ANCORA KING

E’ che sull’ultimo numero di D, Stephen King ha risposto a tre domande redazionali. Ovvero:
Cosa risponderebbe a un bambino che le chiede perché si muore?
“Gli direi: Perché quando diventiamo molto vecchi, e non ci si diverte più, è tempo di chiudere gli occhi e sognare la luna”.
Di cosa ha paura?
“Delle interviste. Non so mai che dire. E naturalmente del dolore, fisico, mentale e spirituale. Credo che tutti ne abbiamo paura, una volta che l’abbiamo provato”.
Tre cose che ama/tre cose che odia.
“Che amo: mia moglie, i miei figli e i miei nipoti. Che odio: lo sfruttamento dei deboli da parte dei forti, la distorsione delle verità per interessi personali e politici, e il colore giallo. Odio i vestiti gialli, le macchine gialle, e il cibo giallo. L’unico cibo giallo gustoso è il burro, che naturalmente fa male”.
Poi, ha regalato una risposta extra:
“Qualcosa che non mi ha chiesto: chi è la persona più affascinante dell’industria dell’entertainment che abbia mai incontrato? Dino De Laurentis”.

181 pensieri su “ANCORA KING

  1. @wu ming 4
    Insiemistica e gerarchizzazion a parte,tanto per fare un esempio per meglio capirci:
    tra il “Signore degli Anelli” e..poniamo “Il Processo” kafkiano,visto che appunto le opere letterarie andrebbero lette e valutate per quello che sono,è poco utile la distinzione?
    Secondo il tuo discorso e visto che varie opere “possono avere mille altri pregi determinati da altre qualità”,non è che si corre il rischio di mescolare tutto in un unico calderone dove può anche diventar difficile distinguere alla fine anche l’oro dall’ottone? E in fin dei conti poco importa anche questo?
    Perchè si può sempre trovare qualche qualità anche nei films di Pierino e Bombolo o nelle poesie di Melissa P.
    A questo punto sarebbe meglio abolire il termine letteratura,poesia e sostituirlo con happening di scrittura,o che so…
    Dico questo senza alcuna ironia,solo per poter meglio capire.

  2. @ miskin
    Quale distinzione ti interessa fare tra “Il Signore degli Anelli” e “Il Processo”? Vorresti inserire il primo romanzo in un insieme A e il secondo in un insieme B? Mi pare di no, dato che hai detto di voler mettere da parte l’insiemistica. Se dunque gli insiemi non ci interessano, tutto ciò che possiamo fare è prendere il singolo romanzo, leggerlo, rifletterci sopra, vedere cosa ci dice, cosa ci racconta, quali temi e suggestioni suscita, quale lavoro linguistico presenta, etc. etc. E’ assai probabile che in questo senso “Il Signore degli Anelli” risulterà diverso dal “Il Processo” e che questo in effetti segni una distinzione, per altro ribadita fin dal titolo sulla copertina.
    Riguardo all’abolizione del termine letteratura non ne vedo il bisogno. Per quanto mi riguarda la letteratura è l’arte di narrare attraverso la scrittura, un’attività tecnica, artigianale. E questo certo non significa che ogni oggetto artigianale/artistico sia uguale e indistinguibile da qualsiasi altro (quella è l’industria), ma al contrario, che ogni oggetto è unico e come tale va considerato.
    Infine, può anche essere che qualcuno trovi qualche qualità nei film di Pierino con Alvaro Vitali. Ma questo non cancella il fatto che siano basati su un umorismo facile, triviale, ripetitivo, con trame abbozzate e sfilacciate, e girati con una perizia registica piuttosto piatta e dozzinale, ovvero che siano prodotti artigianali di scarso valore. Trovare qualcosa di buono in una pattumiera la trasforma in un cofanetto di preziosi? Non direi. Dimostra soltanto che si può trovare qualcosa di buono anche nel bidone della spazzatura.
    Spero di aver chiarito il mio punto di vista.

  3. @ miskin
    due opere letterarie si differenziano per infiniti motivi tranne appunto che per il fatto di essere entrambe opere letterarie. A questo non si sfugge. Tu forse vuoi sapere se esiste un modo per dire che melissa p. ( a me non risultano sue poesie pubblicate ) non è letteratura, ma questo non è possibile, a meno di cambiare significato al termine. Io posso capire che ti scocci questo fatto, ma a guardarlo bene è un falso problema.

