AMAZON, IL POTERE E JAMES JOYCE

Sul fronte Amazon contro il resto del mondo, c’è da registrare l’accordo firmato dal giga-colosso con l’editore Simon&Schuster, il quale ha scritto ai suoi autori rassicurandoli su compensi e disponibilità dei loro titoli su Amazon medesimo. Fine? No. Moltissimi altri autori che pubblicano con Hachette e con altri editori,  si sono rivolti all’Antitrust per impedire che i loro libri vengano boicottati nella guerra in corso. Inoltre. James Patterson, intervistato oggi da Federico Rampini, prende una posizione che a mio parere non fa bene alla vicenda: ovvero, grosso modo, Internet è il male.
“… la stragrande maggioranza degli scrittori sopravvive e può fare quel mestiere solo perché gli editori pagano un anticipo con cui mantenersi e scrivere per due o tre anni. Chi pensa che tutto il mondo della scrittura possa tranquillamente sopravvivere con altre regole e altri modelli, su Internet, secondo me sbaglia. Ve l’immaginate James Joyce che pubblica la prima versione di Ulisse in Rete? Dopo un mese di stroncature e sberleffi online, scompare nell’oblio. Dove lo trovi su Internet l’editor che si prende cura di quel romanzo, lo riduce dov’è troppo lungo, lo difende a spada tratta, educa il pubblico a scoprire un libro difficile? Il modello di Amazon editore va bene per vendere online le 50 sfumature di grigio , non molto di più”.
Sono due discorsi diversi. A parte il fatto che Joyce non avrebbe ricevuto stroncature e sberleffi, ma una lunghissima serie di “mi piace” e richieste di recensire il libro di chi commenta e pubblicità al libro di chi commenta inclusa nella recensione. Si stronca quel che viene pubblicato su carta, non con un confratello, e questo mi sembra uno dei problemi. Secondo: la vendita di libri on line va benissimo, visto che non tutti hanno accesso a librerie e biblioteche e visto che le librerie sono a loro volta ostaggio degli editori, dell’alluvione di titoli dovuta ai medesimi e dalla visibilità pagata dai medesimi.
Il vero punto, mi pare, è quello del potere. Ben lo spiega, sempre su Repubblica, l’economista Paul Krugman. Ecco.
Così Amazon strangola il mercato
Amazon. com, il colosso del commercio online, ha troppo potere e il modo in cui usa questo potere danneggia l’America. Sì, lo so, detta così è un po’ brutale. Ma volevo arrivare al punto fin da subito, perché quando si parla di Amazon spesso e volentieri si finisce per perdersi in questioni di secondaria importanza. Per esempio i detrattori della libreria online a volte la ritraggono come un mostro pronto a inghiottire l’intera economia. Sono proclami esagerati: Amazon non ha una posizione dominante nemmeno nel commercio online, figuriamoci nel commercio al dettaglio in generale; e probabilmente questa posizione dominante non ce l’avrà mai. E con questo? Ciò non toglie che il ruolo che sta interpretando sia inquietante.
Sull’altro versante, chi la difende spesso si lascia andare a peana in onore della vendita di libri online, che in effetti è una cosa positiva per tanti americani, oppure esalta il servizio clienti di Amazon (e nel caso ve lo stiate chiedendo, sì, ho Amazon Prime e lo uso a profusione). E con questo, torno a dire? Il punto non è se una nuova tecnologia sia auspicabile o meno, e nemmeno se Amazon utilizzi questa tecnologia in modo efficace. Dopo tutto John Rockefeller e i suoi soci se la cavavano niente male nell’industria petrolifera, ma la Standard Oil aveva comunque troppo potere ed era fondamentale che lo Stato intervenisse per limitarlo.
La stessa cosa vale oggi per Amazon. Se non avete seguito le ultime vicende relative al colosso di internet, vi faccio un riassunto: a maggio una controversia tra Amazon e la Hachette, un’importante casa editrice, è degenerata in guerra commerciale aperta. Amazon pretendeva una fetta più grossa del prezzo dei libri venduti dalla Hachette; quando Hachette gli ha risposto picche, Amazon ha cominciato a ostacolare la vendita dei libri Hachette. Non li ha eliminati dal sito, ma ha preso a ritardare le consegne, alzare il prezzo e/o indirizzare i clienti verso altri editori.
