ANCORA KING

E’ che sull’ultimo numero di D, Stephen King ha risposto a tre domande redazionali. Ovvero:
Cosa risponderebbe a un bambino che le chiede perché si muore?
“Gli direi: Perché quando diventiamo molto vecchi, e non ci si diverte più, è tempo di chiudere gli occhi e sognare la luna”.
Di cosa ha paura?
“Delle interviste. Non so mai che dire. E naturalmente del dolore, fisico, mentale e spirituale. Credo che tutti ne abbiamo paura, una volta che l’abbiamo provato”.
Tre cose che ama/tre cose che odia.
“Che amo: mia moglie, i miei figli e i miei nipoti. Che odio: lo sfruttamento dei deboli da parte dei forti, la distorsione delle verità per interessi personali e politici, e il colore giallo. Odio i vestiti gialli, le macchine gialle, e il cibo giallo. L’unico cibo giallo gustoso è il burro, che naturalmente fa male”.
Poi, ha regalato una risposta extra:
“Qualcosa che non mi ha chiesto: chi è la persona più affascinante dell’industria dell’entertainment che abbia mai incontrato? Dino De Laurentis”.

181 pensieri su “ANCORA KING

  1. WM1: parlo solo dell’autore che conosco, tra quelli che citi. In Alan Moore l’alternativa è proposta dagli eroi, dai personaggi che rovesciano la morale del mondo in cui si trovano. V è l’alternativa sia alla dittatura che al pessimistico caos finale. E’ il modello positivo a cui aspiriamo, nella lettura. Il suo Superman in Whatever Happened to the Man of Tomorrow o in For the Man Who Has Everything è l’alternativa positiva, umana ed eroica.
    Lo stesso vale per il suo Swamp Thing, a maggior ragione perché è un “freak”.
    L’alternativa, quindi, non proviene dall’immaginare utopie ma dai personaggi.
    Inoltre, per esempio in Watchmen, Moore, pur non presentando nessun personaggio pienamente positivo, prende di mira tutta la società occidentale (soprattutto americana) nei suoi fondamenti ideologici e morali. Pensa alle chiacchierate sotto all’edicola (quella in cui il bambino legge il fumetto di pirati), alle scene in Vietnam, a Nixon e alla rappresentazione dei media. Nessuno lì è salvo, non c’è possibilità di redenzione consolatoria per nessun “povero stronzo”.
    Ecco, ho avuto l’impressione che questo, almeno in ciò che ho letto di King, non ci sia.

  2. Anche in King l’alternativa (se così vogliamo chiamarla per capirci, ma è un termine equivoco e poco utile) proviene dai personaggi. E’ così, in maniera davvero evidente e potente, nel citato Cuori in Atlantide. E’ così nel “percorso di guarigione reciproca” che avvicina i personaggi di Duma Key. E’ così nel vincolo solidale di The Body, etc.
    Quanto a V, ma sei così sicuro che Moore ne faccia un modello positivo? A me sembrava che avesse preso le distanze dal film principalmente per questo motivo: il disaccordo con la messa in scena di V come personaggio buono.

  3. Aspé, WM1, io non ho detto che le storie “non funzionano” ecc.
    E’ innegabile che King sappia come “far girare” quel tipo di situazione con quei tipi di personaggi. E’ per questo che ho detto che, se non si trattasse di horror, ci guadagnerebbe. Dico solo che, se con l’occhio stai sulla “storia” anzichè sulle “storie”, King è solo inutilmente prolisso. E dico che l’ambiguità dei suoi personaggi non è mai criticata fino in fondo, il lettore, immedesimandosi, viene consolato, perché è la stessa mediocrità che, alla fine, ce la fa, ma non perché “si converte” (ti prego, non prendere il termine in senso religioso), non perché rifiuta la scala di valori ipocriti su cui si basa, ma solo perché si pulisce la coscienza contemplando l’idea di “finire male” (appunto, in Cujo la madre di Tad o in Shining Jack Torrance).
    Su questo sono d’accordo con Daniele. Forse, semplicemente, King non è lo scrittore per me. Al brodo dolce e cupo della “gente comune” preferisco i grandi personaggi, quelli che, in quanto tali, sono il bersaglio preferito proprio della gente comune. Rimando, ancora, alla mia citazione di Michael Ende. 🙂

