Prendo spunto, ancora, dalla questione Roald Dahl, ma per provare ad affrontare un punto che è, secondo me, centrale (e rientrerebbe peraltro proprio nel discorso del lavoro culturale e di come ci si deve rapportare a una realtà complessa come la nostra). La cosa più sbagliata che possiamo fare, e lo ripeto, è trasformare la discussione in schieramenti. E, soprattutto, banalizzare le istanze di chi chiede voce: “concederla” e anzi sfruttarla a proprio vantaggio come hanno fatto Netflix e Puffin Books è, a mio parere, un errore e anche un abbaglio. Azzerare e schernire chi desidera testi inclusivi, o come vogliamo chiamarli, è un altro errore.
Certo, resto convintissima del fatto che quei testi dovrebbero essere prodotti oggi, e che quelli di ieri non andrebbero toccati, specie ad autore morto.
Però. Mi ha colpito, fra le centinaia di post letti, chi faceva riferimento alla nostalgia, e sosteneva che esiste una spinta conservatrice che viene da chi vorrebbe che il proprio mondo, quello in cui è cresciuto, rimanesse immutabile. Questo è un punto interessante, anche se, ancora una volta, pieno di sfumature.
Tag: Stefano Rodotà
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