Potreste essere tentati di dire che il mondo degli affari è così da sempre, come ai tempi in cui la Standard Oil, prima che venisse spezzettata, si rifiutava di utilizzare per il trasporto del suo petrolio quelle compagnie ferroviarie che non le garantivano uno sconto speciale. Ma il punto naturalmente è proprio questo. L’era dei robber barons finì proprio quando noi, come nazione, stabilimmo che certe tattiche affaristiche non erano accettabili. E la domanda che ci dobbiamo fare è se vogliamo cancellare quella decisione.
Ma Amazon ha davvero un potere di mercato comparabile a quello dei robber barons? Nel settore dei libri sì, indubbiamente. Amazon ha una quota di mercato largamente maggioritaria nel settore della vendita di libri online, comparabile alla quota del mercato del petrolio raffinato controllata dalla Standard Oil quando fu spezzettata, nel 1911. E anche se si guarda alla vendita di libri in generale, Amazon è di gran lunga il primo operatore. Finora il colosso online non ha cercato di spremere i consumatori. Anzi, ha sistematicamente tenuto bassi i prezzi per rafforzare la sua posizione dominante. Quello che ha fatto, però, è stato usare il suo potere di mercato per spremere gli editori, riuscendo a ridurre il prezzo che paga per i libri (da qui lo scontro con la Hachette). Nel gergo economico, Amazon (almeno per ora) non si comporta come un monopolista, cioè un venditore dominante che ha il potere di alzare i prezzi, ma come un monopsonista, cioè un compratore dominante che ha il potere di ridurre i prezzi.
E su quel versante il suo potere è immenso veramente, ancora più grande di quanto segnalino i dati sulla quota di mercato. Per le vendite di libri il passaparola è importantissimo (per questo gli editori spesso spediscono gli autori a fare massacranti tour promozionali): compri un libro perché ne hai sentito parlare, perché altre persone lo stanno leggendo, perché è tra i più venduti. E Amazon possiede il potere di uccidere il passaparola. È sicuramente possibile, con qualche sforzo in più, comprare un libro di cui avete sentito parlare anche se Amazon non lo vende: ma se Amazon non vende quel libro, avete molte meno possibilità di sentirne parlare.
Insomma, possiamo fidarci che Amazon non abusi di questo potere? La controversia con la Hachette ci ha fornito una risposta definitiva: no, non possiamo. Non è solo una questione di soldi, anche se i soldi sono importanti: spremendo gli editori Amazon in ultima analisi danneggia autori e Ma c’è anche il problema dell’influenza indebita. Per scendere nello specifico, la sanzione che Amazon sta imponendo ai libri Hachette è brutta di per sé, ma c’è una curiosa selettività nel modo in cui viene applicata. Il mese scorso il blog Bits del New York Times ha documentato il caso di due libri della Hachette che ricevono un trattamento molto diverso. Uno è Sons of Wichita di Daniel Schulman, un profilo dei fratelli Koch, i magnati di ultradestra; l’altro è The Way Forward di Paul Ryan, candidato alla vice presidenza nel 2012 con Mitt Romney e presidente della commissione bilancio della Camera dei rappresentanti. Entrambi i libri sono elencati fra quelli che hanno i requisiti per l’Amazon Prime, ma per il libro di Ryan Amazon offre la consueta consegna in due giorni, mentre per Sons of Wichita sono «normalmente 2-3 settimane» (ho controllato l’ultima volta domenica scorsa). Guarda guarda… Tutto questo ci riporta alla domanda fondamentale. Non venite a dirmi che Amazon dà ai consumatori quello che vogliono, o che si è meritata la posizione che occupa. La domanda che bisogna farsi è se ha troppo potere e se abusa di questo potere. E la risposta è sì, in entrambi i casi.