  4. WM1: mah, che io sappia Moore ha preso la distanza dal film per altri motivi (il finale consolatorio, i contenuti ideologici ammorbiditi, personaggi cambiati). Tra il V del film e quello del fumetto non c’è molta differenza, se non nel fatto che il primo dovrebbe avere le sembianze di uno sfregiato dal fuoco.
    I libri che citi non li ho letti, quindi potresti aver ragione tu. Rimango della mia idea, però, su quelli che ho letto io. 😉

  5. Mi sembra che King in questo senso sia proprio diverso dai succitati.
    Daxman, non troverai mai il tipo di critica della società che dici.
    King è epico, nel senso che mette in scena una battaglia tra le forze del bene e quelle del male, in questo tipi di narrazione lo scacchiere non è in discussione.
    In King e nell’epica in generale non esiste ‘la società’ esistono le fazioni.
    Non si parla dell’uno contro il presente, ma del gruppo dei buoni contro il gruppo dei malvagi.
    In generale i romanzi di king si potrebbero ambientare in altre epoche e non cambierebbe nulla.
    L’attenzione è sullo scontro (sia umano che soprannaturale) e non sull’ambiente o la società che resta sempre neutra come in Tolkien, Omero ecc.

  6. Io ho visto solo il film, ma anche là l’identificazione di V. come figura positiva al 100% non è così facile, certamente la positività del personaggio deriva dalla negatività assoluta della società che combatte ma V è una figura che già nel film, sia pure “edulcorato” rispetto al fumetto, appare problematica e non priva di lati oscuri, penso alla SPOILER, tortura “educativa” a cui sottopone Evey che secondo me è la vera figura totalmente positiva..almeno nel film.

  7. Infatti il problema di King è che quella che lui intende come fazione dei “buoni” non sia scritto da nessuna parte che la si debba considerare tale. Forse perché, come dici, non gli interessa discuterla.
    Da lettore, però, non è detto che debba accettare la scala di valori per cui King stabilisce chi è buono e chi è cattivo.

  8. @ Paolo1984: l’episodio che citi, a mio parere, non rende V “ambiguo”, è lo stesso sguardo di Moore a non volerlo fare. Tant’è che al centro dell’episodio non c’è la tortura ma la lettera della prigioniera.
    V è estremo, è irriducibile, ma non è negativo.

  9. Un punto toccato in questa discussione riguarda il rapporto tra King e la narrativa cosiddetta “alta”. Secondo me, tra i meriti di questo autore, c’è quello di essere riuscito a sottrarsi alle classificazioni. Ormai quasi nessuno (tranne quelli che leggono solo le quarte di copertina) lo considera semplicemente uno scrittore horror. Allo stesso modo non può essere considerato semplicemente un narratore votato al puro intrattenimento, perché la sua opera contiene riflessioni tutt’altro che banali: a cominciare dalla riflessione sulla scrittura (“On writing” a parte, mi riferisco soprattutto a “Misery non deve morire”).

  10. @ daxman “quella che lui intende come fazione dei “buoni” non sia scritto da nessuna parte che la si debba considerare tale”.
    Mi sembra un pò una cavolata questa dax. Lui crea i personaggi e non è un limite farli positivi ma una scelta di linguaggio. Credo che non ci sia tutta questa possibilità di invertire i ruoli, mi sembra difficile patteggiare per gli antagonisti in King.
    Ripeto, forse non dovresti leggerlo, mi sembra che tu stia cercando di forzare King in una forma che non gli può appartenere.
    Su V.
    Quoto Paolo, il personaggio di V è decisamente a metà strada tra il paladino e il terrorista. E’ un guerrigliero, non è il bene, ma il male necessario alla rivoluzione. Quella di V è una guerra etica quella in King è estetica.
    In king si combatte contro il male dando per assunto che appartiene al mondo e si partecipa dello scontro, se ne assaporano i modi e i passaggi, in V ci si scaglia contro l’ingiustizia, la devianza del potere e ci si danna per uccidere il mostro sapendo che alla fine ci sarà un mondo migliore, qui il male è un errore, un sopruso…
    V è il contrario dell’epica, è la caricatura di un sistema, quello del pensiero conservatore al potere e di tutte le sue magagne.
    Per V, all’epoca, era l’inghilterra della Tatcher, ma abbiamo visto che la versione cinematografica si adatta perfettamente al mondo post 11 settembre, dopo che in sceneggiatura sono stati fatti i necessari ritocchi.
    Durante l’era Clinton, per esempio, un film come V sarebbe passato inosservato.
    D.