  4. Sommessamente vorrei far presente che non è propriamente vero ciò che scrive WM 4, ovvero che “la letteratura è l’arte di narrare attraverso la scrittura”. Se così fosse, un autore come Beckett sarebbe escluso dall’insieme “letteratura”, il quale Beckett, com’è noto, ci ha mostrato l’impossibilità di narrare. No, la letteratura non coincide con la narrazione. [Senza poi dimenticare che anche altri “generi” – poesia, dramma, etc. – sono letteratura, pur non narrando alcunché].
    Fabio A.

  5. @ fabio
    In che senso poesia e dramma non narrano alcunché? E in che senso Samuel Beckett non sarebbe un narratore? Ho visto a teatro alcuni suoi lavori drammaturgici e c’erano dei personaggi che dialogavano e facevano delle cose. Mettere in scena una situazione immaginata significa raccontarla, cioè narrare qualcosa.

  6. Poesia e dramma non narrano alcunché perché la loro essenza non è quella di raccontare storie. Possono, in alcuni casi, ricorrere ANCHE alla narrazione, ma sono, prima di tutto, e sopra ogni altra cosa: 1) la poesia è la precisione del linguaggio, al di là di ogni referente (cosa c’è di narrativo in Caproni? E nella Insana?); 2) il dramma è azione (altra cosa dalla narrazione) oppure, come insegna TUTTO il Novecento, incarnazione del senso (per la qual cosa è indifferente che si racconti, come dimostra, da buon ultimo, la drammaturgia di Jan Fabre).
    In Beckett è programmatica la negazione della narrazione. Tutto conduce all’impossibilità di raccontare storie. Dall’Innominabile sino agli ultimi testi, i nessi che caratterizzano la narratività sono irrisi e negati. E infatti le micro-storie che si affacciano nel testo: 1) non portano da nessuna parte; 2) sono solo un “pretesto” per condurre il lettore dentro una struttura percettiva dove non si comunica nulla se non l’esistenza della lingua.
    Clov: A che servo?
    Hamm: A darmi la battuta. […]
    Hamm: Non può darsi che noi … che noi … si abbia un qualche significato?
    Clov: Un significato! Noi un significato! (Breve risata) Ah, questa è buona!
    Fabio A.

  7. Sommessamente, vorrei far presente, che propriamente, qualunquemente, negazionemente e narrativamente, oltremente beckettianamente, anche sparare immani cazzate è raccontare storie.
    Cazzu cazzu.
    Qualunquemente e cordialmente,
    Cetto.
    L.

  8. @ fabio
    Mi sa che non ci capiamo perché attribuiamo al termine narrazione due significati diversi. Se Beckett mette in scena l’impossibilità di narrare una storia, addirittura con battute “meta”, come quella che citi, non significa che non mi stia raccontando qualcosa. In Aspettando Godot, o Finale di Partita, per esempio, si può dire che praticamente non accada quasi nulla, non c’è una “storia” nel senso di una trama con accadimenti, etc., hai ragione. Ma per me una messa in scena, che presuppone un testo scritto, una rappresentazione, una scenografia (per quanto scarna), dialoghi, etc. è comunque una forma di racconto.
    Riguardo alla poesia, idem come sopra. I poemi epici non sono poesia? Sono tra le prime forme di poesia mai praticata dall’uomo e raccontano di tutto, sono narrazioni fortissime, e stanno addirittura alla base di ogni forma di narrazione della nostra cultura. La stessa identica cosa fa il dramma antico (e moderno). Francamente non so cosa tu intenda per “essenza” della poesia e del dramma, ma storicamente la poesia nasce come racconto in versi di grandi storie.

  9. Anche un saggio (nel senso di libro saggistico) è un racconto, noioso o avvincente che sia. Hayden White docet: la storiografia è comunque racconto, e che lo faccia in modo evidente o appena percepibile, adotta le stesse strategie testuali della narrativa. Anche la poesia meno apparentemente narrativa racconta una storia: A Silvia racconta la storia di una ragazza per cui l’io narrante si struggeva, vicina di casa del poeta, che poi è morta, lasciando dietro di sé ricordi che il componimento mette in fila. Anche le poesie più ermetiche di Ungaretti raccontano qualcosa. Non si sfugge alla narratività, perché è il nostro cervello a percepire il mondo entro schemi narrativi, come dimostrano le neuroscienze. Noi facciamo di tutto una storia, mettiamo in ordine gli stimoli in modo che ogni cosa abbia un inizio, uno svolgimento e un compimento, anche vaghi, ma mai assenti.

