ANCORA UNA VOLTA SUI DIRITTI

Oggi io lascio la parola a Stefano Rodotà. What else?
Nel 1872, a Vienna, comparve un piccolo classico del liberalismo giuridico, La lotta per il diritto di Rudolf von Jhering, che Benedetto Croce volle fosse ripubblicato quasi come un anticorpo negli anni del fascismo. Oggi è più giusto parlare di lotta per i diritti, che si dirama dalla difesa dei diritti sociali fino alle proteste dei giovani di Hong Kong, e che può essere sintetizzata con le parole di Hannah Arendt, “il diritto di avere diritti”, ricordate su questo giornale con diverso spirito da Alain Touraine e Giancarlo Bosetti (e che ho adoperato come titolo di un mio libro due anni fa).
Ma, per evitare che quella citazione divenga poco più che uno slogan, bisogna ricordarla nella sua interezza: “Il diritto ad avere diritti, o il diritto di ogni individuo ad appartenere all’umanità, dovrebbe essere garantito dall’umanità stessa”. Così la fondazione dei diritti si fa assai impegnativa, esige una vera “politica dell’umanità”, l’opposto di quella “politica del disgusto” di cui ci ha parlato Martha Nussbaum a proposito delle discriminazioni degli omosessuali, ma che ritroviamo in troppi casi di rifiuto dell’altro.
Quella del riconoscimento dei diritti è un’antica promessa. La ritroviamo all’origine della civiltà giuridica quando nel 1215, nella Magna Carta, Giovanni Senza Terra dice: “Non metteremo la mano su di te”. È l’habeas corpus , il riconoscimento della libertà personale inviolabile, con la rinuncia del sovrano a esercitare un potere arbitrario sul corpo delle persone. Da quel lontano inizio si avvia un faticoso cammino, fitto di negazioni e contraddizioni, che approderà a quella che Norberto Bobbio ha chiamato “l’età dei diritti”, alle dichiarazioni dei diritti che alla fine del Settecento si avranno sulle due sponde del “lago Atlantico”, negli Stati Uniti e in Francia. È davvero una nuova stagione, che sarà scandita dal succedersi di diverse “generazioni” di diritti: civili, politici, sociali, legati all’innovazione scientifica e tecnologica. Saranno le costituzioni del Novecento ad attribuire ai diritti una rilevanza sempre maggiore. Ed è opportuno ricordare che le più significative innovazioni costituzionali del secondo dopoguerra si colgono nelle costituzioni dei “vinti”, l’italiana del 1948 e la tedesca del 1949, che non si aprono con i riferimenti alla libertà e all’eguaglianza. Nella prima il riferimento iniziale è il lavoro, nella seconda la dignità. Si incontrano così le condizioni materiali del vivere e la sottrazione dell’umano a qualsiasi potere esterno.
Cambia così la natura stesso dello Stato, caratterizzato proprio dall’innovazione rappresentata dal ruolo centrale assunto dai diritti fondamentali. E si fa più stretto il legame tra democrazia e diritti. Con una domanda sempre più stringente: che cosa accade quando i diritti vengono ridotti, addirittura cancellati? Molte sono state in questi anni le risposte. Proprio la centralità dei diritti fondamentali nel sistema costituzionale ha fatto parlare di diritti “insaziabili”, che si impadroniscono di spazi propri della politica e che, considerati come elemento fondativo dello Stato, espropriano la stessa sovranità popolare. Più nettamente, nel tempo che stiamo vivendo, i diritti sono indicati come un lusso incompatibile con la crisi economica, con la diminuzione delle risorse finanziarie.
Ma, nel momento in cui la promessa dei diritti non viene adempiuta, o è rimossa, da che cosa stiamo prendendo congedo? Quando si restringono i diritti riguardanti lavoro, salute e istruzione, si incide sulle precondizioni di una democrazia non riducibile ad un insieme di procedure. Non sono i diritti ad essere insaziabili, lo è la pretesa dell’economia di stabilire quali siano i diritti compatibili con essa. Quando si ritiene che i diritti sono un lusso, in realtà si dice che sono lussi la politica e la democrazia. Non si ripete forse che i mercati “decidono”, annettendo alla sfera dell’economico le prerogative proprie della politica e dell’organizzazione democratica della società?
La riflessione sui diritti ci porta nel cuore di una discussione culturale che va al di là delle contingenze e rivela come i riferimenti alla crisi economica abbiano soltanto reso più evidente una trasformazione e un conflitto assai più profondi, che riguardano il modo stesso in cui si deve guardare alla fondazione delle nostre società. A Touraine sembra che le spinte provenienti dal sociale abbiano esaurito la loro capacità trasformativa e propone non soltanto di rimettere i diritti fondamentali al centro dell’attenzione, ma di operare uno spostamento radicale verso movimenti “etico-democratici”, i soli in grado di porre in discussione il potere nella sua totalità e di “difendere l’essere umano nella sua realtà più individuale e singolare”. I diritti fondamentali “ultima utopia”, come ha scritto Samuel Moyn, o pericoloso espediente retorico, che trascura la loro inattuazione anche quando sono formalmente proclamati e se ne serve per imporre con un tratto “imperialistico” la cultura occidentale, oggi il neoliberismo? Si può andare oltre queste contrapposizioni o dobbiamo piuttosto considerare la dismisura assunta dalla dimensione dei diritti che, secondo Dominique Schnapper, mette a rischio i fondamenti stessi della democrazia, vissuta troppo spesso come “ultrademocrazia”, e a riflettere sulla forza delle cose che ha interrotto quella che Giuliano Amato ha definito “la marcia trionfale dei diritti”?
Tutti questi interrogativi confermano la necessità di analisi approfondite, che dovrebbero però tener conto di come il mondo si sia dilatato, spingendo lo sguardo verso culture e politiche che proprio ai diritti fondamentali hanno affidato un profondo rinnovamento sociale e istituzionale. È nel “sud del mondo” che ritroviamo novità significative, nella legislazione e nelle sentenze delle corti supreme di Brasile, Sudafrica, India. Basterebbe questa constatazione per mostrare quanto siano infondate o datate le tesi che chiudono la vicenda dei diritti fondamentali solo in una pretesa egemonica dell’Occidente. Al tempo stesso, però, l’attenzione per le costituzioni “degli altri” deve spingerci ad avere uno sguardo nuovo anche sul modo in cui i diritti fondamentali si stanno configurando nelle loro terre d’origine, a cominciare dai nessi ineliminabili e inediti tra diritti individuali e sociali, tra iniziativa dei singoli e azione pubblica.
I diritti non invadono la democrazia, ma impongono di riflettere su come debba essere esercitata la discrezionalità politica: proprio in tempi di risorse scarse, i criteri per la loro distribuzione debbono essere fondati sull’obbligo di renderne possibile l’attuazione. E, se è giusto rimettere al centro i diritti individuali per reagire alla spersonalizzazione della società, è altrettanto vero che questi diritti possono dispiegarsi solo in un contesto socialmente propizio e politicamente costruito. Qui trovano posto le riflessioni su un tempo in cui il problema concreto non è la dismisura dei diritti, ma la loro negazione quotidiana determinata dalle diseguaglianze, dalla povertà, dalle discriminazioni, dal rifiuto dell’altro che, negando la dignità stessa della persona, contraddicono quella “politica dell’umanità” alla quale è legata la vicenda dei diritti.
Seguendo questi itinerari, ci avvediamo di quanto sia improprio ragionare contrapponendo diritti e politica. Senza una robusta e consapevole politica, fondata anche sull’iniziativa delle persone, i diritti corrono continuamente il rischio di perdersi. Ma quale destino possiamo assegnare ad una politica svuotata di diritti e perduta per i principi?