  11. Ma anche a “La metà oscura”, per esempio, in cui King indaga a fondo – ma senza alcuna pedanteria! – l’io diviso dello scrittore. Cioè il porsi della Voce dello scrittore come altro dallo scrittore in quanto tale. Remember la distinzione tra je e moi in Rimbaud?
    Mi sembra davvero nodale il punto toccato da Danilo in questo senso. La capacità cioè di King di rapportarsi ai grandi temi, di essere cioè uno scrittore-mondo (e chiamatelo ancora “di genere”, accidenti!) senza tediare neanche il lettore più sprovveduto – lo leggono e lo amano pure quelli di dieci anni…
    Dico una cosa? La dico. King è, a mio modesto parere, l’equivalente di Dickens – o di Shakespeare. Il tipo di scrittore che sa parlare a tutti, perché utilizza una cucina apparentemente elementare, quasi ingenua. Sciogliendo la complessità del mondo in una leggerezza che viene scambiata (solo) per puro intrattenimento.
    Ma ovviamente ci sono piccole sacche di lettori snobini, che per apprezzare devono non capire. O devono capire solo loro. Forse per questo, solo a loro King non parla.

  12. L’esempio lampante è in The Dome.
    King ha dovuto usare la calotta come fattore claustrofobico che facesse emergere il male negli abitanti della città. Non avrebbe parlato di un venditore di auto usate che si prende il potere così, tanto per esercitare l’ingiustizia.
    V parla si interessa meno di come è nato il regime ma si occupa di come ‘risvegliare’ una cittadina qualunque alla lotta.
    D.

  13. @ Chiara
    La penso come te. King indubbiamente possiede la capacità di intrattenere, ma la sua opera offre diversi livelli di lettura. King parla al lettore che cerca l’intrattenimento, ma anche al lettore colto. C’è l’eterna lotta tra il bene e il male, ma il male non è mai un astratto e asettico “male assoluto”, come in tante narrazioni epiche. E’ un male verosimile, che pesca nella quotidianità. C’è dunque l’epica, ma c’è anche la capacità di esplorare il lato oscuro del cuore umano. Ho riletto recentemente “Un ragazzo sveglio” (una novella che può essere considerata un romanzo: quasi 200 pagine), da cui è stato tratto il film “L’allievo”. A distanza di anni. è ancora un pugno nello stomaco.

  14. Sì, va bene, ma tutte queste cose così profonde che c’entramo con “Notte buia, senza stelle”? Io non mi considero, a dispetto di quello che pensa Chiara, un lettore snobbino. Tutt’altro. Né ho mai pensato a King come a uno scrittore estraneo alla letteratura. Eppure, questo libro mi ha deluso. Ha deluso solo me? Se questo libro mi ha lasciato l’amaro in bocca è perché non è stato capace di “spiazzarmi”, cosa che invece gli era riuscita con altri suoi libri, da The Dome a Misery (ma persino con Mucchio d’ossa). Se fin dalle prime righe capisco quali saranno gli esiti dei racconti, cosa può darmi questo libro? Se tutto è così … scontato, cosa devo cercare? Sono io che non trovo o è il libro che non riesce ad aprire altri mondi? Sono davvero esagerato se dico che c’è ben poco oltre la “lettera”?
    Fabio

  15. Parole…
    Guardate la terza stagione di “Sons of Anarchy” cameo imperdibile… come si vede che il Re non si prende troppo sul serio!!!