13 pensieri su “AMAZON, IL POTERE E JAMES JOYCE

  1. Limpido, il professor Krugman. Come sempre. Del resto, i Nobel mica li vende Amazon per corrispondenza. Non penso ci sia molto da aggiungere, nonostante il fuoco di sbarramento che uno zelante opinionista del Financial Times si è sforzato di contrapporgli qualche giorno fa, dopo l’uscita di questo pezzo su The Conscience of a Liberal (il blog di Krugman).

  2. Lo confesso: ho comprato libri su Amazon. L’ho fatto convinto dalla facilità di trovare quello che cercavo più che dallo sconto, dalla consegna a casa più che dalla velocità.L’ho fatto e non lo farò più. Ci sono mille motivi o forse solo uno che li riassume tutti quanti.
    Non possiamo lamentarci se il verduriere sotto casa lascia il posto a una banca ma la frutta la compriamo al supermercato, se non ci sono più negozi di dischi ma decine che vendono telefonini, se non troviamo più un libraio a cui chiedere consiglio mentre noi spendiamo in rete. Se la ricchezza è un concentrato all’1%, se non sappiamo più scegliere perché abbiamo delegato a qualcun altro come l’istruzione dei figli alla televisione.
    Non possiamo lamentarci del mondo e di come è diventato se non abbiamo fatto nulla per farne davvero parte. La nostalgia può permettersela solo che sa pensare al futuro.
    Cercherò una libreria vicino a casa o all’ufficio, finché ce n’è. Una libreria piccola il giusto, indipendente. Distante da ciò che è diventata la Feltrinelli, il Picard della cultura, libri al chilo e l’offerta della settimana. Un libraio da salvare, a cui prenotare la mia curiosità, che possa procurare ciò che non può immagazzinare.
    Un libraio che ci salvi. Che ci aiuti ad andare oltre al tutto e subito.
    Per tornare a scegliere e saper aspettare.
    http://studiolombarddca.wordpress.com/2014/08/24/lo-confesso/

  3. L’ inizio dell’ articolo, diciamolo, è la solita tirata ideologica dell’ ex economista.
    Poi, un po’ a sorpresa, un argomento degno: “what Amazon possesses is the power to kill the buzz… It’s definitely possible, with some extra effort, to buy a book you’ve heard about even if Amazon doesn’t carry it — but if Amazon doesn’t carry that book, you’re much less likely to hear about it in the first place”
    In realtà, almeno in questa prima fase, il boicottaggio di Amazon ha aumentato il “buzz”. E chi avrebbe mai saputo dell’ esistenza di Sons of Wichita di Daniel Schulman?
    Per le fasi successive vedremo, in fondo il “buzz” complessivo anziché ridursi potrebbe trasferirsi su altri testi lasciando inalterato il welfare del lettore.
    In fondo è questo che non convince delle critiche ad Amazon, ci sono quelle degli editori, ci sono quelle degli autori, mancano clamorosamente quelle dei lettori. Ma davvero i miopi si concentrano tutti in quest’ ultima categoria? Ma davvero è più degna l’ opinione di chi ha interessi in conflitto?
    E a proposito di lettori, “Amazon ha troppo potere?”. E’ davvero questa la “domanda giusta”? Ma “troppo” in relazione a cosa? In fondo gli innovatori hanno sempre troppo potere visto che con le loro innovazioni spazzano via la concorrenza. Alla fine si torna sempre al benessere del consumatore come unico parametro ragionevole.

  4. Ma di antitrust, posizioni dominanti, loro effetto deleterio sull’economia, pratiche anticoncorrenziali, spezzettamento dell’AT&T negli anni ’80 e tanta altra storia economica lei ha mai sentito parlare, broncobilly?