5 pensieri su “ANCORA UNA VOLTA SUI DIRITTI

  1. Buongiorno cara Loredana, la tua battaglia è viva e leggerti mi fa star bene. Rodotà è un patrimonio della nostra Cultura e Renzi sta sfasciando tutto da sinistra
    @H..Q..R
    Quel che dici è condivisibile, allora che fare? Mettiamo tutto in mano agli economisti?? Non avevo mai pensato al fatto che un diritto implica un dovere e che questo debba essere remunerato. Messa così in effetti non so più a chi dare ragione.

  2. Cara Conchita, mi perdonerai se il commento di HQR, alias hommequirit, alias uno dei troll che infesta questo blog e altri da anni, è stato reso non disponibile. Discussione libera, ma non con i troll, mai. Un caro e cordiale saluto.

  3. Vale la pena di ricordare che le parole di Hannah Arendt citate provengono da “Le origini del totalitarismo”: giusto per sottolineare qual è lo sfondo su cui si muove la riflessione di Rodotà.

  4. Stefano Rodotà, What else. Oppure anche, Stefano What Else Rodotà. L’esergo sembra quasi un presa in giro del distinto signor Rodotà, il What Else rimanda all’altrettanto distinto George Clooney, fascinoso e irraggiungibile personaggio da spot.
    Fascinoso e irraggiungibile, perlomeno incomprensibile è in effetti anche questo articolo ( ma forse anche questo articolo è uno spot)) ove si accatastano con eleganza rimandi e citazioni, senza però rispondere alle domande brucianti, fondamentali sui diritti sulla loro relazione con la democrazia e di questa con la disponibilità di risorse. Un evasività inquietante, che si avvale della confusione che c’è oggigiuorno circa il significato dei “diritti”, di come questi vengano oggi distorti, manipolati, di come ormai siano un mezzo per il controllo delle persone . Un pezzo di carne da buttare nel recinto delle bestie affamate, che infatti se non glielo butti non c’è più la democrazia. e si mettono a sbranarsi di diritto. What Else Ci mancherebbe.
    Ho visto che in altro post si parla dell’appiattimento sul presente, di come non ci sia l’interesse per ciò che è stato prima di noi. Ecco per me ripensare a ciò che era prima di me, è ripensare alla povertà, alla fame, a due fette di pane prese a debito da dividere in sei persone. Ecco pensiamo in quella famiglia in quel gruppo poteva esserci rispetto? Poteva esserci democrazia? Poteva esserci umanità?
    ciao,k.

  5. Esatto, k. Infatti chi fa politica dovrebbe decidere dove destinare le risorse che per definizione sono sempre scarse. E mi pare che non ci siano dubbi sulle scelte in corso. Il problema, dunque, non mi pare che stia nei diritti, semmai nel fatto che si moltiplicano i doveri per i più e i privilegi per pochissimi: in questa forbice andrebbe inserito il discorso di Rodotà.

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