  10. @ fabio
    Soggetto+verbo: è il principio della narrazione. Se vuoi il suo grado zero (per restare alle lingue che hanno questa struttura). Difficile sfuggirle. Ma si può essere più radicali, arrivare al grado zero meno uno: anche un elenco o un catalogo (ad esempio di navi) sono già narrazione. Narrare come, anche ci dice la sua etimologia, è fare conoscere raccontando.
    Ci sono modi diversissimi di narrare, naturalmente. Ma difficile addirittura poter affermare che ci sia un soggetto senza un principio di narrazione.

  11. Sì, diamo proprio un senso diverso alla stessa parola. Ma non tutti abbiamo ragione, almeno dal punto di vista filologico …
    E comunque ridurre l’epica antica (o “A Silvia” o “Il conte di Kevenhüller” ) a racconto di una storia è riduttivo. La poesia PRIVILEGIA – con Jakobson – la “funzione poetica” del linguaggio: i significati (le storie, se vogliamo) sono solo una delle sue parti, e neanche la più importante. Lotman – ne “La struttura del testo poetico” – individua almeno 13 diversi elementi che caratterizzano la poesia; solo uno riguarda il piano delle “storie” o dei “personaggi” (per altro all’interno del più generale piano semantico).
    Insomma, non tutto, in LETTERATURA, è “racconto”.
    Ma dando, noi, un senso diverso alla stessa parola, dubito potremmo mai accordarci. A meno che, certo, non ci si accordi su quel “senso” …
    Fabio A.

  12. @ Regazzoni (che leggo solo ora)
    non dico che non c’è narratività in poesia o dramma. Dico solo che la loro funzione non è quella di narrare storie.
    Fabio A.

  13. @ a fabio: direi che passare dal negare che ci sia narrazione in poesia o nel dramma alle differenti funzioni testuali può aiutare a comprendersi. Immagino che qui nessuno neghi quelle funzioni o reputi poco interessante la lettura che Jakobson ad esempio fa di Holderlin (manca dieresi). Però è altrettanto difficile negare che vi sia un elemento o grado zero di narratività legato al “dire” e al “pensare”, in greco direi al “legein”. Non a caso “logos” non significa solo “linguaggio, discorso, razionalità, calcolo, ecc” ma indica anche il racconto, la narrazione come genere letterario.

  14. @fabio
    Continuo a pensare che il grosso equivoco di questo discorso risieda proprio nella mania di categorizzare. Mi spiego. “Ulisse” (di Joyce) è davvero narrativa? L’interrogativo è legittimo, di fronte a una identificazione tout court tra racconto e narrativa…
    Credo che questo eccesso di categorie – molto gettonato in internet, non si capisce bene perché – porti a discussioni un po’ sterili, che perdono di vista il merito per inseguire sedicenti metodi.
    Con conseguenze paradossali. Dire che la poesia epica, ad esempio (visto che proprio l’epica è stata tirata in ballo) “non è” narrazione, è dire una bufala. L’Iliade è la prima narrazione giunta fino a noi (e su questo non esiste alcun “secondo me”, basta aprire qualsiasi manuale di letteratura). Che si esprima attraverso una metrica, pertiene al gusto dell’epoca in cui fu composta, e punto.
    Ogni testo, come già sottolineato da Regazzoni, Wu Ming ecc., va letto a sé – anche perché non siamo né accademici né storici della letteratura. Solo lettori con il piacere del testo (per dirla alla Ricoeur).

  15. @ fabio
    Ti hanno già risposto altri. Comunque io non ho mai inteso “ridurre” la letteratura alla semplice dimensione del racconto. Ho detto che essa è imprescindibile, che da essa non si scappa, non certo che è l’unica. Quindi tutto questo disaccordo non lo vedo.

  16. @ fabio
    “E comunque ridurre l’epica antica (o “A Silvia” o “Il conte di Kevenhüller” ) a racconto di una storia è riduttivo.”
    *Sarebbe* riduttivo. Se qualcuno lo facesse. Poiché qui non è stato fatto, l’obiezione sfuma nell’ipotetico.

  17. Sono partito da una frase di WM 4 (“la letteratura è l’arte di narrare attraverso la scrittura”) per affermare una cosa leggermente diversa: non tutta la letteratura “narra”. Volevo soltanto dire che esistono prodotti letterari che non fondano la loro esistenza sul “racconto”, quanto piuttosto sulla “meccanica”: la scrittura migra dal piano delle “storie” (dei “referenti”) a quello del “procedimento” (un’operazione essenzialmente linguistica). Joyce è un inventore di modalità nuove, non di storie; così come Beckett (e Gadda e molti altri). Le “storie”, quando ci sono, sono funzionali alla loro stessa negazione. Insomma, continuo a pensare che non tutta la letteratura sia “narrazione” o “racconto”. Tutto qui.
    Fabio A.