  16. Ho letto solo il primo racconto di NBNS (stanotte) e sono rimasta impressionata dall’eleganza della struttura – la maledizione della madre, scagliata nel corso della disgustosa scena da ubriaca, che ricade sul figlio fino alle estreme conseguenze, come un cappio che stringe il racconto chiudendolo sull’incipit… assolutamente perfetto. quanti altri scrittori sono in grado di fornire una tale performance formale?
    Questo al di là dei contenuti, dell’ambientazione e quant’altro, intendo.

  17. @chiara
    “King è, a mio modesto parere, l’equivalente di Dickens – o di Shakespeare…”
    Va beh…allora!
    “Il tipo di scrittore che sa parlare a tutti, perché utilizza una cucina apparentemente elementare, quasi ingenua..”
    Anche Augias,la Tamaro e la Sveva Casati parlano a tutti.
    Perchè sarei snob a leggere Cervantes,Stendhal,Tolstoi,Proust,Rimbaud,Faulkner….?
    Ho letto diversi romanzi anche di King,purtroppo non ho visto tutta quella profondità a cui qui si accenna,d’accordo la lettura sarà anche più facile,elementare…ma che c’entra?
    Ma forse avete ragione voi,sono limiti miei.

  18. @miskin
    La Tamaro parla a tutti?
    Via, questa non è una domanda, è solo una provocazione.
    Per quanto riguarda Faulkner, non capisco la contrapposizione. E’ un autore popolare, fondamentalmente. Del tipo di King, insomma.
    Troppa confusione, non dibatto nemmeno.

  19. Dimenticavo. A parlare di King come del nuovo Dickens non sono io, ovvio. Ma tutti – dico tutti – perfino i critici! Insomma, non è una novità. Anzi, è quasi una banalità da parte mia averlo ripetuto.
    Ecco perché non dibatto… su quale base?

  20. @Miskin, a parte che il fatto che una lettura sia semplice, non vuol dire che non sia profonda (ed e’ vero anche il contrario: una lettura difficile puo’ tranquillamente NON essere profonda), king e’ falsamente semplice. Lo si capisce solo leggendolo in inglese, ma i giochi di parola che utilizza, l’uso di dialetti americani che caraterrizzano i personaggi, lo rendono molto meno semplice e piatto di come possa apparire in italiano.
    Poi e’ ovvio che possa non piacere, ci mancherebbe!
    @Fabio: a me Full Dark No Stars non ha esaltato. L’ho trovato un po’ una minestra riscaldata, con tematiche che King aveva gia’ trattato in precedenza. Una piacevolissima lettura, ma non una che mi abbia segnato.

  21. Il paragone con Dickens, secondo me, è azzeccato. Ecco. l’ho detto!
    @ Miskin: sono i miei gusti personali. Però su un punto vorrei fare una precisazione: ci sono molti scrittori che sanno soltanto intrattenere. King sa “anche” intrattenere. Ma non si può ridurlo a intrattenitore, come lo sono tanti che trovi nella classifica dei bestseller. Sarebbe una vera ingiustizia nei suoi confronti. Sbaglierò, ma sono convinto che King, a differenza di tanti altri, resterà. Sono convinto che di lui si parlerà ancora nei prossimi secoli. Peccato che non avrò la possibilità di verificarlo…

  22. @ Daniele
    Già, quando discuto a proposito di King, cito sempre “un ragazzo sveglio”. Una delle opere più inquietanti che abbia mai letto. Ed è solo uno dei tanti capolavori di King.
    PS Ho detto “quando discuto a proposito di King”, perché discussioni come queste mi capitano spesso. Mi piacerebbe capire il perché. Pochi scrittori dividono così…

  23. Io comunque non ho ancora finito 1922 ma mi sta piacendo moltissimo, ci ritrovo il consueto talento di King nel descrivere l’America di provincia (nel caso specifico l’America rurale degli anni ’20) restituendone appieno la mentalità in tutti i suoi aspetti compresi ovviamente quelli più oscuri, ti porta veramente “dentro” quel mondo, lo stesso talento di Joe R. Lansdale quando descrive il suo Texas orientale.
    Penso che questo derivi anche dal fatto che entrambi questi scrittori amano moltissimo la loro terra, ma ne vedono le storture, le cose negative e non si fanno problemi a scriverne, non è un amore cieco insomma.

