattutto – l’incomprensione.
    Ma – domando al commentarium – dov’è la voglia d’avventura?
    – – –
    Perdonatemi questa piccola nota autobiografica.
    Io sono cresciuto a Cecina, un piccolo paese sulla costa tirrenica vicino Livorno. Circondato dalla campagna, dalle colline. Poco traffico, pochi scandali. Insomma, la “provincia”.
    Quando mi sono spostato a Roma e ho ricostruito le adolescenze dei miei compagni e nuovi amici, cresciuti nella capitale, sono spuntate fuori delle differenze abissali. E loro raccontavano, senza troppo esagerare, molte delle istanze e dei problemi che posso ritrovare nei film e nei romanzi che trattano dell’adolescenza.
    Però, ecco io mi riconosco molto più in “Saltatempo” di Benni…
    E riconosco anche che la provincia tosco-emiliana sia differente da quella romana, da quella napoletana, e via dicendo.
    E’ una mia pippa mentale, o forse la metropoli segna gli adolescenti in maniera molto più “terribile”?

  2. Attenzione! Spoiler “Lunar Park” di B.E.E.
    Leggendo il post, la scomparsa degli adolescenti di “Sweet Sixteen” mi ha ricordato quello che accade “in Lunar Park”. C’è qualcosa di diverso nel romanzo di Birgit Vanderbeke, oppure anche qui permane il mistero sulle motivazioni della scomparsa e sul futuro degli adolescenti?

  3. Ciao Ekerot. Fai un discorso molto interessante. Propongo 3+1 spunti, molto grossolanamente.
    1) Tu leghi giustissimamente adò e avventura, ma in che dimensioni l’avventura può “fare romanzo”? Il nostro mondo iperorganizzato ha due posti incasellati per l’avventura, il fantasy & co nella letteratura e l’intrattenimento in genere, l’outdoor e lo sport nella vita dai singoli. Non è la dimensione avventurosa, ma quella drammtica a portare avanti l’azione nei romanzi “realistici” di oggi. L’avventura, nelle arti narrative, è accoppiata invariabilemente alla dimensione del fantastico oppure è un ingrediente del dramma o della tragedia (penso a Krakauer).
    2) L’interesse che riscuotono oggi gli adolescenti e i bambini presso gli scrittori è dato dal fatto che sono figure marginali che si muovono in una specie di infra-mondo non completamente domato dalle regole del mondo iperorganizzato degli adulti, e “servono” agli scrittori per capitalizzare su questa loro particolare posizione. Vale per Ammaniti come per Il signore delle mosche (antenato di tanti).
    3) La fiducia nella costruzione di qualcosa di positivo e collettivo nel mondo di oggi è scarsa in lettertura realistica, i “bildungs” scarseggiano (di nuovo — fantasy & co a parte) e vanno molto più di moda i romanzi di autodistruzione, o per lo meno di “costruzione al negativo”, per sottrazione e fuga dal mondo.
    4) Varie: Benni è molto bravo a evitare questi “blocchi”, giustissima segnalazione. A una dimensione “picaresca” più che avventurosa dell’adolescenza si rifà spesso Gianni Celati. Lodoli, che di adolescenti si pur intende, non mi pare ne faccia i protagonisti dei suoi romanzi…

  4. E’ vero Paolo S.
    Oggi l’avventura è stata demandata a genere di “consumo”.
    Però mi riferisco anche a qualcos’altro quando intendo “spirito d’avventura”.
    Quando con gli amici d’antan si vide “Stand by me”, nel giro di pochi mesi venne organizzata la notte fuori in campagna per intrufolarsi nella macchia e cercare le famigerate “grotte gialle”. Di fatto poco o nulla di realmente picaresco avvenne. Niente che possa finire in un film o in un romanzo avvincente.
    Ma per noi fu una notte mitica. Perché fu per noi di fatto un’avventura. Certo che sognavamo “I goonies”, ma nel nostro piccolo ci divertimmo da matti.
    Io credo, o quantomeno avverto, che almeno qui in Italia sia al Cinema sia nella Letteratura, è diventato difficile trovare quella curiosità (perché non c’è altro termine) nei personaggi adolescenti. Sembrano un po’ spenti, oppure “belli e dannati”. Maschi e femmine senza distinzione.
    La nottata mitica è diventata: 1) una scopata all’addiaccio sull’attico del palazzo 2) una sbronza colossale (possibilmente con droga).
    Non voglio certo dire che alla base di queste due opzioni non ci sia la curiosità. Ma è possibile che non ci si smuova da lì?
    Ed hai perfettamente ragione sui romanzi di autodistruzione. Oggi è la moda. Anche i libri di Moccia entrano in questo girone. Guardando i suoi protagonisti tu li vedi proiettati nel futuro?
    Assolutamente no.
    Sono personaggi che non hanno quasi niente da dire nel presente figuriamoci nel poi.

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