  5. A iosa, e per questo che non la farei facile come la fa l’ ingenuo catechizzato dal finto ingenuo.
    In un rigo del mio commento precedente dicevo: “l’ innovazione conduce necessariamente a monopoli”.
    Era un modo per dire che bisogna distinguere e non è facile, a meno che dell’ innovazione ce ne laviamo le mani.
    Del resto l’ antitrust americana non è certo immacolata come piace credere, molto spesso è stata al servizio di concorrenti inetti con buone entrature politiche http://library.mises.org/books/Dominick%20Armentano/Antitrust%20The%20Case%20for%20Repeal.pdf

  6. io ho solo impressioni dalla mia recente esperienza personale.
    Ho un libro su Amazon, un romanzo scritto con una mia amica: l’agenzia che se ne è fatta carico ha fatto un buon editing, lo trova buono, ma sottolinea che è difficile, troppo lungo , con una lingua troppo caratterizzata e fuori dai generi che tirano, gialli e storie sentimentali per lo più.
    Non è certo Joyce, è un dignitoso libro ben scritto,che non ha nessun interesse a rincorrere le mode, che vuole solo raccontate la realtà. Finora non lo cercano in tanti, anche se a chi lo legge poi piace.
    Colpa di Amazon, dei lettori o di noi autrici poco accattivanti?
    Ai posteri l’aria sentenza.

  7. “Bisogna distinguere” che? E perché mai l’innovazione dovrebbe “necessariamente” generare monopoli, se non per l’inettitudine di chi quei monopoli dovrebbe impedire? Che i clienti non si lamentino lo credo bene: al momento loro vedono solo il beneficio di un’offerta sterminata a un prezzo conveniente. Lo stesso fecero i telespettatori di fronte al duopolio televisivo italiano, negli anni ’80 e ancora oggi. La capacità di vedere anche la minaccia implicita in un monopolio è purtroppo al di fuori della cultura economica e politica media dei cittadini di questo paese. Se ne accorgeranno, se mai se ne accorgeranno, solo quando constateranno la limitazione dell’offerta e l’imbrigliamento degli autori che necessariamente, questo sì, conseguirà a queste pratiche monopolistiche. Ma dal momento che è difficile rimpiangere ciò che non c’è e di cui non si sospetta nemmeno la possibilità che possa esistere, probabilmente non accadrà mai. Per lo stesso motivo che ha perpetuato l’esistenza del suddetto duopolio televisivo in Italia.

  8. Maurizio, monopolio e innovazione vanno a braccetto per due motivi: 1) occorrono molti fondi per innovare e solo il monopolista puo’ accumulare profitti ingenti, ma soprattutto 2) l’ innovatore genera monopolio poiché per definizione spazza via la concorrenza.
    [Paradosso: quando non lo genera perché l’ innovazione è facilmente copiabile, si ritiene socialmente utile generarlo artificiosamente dall’ alto tramite brevetti o roba del genere]
    Chi vuole un sistema innovativo deve tollerare i monopoli e saper distinguere tra quelli buoni (innovativi) e quelli cattivi. Ebbene, proprio per questo si studia accanitamente la storia dell’ antitrust americana. Forse il massimo esperto in materia è stato il Nobel George Stigler e il suo giudizio sull’ operato dell’ autorità è chiaro: “Economists have their glories, but I do not believe that antitrust law is one of them”. In genere si concorda che per fare meglio in futuro l’ unica bussola attendibile per orientarsi in questo mare con pochi riferimenti è il welfare del consumatore. Quello effettivo, non quello troppo speculativo fondato su un ipotetico futuro di cui si puo’ dire tutto e il contrario di tutto.
    Concedetemi due link.
    Uno di settimana scorsa, sulle inattese virtù del monopolio e sui suoi legami con l’ innovazione, è di Peter Thiel, il fondatore di paypal: http://online.wsj.com/articles/peter-thiel-competition-is-for-losers-1410535536 . Lo so che per molti il WSJ non è nemmeno degno di un clic.
    L’ altro è di poche ore fa, a cura dell’ ultraliberal Matthew Yglesias che scrive sull’ ultraliberal Vox. La sua tesi: “Amazon is doing the world a favor by crushing book publishers… the industry is right that Jeff Bezos is destroyng them. But that’s good for readers, and may be even for authors”. Metto il link in attesa della traduzione di Repubblica che sicuramente seguirà a breve: http://www.vox.com/2014/10/22/7016827/amazon-hachette-monopoly.