  24. Perché è popolare, commerciale e grande allo stesso tempo, se king non avesse l’elemento soprannaturale e facesse racconti esistenziali di provincia con un prosa lievemente più difficile sarebbe il beniamino degli intellettualoidi borbonici, avrebbero detto e scritto che in quest’epoca di media martellanti e mercificazione ecco qualcuno che parla di noi in modo intimo e profondo.
    Esiste una frangia della cultura che si ritiene elitaria e raffinata, che si ipnotizza da sola di riferimenti teorici filosofici e quindi , per definizione, si reputa inconciliabile col mercato e con la cultura di massa.
    Ecco perchè King divide.
    Ti rimando al bel commento di Simone Ragazzoni sopra.
    Morire, dormire, forse sognare… La “letteratura alta” deve attraversare proprio un brutto momento per scatenare nei suoi presunti adepti passioni così tristi. E tuttavia anche tali passioni sono importanti: sono il sintomo delle resistenze alla trasformazione in atto di ciò che chiamiamo ancora “cultura umanistica”. La casa della cultura umanistica è ossessionata da spettri che non riesce più a esorcizzare. Gli stessi abitanti della casa temono di essere invasati. Per questo sono così violenti nel rigetto. A questo proposito il caso King è esemplare. Varrebbe la pena chiedersi: di che cosa è il nome oggi “Stephen King”?
    D.

  25. “se king non avesse l’elemento soprannaturale e facesse racconti esistenziali di provincia con un prosa lievemente più difficile…” D. Marotta
    In quel caso sarebbe Elizabeth Strout. Ma non credo abbia una prosa più difficile fermo restando che l’ho letta solo in italiano come anche King.

  26. non so di quale invasamenti,paure parlate…ho solo detto se debbo essere considerato uno snob a leggere gli autori che ho citato.
    Non è che esagerate dall’altra parte?
    Che Faulkner sia autore così popolare ho qualche dubbio,ma il punto non era questo.
    Se poi King riserve sorprese a leggerlo in inglese,questo non lo so.So solo che ho letto una mezza dozzina di suoi romanzi di cui metà non proprio così esaltanti come la fate voi.
    Ma poi dipende da cosa uno cerca nella lettura.

  27. Assolutamente dipende da cosa uno cerca.
    Diciamo che tre romanzi buoni di King li hai trovati..
    Quali?
    Per me i tre top sono, It,Cose preziose Le creature del buio.
    Poi Pet Cemetery, Carrie, L’ombra dello scorpione, Shining.
    D.

  28. Sarà poco in, ma io quando leggo cerco solo di imparare,nel senso che uno scrittore può meglio chiarirmi su certi temi fondamentali ,magari ciò che in modo confuso percepisco o non percepisco affatto e ancora per vedere in che modo,in che stile lo fa.
    Se devo divertirmi o evadere lo faccio in altri modi.
    Detto questo,per quanto mi riguarda,preferisco altri autori rispetto a King.
    Magari,prima di legger lui,sarebbe meglio legger qualcun altro che può averlo anticipato su certi temi quasi su tutto.
    I suoi romanzi “buoni” come dici tu,sono stati per me l’ombra dello scorpione e it.
    Ma in tutta verità,preferisco leggere altri.

  29. Io non ho mai considerato King un autore di pura evasione (quello semmai per me potrebbe essere Faletti, e comunque non è un disonore), personalmente mi ha aiutato a chiarirmi su temi fondamentali certo in maniera molto diversa da come mi ha aiutato Saramago, ma comunque King è stata una lettura fondante per me, direi al pari di Saramago che ho scoperto più tardi.
    Poi come sempre de gustibus…

  30. Una chiosa su Saramago, per dimostrare che la letteratura “non” è a compartimenti stagni, ma osmosi tra mille fattori differenti, dall’alto al basso, dai contenuti popolari a quelli altissimi (vedi Faulkner o Philip K.Dick): “Cecità” di Saramago trae (evidente) ispirazione da “Il giorno dei trifidi”, capolavoro SF di John Wyndham. Gli scrittori, i veri scrittori intendo, si ispirano a vicenda tra loro, mischiano il loro sentire, individuano strani maestri…
    Non riducete, e parlo a miskin ma non solo, la letteratura a classificazione di cartellini (qui i classici, qui il mainstream, qui i generi eccetera). E’ un danno procurato non agli scrittori, ma ai lettori stessi.

