Ho parlato con molte persone, nella trascorsa settimana torinese, ed è stato sempre un bel parlare, magari problematico, e per fortuna anzi problematico perché porta a rivedere molte proprie posizioni. Un’amica, in particolare, mi ha fatto pensare a lungo. Ha parlato di chi, come lei, prende uno stipendio che basta a malapena per pagare l’affitto e mangiucchiare qualcosa: lavora nel settore culturale, che continua a essere trascurato sotto questo aspetto per venire considerato semplicemente privilegio. Eppure anche nella cultura si lavora, e pure tanto, e si viene tutelati ancor meno a causa dell’odioso semi-ricatto “fai qualcosa che ti piace, fai qualcosa di bello”. E quest’amica, sospirando, mi diceva che comincia a capire la disaffezione comune per le battaglie sui diritti. “Come fai”, diceva dunque, “ad appassionarti ai diritti quando non riesci a pianificare niente, figuriamoci una famiglia, perché a fine mese non ci arrivi?”.
E’ innegabilmente il punto su cui agiscono le destre, e trovano terreno fertilissimo, come si nota dal discorso della premier ad Atreju. Eppure, dieci anni fa, Stefano Rodotà diceva: “Si è inclini a dimenticare che i diritti sono indivisibili e che le vere stagioni dei diritti sono quelle in cui diritti individuali e diritti sociali procedono insieme”.
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Prendo spunto, ancora, dalla questione Roald Dahl, ma per provare ad affrontare un punto che è, secondo me, centrale (e rientrerebbe peraltro proprio nel discorso del lavoro culturale e di come ci si deve rapportare a una realtà complessa come la nostra). La cosa più sbagliata che possiamo fare, e lo ripeto, è trasformare la discussione in schieramenti. E, soprattutto, banalizzare le istanze di chi chiede voce: “concederla” e anzi sfruttarla a proprio vantaggio come hanno fatto Netflix e Puffin Books è, a mio parere, un errore e anche un abbaglio. Azzerare e schernire chi desidera testi inclusivi, o come vogliamo chiamarli, è un altro errore.
Certo, resto convintissima del fatto che quei testi dovrebbero essere prodotti oggi, e che quelli di ieri non andrebbero toccati, specie ad autore morto.
Però. Mi ha colpito, fra le centinaia di post letti, chi faceva riferimento alla nostalgia, e sosteneva che esiste una spinta conservatrice che viene da chi vorrebbe che il proprio mondo, quello in cui è cresciuto, rimanesse immutabile. Questo è un punto interessante, anche se, ancora una volta, pieno di sfumature.
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