  9. Io il WSJ lo leggo per lavoro, anche se questo articolo mi era sfuggito. Tengo a precisare che lavoro con gli economisti, ma non sono un’economista. Detto questo, vorrei evidenziare che non sempre gli economisti sono in grado di cogliere le specificità delle situazioni: ragionano all’ingrosso, sulle medie, su modelli che applicano nella stessa forma a tutti i settori. Entro certi limiti è anche giusto, perché tenere conto di tutte le specificità impedirebbe alla radice la costruzione di qualsiasi modello. Ma i modelli vanno bene per l’economia di un settore nel suo complesso, non per i casi singoli. Lì entrano in gioco altre variabili, a comimciare da quelle sociali e politiche, che raramente trovano posto nelle considerazioni degli economisti. Per dire, nelle analisi che circolano su Amazon io non trovo traccia dell’impatto che questo monopolista (anzi, monopsonista) può avere sulla “biodiversità” dei testi pubblicati, né del condizionamento che può esercitare (ed esercita) sugli autori, e neppure della destrutturazione che il self publishing può provocare nella filiera produttiva tradizionale dell’editoria, bypassando (e forse distruggendo) figure come quella dell’editor e provocando, nel complesso, un abbassamento della qualità di ciò che viene pubblicato. Non è detto, ma può accadere. E personalmente non lascerei al mercato il compito di stabilire se accadrà oppure no. Abbiamo, in Italia, il già citato esempio della TV commerciale, sul quale credo si possa essere d’accordo nell’affermare che ha abbassato il livello qualitativo delle produzioni. Un po’ di concorrenza avrebbe di certo fatto bene a quel settore. Il che non vuol dire che l’industria editoriale non abbia molte colpe: quello che adesso Amazon fa su scala macro lo hanno sempre fatto, su scala minore, i distributori, soggetti opachi che (almeno in Italia) operano in regime di oligopolio e da decenni condizionano l’offerta delle librerie e la scrittura di chi vuole essere pubblicato. E le stesse case editrici, che ormai pretendono che la gente lavori (possibilmente gratis) a sfornare trash in catena di montaggio, hanno contribuito di loro a svilire le professionalità che in passato avevano saputo creare. Ma certo non è esasperando queste tendenze, cosa che Amazon fa, che l’editoria potrà rinascere. Infine, una piccola osservazione a margine: è possibile che le autorità antitrust non rappresentino un fiore all’occhiello per l’economia, visto il loro operato recente e non solo; però a me questo giudizio sembra interessato, da parte di soggetti che da sempre premono per abbattere quella cultura liberal – di cui Krugman è un esponente – che, morto il socialismo e pure la socialdemocrazia, pare diventata addirittura di sinistra ed è pertanto vista come il fumo dai fanatici del liberismo. Il fatto che le autorità antitrust abbiano funzionato quasi sempre male (siano state “catturate” dai soggetti regolati, come amano dire gli economisti) non vuol dire che vadano smontate, ma semmai che andrebbero messe nelle condizioni di fare meglio il proprio lavoro. Questa presunta libertà incondizionata che deriverebbe dal permettere a ciascuno di fare più o meno ciò che vuole (ma non a chi non si allinea, ovviamente) a me pare tanto una deriva verso la totale inconsapevolezza dei diritti soggettivi.

  10. Sarebbe bello contrastare il monopolio e preservare l’innovazione. Nel caso di Amazon, l’innovazione consiste in autori pienamente soddisfatti dagli introiti generati da ebook venduti a 2 dollari.

  11. Il problema dei monopòli è che, una volta introdotta l’innovazione, cristallizzano tutto il sistema. Per questi vanno sempre abbattuti.

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