  31. “..Ed esiste senz’altro una letteratura più colta e una letteratura più popolare, una più complessa e una di più facile accesso. Le appartenenze all’una o all’altra si possono
    definire in base allo stile di scrittura, allo sviluppo dell’intreccio, ai temi affrontati, etc. ”
    Queste sono parole di WU MING 4,non certo sospettabile di erigere steccati tra le diverse forme letterarie.C’è quindi qualche differenza…
    Vero è che a lui interessa esplorare,come sostiene, la fluttuante linea di confine tra questi due estremi,ma ciò non toglie che egli stesso veda la distinzione,a prescindere da ogni tipo e provenienza di ispirazione…

  32. miskin: è chiaro che c’è distinzione. Quello che si contesta sono frasi come “TUTTA la tale letteratura è merda” e “TUTTA la tal’altra letteratura è bellissima, profonda ecc”. Poi è ovvio che ci sono delle distinzioni, guai che così non fosse. Purtroppo il mondo è complesso, non si presta alle generalizzazioni…

  33. @ miskin: occorre sapere operare distinzioni, e connessioni, evitando le gerarchizzazioni. Altrimenti si trasformano le differenze da cifre di ricchezza e singolarità, a strumenti per produrre svalutazione (e peggio). Non dimentichiamo che quando qualcuno svaluta o prova a mettere al posto che le spetta la letteratura popolare (o supposta tale) sta già rimarcando la propria “distinzione” intellettuale da quanti non hanno un certo gusto.
    Lo spazio della presunta “Letteratura” si definisce, in ogni epoca, attraverso l’abbassamento e l’esculsione di ciò che non è letterario. E’ con questo gioco sterile che occorre rompere una volta per tutte. Per cominciare a leggere.

  34. Beh,più che altro in questo articolo si parla di traduzione e dei problemi relativi ad essa con uno scrittore “monoglot” come king,con appunto giochi di parole….spesso intraducibili.
    Un riferimento possibile può essere “le storie di king sono volutamente basate su allegorismi universali, che li rende leggibili e divertenti, nonostante l’accento sulla singolarità.(localism). A livello di narrazione, trama, metafore e simboli, King è uno scrittore molto ecumenico. ”
    Un po’ poco e molto generalizzato.
    Ma la domanda che facevo era in relazione al discorso di WU MING 4,che evidenziava distinzioni tra DUE TIPI DI LETTERATURA.(vedi sopra),e di cui King è solo un caso particolare.
    Se c’è distinzione,come si ammette, c’è anche diversità.Quale? In che consiste questa diversità?
    Non mi sembra che la sua intervista non chiarisca questo interrogativo.

  35. I tipi di letteratura, secondo il mio personalissimo e perfettibile giudizio, sono “idee platoniche”. Un conto è la definizione di due tipi di letteratura, è cioè di categorie astratte, un altro è la possibilità di ricondurre con esattezza uno scrittore all’uno o all’altro. King, secondo me, ha la capacità di sottrarsi a questa classificazione. La sua opera presenta caratteristiche della narrativa cosiddetta popolare, ma offre anche livelli di lettura che appartengono alla narrativa “alta”.

  36. #danilo. Infatti. Un libro è fatto di tanti pezzi, livelli e registri che viaggiano insieme all’esperienza del lettore. Non è una cosa morta che sta lì. Forse considerare questa dimensione ‘dialogica’ potrebbe aiutare a non ‘gerarchizzare’ libri e generi in modo troppo rigido. Certamente anche nei libri di Ellroy o Harris (che figuravano tra quelli scelti da DFW per il suo corso sulla letteratura ‘popolare’, insieme a King) ci sono riflessioni sull’uomo e sulla natura del male che parlano a molti, e in modo non banale.