  18. @wu ming 4
    “Per quanto mi riguarda la letteratura è l’arte di narrare attraverso la scrittura, un’attività tecnica, artigianale. E questo certo non significa che ogni oggetto artigianale/artistico sia uguale e indistinguibile da qualsiasi altro (quella è l’industria), ma al contrario, che ogni oggetto è unico e come tale va considerato.”
    Ok,fin qui ci sono.Poi prosegui:
    “Infine, può anche essere che qualcuno trovi qualche qualità nei film di Pierino con Alvaro Vitali. Ma questo non cancella il fatto che siano basati su un umorismo facile, triviale, ripetitivo, con trame abbozzate e sfilacciate, e girati con una perizia registica piuttosto piatta e dozzinale, ovvero che siano prodotti artigianali di scarso valore”
    Quindi c’è una critica che opera,che distingue e che alla fin fine gerarchizza anche,nel senso di dire che Pierino è una ciofeca e il Processo no.
    E’ chiaro che l’esempio è estremo,ma il principio resta quello,
    Non è che alla fine,appunto perchè non ci si può sottrarre ad una distinzione di qualità,si finisce anche non volendo per gerarchizzare?
    Non si tratta di far ricorso ai generi alti o bassi,ma nemmeno di giustificare tutto (per quanto ogni oggetto sia unico e come tale vada considerato) cercando di trovare qualità,come dici tu,a volte più che discutibili se non addirittura inesistenti,e comunque anche trovandole,possono essere risibili o comunque ininfluenti ad una valutazione critica dell’opera.
    Capisco il tuo discorso generale,di una certa fluidità dei confini,come pure l’inutilità di classificare o gerarchizzare la letteratura in generi,(uno come Bukowski,che genere sarebbe?..),ma con le opere diventa difficile non esprimere giudizi di valore che,tanto per parlar terra terra,portano inevitabilmente a dire che Tolstoi è uno scrittore e invece quest’altro è uno scribacchino.Due estremi certo,poi ovviamente c’è tutta la terra di mezzo.
    Quindi posso esser d’accordo di non far nessuna gerarchizzazione dei generi,ma non delle singole opere.
    Quanto viene narrato,la storia.. a me interessa poco,molto di più invece come viene narrata,lo stile di scrittura.Posso anche fare a meno di una qualsiasi storia.
    Ma questo esula dal discorso che si faceva,è solo una considerazione personale.

  19. “Posso anche fare a meno di una qualsiasi storia” miskin
    con tutto il rispetto non credo che fare a meno di una storia sia possibile.
    come è già stato detto anche una poesia in qualche modo, ti “racconta” qualcosa e questo non significa affatto sminuire il suo valore.
    Spero di sbagliare, ma questo tipo di obiezioni mi porta a pensare che ci sia ancora chi considera il raccontare storie qualcosa di triviale, banale o inutile.

  20. @ miskin
    Non ho mai sostenuto che la critica non si debba esercitare, ci mancherebbe altro. Purché sia circostanziata e sia… critica, appunto, e non una semplice etichetta che viene appiccicata sul tal prodotto artistico o sull’altro. E soprattutto quando non pretende di ricorrere all’insiemistica. “Tolstoi è uno scrittore e invece quest’altro è uno scribacchino” è un’affermazione che presuppone esista una schiera eletta di autori da far rientrare nella “letteratura” e altri no. Per me chiunque si dedica alla scrittura è uno scrittore, qualunque cosa scriva. Poi ci saranno scrittori con maggior talento e voglia di fare e cose da dire, e altri più scarsi e pigri, ma li giudicherò sempre dalle opere che produrranno, esercitando appunto l’analisi critica dei testi.

  21. Sì, infatti, il problema sta qui: si inserisce nella parola “scrittore”, che in sé è puramente descrittiva, un giudizio di valore che diventa prescrittivo, cioé: “scrittore” = “grande scrittore” e, quindi: “scrittore” = “quel che un grande scrittore deve essere”. “Scrittore” diventa un idealtipo e un’idea normativa, e chi non corrisponde è fuori: non è uno scrittore ma uno scribacchino etc. E’ chiaro che da lì si passa subito all’insiemistica: c’è l’insieme degli scrittori e c’è l’insieme degli scribacchini. Detto in altre parole, c’è la “Letteratura” (vedi il commento in proposito che ho lasciato in questo thread) e c’è la spazzatura. E tutto questo avviene *prima* di qualunque analisi dell’opera, anzi: l’opera è tale solo se scritta da uno “scrittore” nell’accezione detta sopra. E’ un circolo vizioso, e non se ne esce mai, perché è fallace la premessa.

