ANCHE SE NON SAPPIAMO QUANDO

Allora, commentarium, siamo onesti: non ce la facciamo più. Voi e io, qualunque sia la situazione, se ci sia il privilegio di un lavoro e di una casa o no, se ci siano figli o no, se quei figli vadano a scuola o no, se siamo solissimi o ammucchiati in quattro o cinque in due stanze. Siamo stanchi, tristi, inquieti, dormiamo male, ci svegliamo all’alba, ci intorpidiamo in serate alcoliche o televisive, usciamo con circospezione, scalpitiamo, non ci ricordiamo quasi com’era prima, e prima era un anno fa, soltanto un anno, e passata la scarica di adrenalina dei primi mesi proviamo a convivere con un trauma che si è allungato fino a imprigionarci.
Ma le cose finiscono, provo a dirmi ogni mattina. Finiscono certamente anche se non sappiamo quando, e tutti noi vorremmo, di certo, essere già in avanti, essere ai tempi in cui l’Associazione Storica di Studi Gileadiani, presieduta dalla Prof.ssa Maryann Crescent Moon, si riunisce a convegno per raccontare qualcosa che è ormai alle spalle, che è diventato, appunto, storia.  Al momento, non sappiamo quando avverrà. Sappiamo solo che avverrà. Così, me lo ripeto anche oggi: finirà. Altro non possiamo fare, credo, che lasciarci attraversare dal flusso di storie: non esistono colpevoli, nelle pandemie, non mi stancherò mai di dirlo. Certamente esistono gestioni ammalorate, vergognose speculazioni, disorganizzazioni, confusione. Esistono ed esisteranno. Ma non c’è colpa. E’. Almeno, io preferisco pensare così, e accarezzare di nuovo le parole di Albert Camus nel discorso di accettazione del Nobel per la letteratura, nel 1957:
“Ogni generazione, senza dubbio, si crede destinata a rifare il mondo. La mia sa che non lo rifarà. Il suo compito è forse più grande: consiste nell’impedire che il mondo si distrugga. Erede di una storia corrotta in cui si fondono le rivoluzioni fallite e le tecniche impazzite, la morte degli dei e le ideologie portate al parossismo, in cui mediocri poteri, privi ormai di ogni forza di convincimento, sono in grado oggi di distruggere tutto, in cui l’intelligenza si è prostituita fino a farsi serva dell’odio e dell’oppressione, questa generazione ha dovuto restaurare, per se stessa e per gli altri, fondandosi sulle sole negazioni, un po’ di ciò che fa la dignità di vivere e di morire. Davanti ad un mondo minacciato di disintegrazione, sul quale i nostri grandi inquisitori rischiano di stabilire per sempre il dominio della morte, la nostra generazione sa bene che dovrebbe, in una corsa pazza contro il tempo, restaurare fra le nazioni una pace che non sia quella della servitù, riconciliare di nuovo lavoro e cultura e ricreare con tutti gli uomini un’arca di alleanza. Non è certo che essa possa mai portare a buon fine questo compito immenso ma è certo che, in tutto il mondo, è già impegnata nella sua doppia scommessa di verità e di libertà e che, all’occasione, saprà morire senza odio. Per questo merita quindi di essere salutata e incoraggiata dovunque si trovi e soprattutto là dove si sacrifica”.

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