  37. @ Miskin
    il link alla mia intervista è, appunto, il link alla mia intervista. Se avessi inteso rispondere a una domanda di qualcuno o rivolgermi a chicchessìa, lo avrei specificato. Poiché non ho indicato “destinatari” di sorta, non vedo perché qualcuno debba sentirsi tale più di altri. La mia segnalazione va letta come… una segnalazione, senza alcun legame con il tuo interrogativo, né esplicito né implicito.

  38. @WU MIng 1
    Ok,l’avevo equivocata come risposta alla mia domanda,venendo subito dopo questa.
    @danilo\diana
    Ripeto da WU MING 4 ““..Ed esiste senz’altro una letteratura più colta e una letteratura più popolare, una più complessa e una di più facile accesso..”
    e la mia domanda conseguente:
    “Il fatto stesso che si operi una distinzione implica una diversità.
    Chiedo: secondo voi quale?In che consiste questa diversità?”
    E non si tratta di gerarchizzare,ma solo di spiegare questa diversità

  39. @miskin. Io non la so spiegare, mi dispiace. Comunque, non ho niente contro le gerarchizzazioni o le gerarchie, anch’io ho le mie. Mi sono limitata a dire ceh in questo specifico caso le trovo poco illuminanti e feconde.

  40. @ miskin
    A forza di vedermi citato mi sento chiamato in causa 🙂
    Non credo che esista “una” distinzione, ma molte possibili. Operare una sola macro-distinzione non serve a niente, lo hanno già detto molti in questo thread, è una riduzione di complessità talmente eclatante che non dovrebbe nemmeno avere bisogno di essere commentata. Forse, estrapolate dal contesto, le mie parole ripescate dal quel vecchio thread sulla letterarietà possono essere male interpretate. Affermare che esistono romanzi più colti, più complessi da leggere per lingua e sviluppo della trama, etc. e altri più semplici, più lineari, più immediatamente accessibili, è una constatazione che determina una distinzione, senz’altro, la quale però ne interseca molte altre e che quindi da sola non può bastare. Se è insufficiente, in ultima istanza è poco utile. Posso dire che – nel senso suddetto – i romanzi di Salgari sono più “semplici”, che so?, di quelli di Pamuk o di McEwan, ma questo – come afferma Regazzoni – non implica alcuna gerarchizzazione, perché i romanzi di Salgari possono avere mille altri pregi determinati da altre qualità. Se ricordi, infatti, in quel vecchio interminabile thread io corredavo l’affermazione che tu citi con un paio di esempi (“Il Signore degli Anelli” e “Bambini nel bosco”) che già la mettevano in crisi, perché sono romanzi che trattano temi complessi, pur restando all’interno di uno stile e di una trama lineari, accessibili, “popolari”. Questo per dire che, appunto, l’insiemistica in letteratura funziona assai poco e lascia il tempo che trova. Le opere letterarie andrebbero lette e valutate per quello che sono.

  41. Al volo e senza aver letto tutti i commenti.
    La differenza fra King e Wallace è che la forza di King sta nella visione, nell’immaginazione, quella di Wallace sta nella lingua, nella costruzione. KIng edifica mondi col fuoco drammatico, Wallace con la sintassi e l’articolazione. Un po’ come paragonare, chessò, Maradona e Platinì. Diversissimi ma entrambi grandissimi.
    ps: fino a pochissimi anni fa non avrei mai paragonato King a Wallace, ma più passa il tempo più mi convinco che King sia, sul piano dell’immaginario, il genio della nostra era.

  42. Sottoscrivo in toto le considerazioni di Wu Ming 4.
    Per miskin: invece di pensare lo spazio letteraio come uno spazio diviso in due o più parti di cui si tratterebbe di cogliere le differenze specifiche, prova a pensarlo nei termini di quelli che si chiamano “sistemi complessi”, ricchi di variabili, interconnessioni, in continua trasformazione: e per questo difficilissimi da mappare, se non a rischio di semplificazioni. Un esempio di sistema complesso è un “ecosistema”: a me sembra una buona immagine dello spazio letterario. In un campo come nell’altro e sempre sconsigliabile se si vuole capire qualcosa intervenire con l’accetta o peggio con le ruspe.

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