  22. @wu ming 4
    “Tolstoi è uno scrittore e invece quest’altro è uno scribacchino” è un’affermazione che presuppone esista una schiera eletta di autori da far rientrare nella “letteratura” e altri no.”
    No,presuppone solo che ci sia chi sa “scrivere” e chi no.Come per qualsiasi altra cosa,come un attore,c’è chi sa recitare e chi no,anche se fa parte del cast e per questo viene definito attore.
    Non prima,ma dopo aver analizzato l’opera.
    Altrimenti,solo per il fatto di scrivere,sarei uno scrittore anch’io e non un semplice scrivente.
    Per usare le tue parole,lasciamo pur stare la Letteratura,ma c’è comunque una schiera di “eletti” ,da non far rientrare in niente,solo nell’azione scrivere.
    @wu ming 1
    Lungi da me avallare l’equazione “scrittore” = “grande scrittore.
    Scrittore,nell’accezione normale del termine,io lo intendo semplicemente come uno che scrive romanzi,racconti….un mestiere come un altro,altrimenti sarebbe un semplice scrivente,cioè uno che scrive qualsiasi cosa d’altro,relazioni giuridiche,tecniche….
    Senza alcun aggettivo e nessun giudizio di valore intrinseco e preventivo.crittore è un termine neutro.
    Il valore è dato solo DOPO e dalle sue opere,solo allora si può attribuire l’aggettivo di grande,mediocre o scribacchino.

  23. Il ruolo del giallo nei romanzi di King…
    .
    Dunque se non sbaglio i terribili Low Men (intraducibile in italiano, certo non ‘uomini bassi’) di Hearths in Atlantis vestono di ‘yellow coats’.
    Come se non bastasse anche Low è allitterante con Yellow.
    Interesting, innit?
    M.

  24. Il mio pensiero è in sintonia con le considerazioni espresse da Chiara, Regazzoni, WM1 e WM4. Sottolineo solo una cosa: ma vogliamo negare l’esistenza di più livelli di lettura? Si può pensare a romanzi “popolari” che contengono riferimenti, collegamenti, suggestioni e metafore rivolte a un pubblico colto? Io dico di sì, proprio pensando a King. Le classificazioni, come ho sentito dire durante la presenzazione di un libro di Dorfles, sono “tecniche di avvicinamento”, approssimazioni. Sono utili per intendersi, ma non esauriscono il discorso. Qui non si applica l’insiemistica, come è stato detto. Qui, secondo me, il discorso è più simile alla logica “fuzzy” (in base alla logica fuzzy io non dico “questo libro appartiene alla tal categoria”, ma cerco di stabilire “quanto” un libro appartenga a una categoria).

  25. @ Miskin
    Nel mio commento precedente mi riferisco anche alla categoria “grande scrittore”, ovviamente.
    Per quanto riguarda il raccontare storie…
    Per me lo stile è un aspetto non secondario, anzi decisivo.
    Ma in un altro senso, rispetto a quello sopra evidenziato (“posso fare a meno di una storia”).
    Proprio perché la storia, per me, è un valore, voglio che sia raccontata bene. Lo stile della scrittura deve tirar fuori tutte le potenzialità della storia: deve rispettarla.
    La storia è importante, per me. Senza una storia è saggistica.

  26. “La storia è importante, per me. Senza una storia è saggistica”.
    Ovviamente sto semplificando (sto usando le tanto discusse categorie in maniera semplicistica). La semplificazione può essere usata come forma di provocazione…

  27. @danilo
    Per storia intendevo il senso comune e solito che ha questa parola,trama,intreccio,plot….in questo senso ne posso fare a meno.
    Mi interessa molto più lo stile di scrittura,il linguaggio,l’uso delle metafore…per me la storia è secondaria.La saggistica non c’entra nulla,pur essendoci saggi linguisticamente più degni di tanti romanzi.
    Ma ovviamente,ognuno ha i suoi gusti.

  28. @melmoth. Yellow sta anche per ‘vigliacco’ e per pericolo (la segnaletica che indica pericolo è gialla) Ma leggevo che il colore giallo è anche un attivatore della memoria. Forse in queste tre cose sta la chiave dell’avversione di King per questo colore. (La sua biografia dà qualche piccolo indizio, in questo senso…) Non sapevo che anche due dei suoi figli scrivessero (l’ho letto ora) . E sembrano anche autori promettenti, a giudicare da alcune recensioni che ho letto.

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