Pari o Dispare, come forse sapete, è un comitato che lavora per la parità di genere nel lavoro, nella società, nell’immaginario. Ora, organizza a Milano, per il prossimo giovedì 10 giugno alle 16.45 (Università Statale aula 201, via Festa del Perdono 3) un Convengo dal titolo: “L’importante è pareggiare. Donne nei media e in pubblicità: per una diversa immagine delle donne in Italia”. Partecipano. Emma Bonino, Marilena Adamo, Maria Pia Ammirati, Monia Azzalini, Bianca Beccalli, Chiara Bernardi, Raffaela Carretta, Gabriella Cims, Roberta Cocco, Marilisa D’Amico, Serena Dinelli, Kristin Engvig, Ico Gasparri,
Maria Ida Germontani, Gad Lerner, Elisa Manna, Donatella Martini, Pina Nuzzo, Anna Puccio, Danda Santini, Cinzia Sasso, Caterina Soffici, Syria, Cristina Tagliabue, Luigi Vimercati, Lorella Zanardo.
In proposito, inviterei anche a leggere l’articolo di Barbara Ardù apparso oggi sulle pagine economiche di Repubblica:
“Nel mondo del lavoro tra uomini e donne forse l´unica parità raggiunta, almeno in Italia, è sull´età pensionabile nel pubblico impiego. A casa non prima dei 65 anni. Per il resto è tutta una disparità. Quando lavorano le donne guadagnano meno degli uomini e in poche arrivano a ruoli dirigenziali. Sono, insieme ai giovani, le nuove protagoniste del precariato, tant´è che pur rappresentando il 38 per cento degli occupati, raggiungono il 51 per cento tra i lavoratori instabili. E per finire quando “staccano” sono loro a sobbarcarsi la fatica del vivere quotidiano: la cura dei figli, la spesa, gli anziani, la casa. Un doppio lavoro che secondo l´Istat vale quasi due ore in più al giorno rispetto a quanto faticano mariti, fratelli o compagni. Comunque uomini. Pulire, cucinare, fare ordine è, per il 90 per cento delle famiglie italiane, un lavoro da donne. Esclusivamente femminile, se parliamo di lavare e stirare. Va un po´ meglio, secondo i dati Istat, solo se i coniugi sono “laureati”.
Dunque le donne del pubblico impiego costrette alla pensione cinque anni più tardi si sobbarcheranno ancora cinque anni di doppio lavoro. Non è dunque un gran traguardo l´equiparazione dell´età pensionabile tra i sessi nel pubblico impiego. Anzi c´è chi sostiene che invece della parità Ue e governo sanciscano una disparità di trattamento. La pensa così, ma non è la sola, Giovanna Altieri, direttrice dell´Ires, che da anni studia il mercato del lavoro con lo sguardo rivolto all´universo femminile. «La possibilità di poter scegliere se andare in pensione a 60 anni – sostiene la ricercatrice – sanciva per le donne italiane una differenza che è sotto gli occhi di tutti: un lavoro più discontinuo dovuto alla nascita e alla cura dei figli in assenza, rispetto ad altri Paesi, di aiuti diretti alla famiglia, di asili nido, di assistenza».
L´eguaglianza era nella «libertà di poter scegliere», non «nell´obbligo di andare in pensione a 65 anni», aggiunge Morena Piccinini, segretario confederale della Cgil. Non solo. «Questo governo di centro – destra, lo stesso che ha sollevato anni fa il problema in sede Ue, ha un solo obiettivo, mettere le mani sui contributi delle donne che dovrebbero andare in pensione, per coprire buchi di bilancio. Un sacrificio chiesto dunque, non per far crescere il Paese, per dare lavoro ai giovani, ma per fare cassa. Non a caso – aggiunge – nessuno si sogna di chiedere l´equiparazione nel settore privato». Come la Cgil, Uil e Cisl chiedono unanimi che il governo chiarisca su un accordo che era stato già raggiunto dieci mesi fa.
Ma la disparità tra uomini e donne ha tutta l´aria di inasprirsi nei prossimi decenni. «Il mercato del lavoro – sostiene Altieri – è diventato più ostile per il sesso femminile, tant´è che il precariato ha sempre più il volto di donna. E gli sforzi degli uomini per aiutare a casa e con i figli (che ci sono) – aggiunge la direttrice dell´Ires – si scontrano con una struttura dell´occupazione maschile molto rigida, che lascia poco spazio a queste attività. Dunque siamo in un circolo vizioso, dal quale è difficile uscire» se non col politiche e servizi alla famiglia. Proprio quegli investimenti compensativi a favore delle donne – dichiara Rossana Dettori segretaria, confederale Cgil, promessi dal governo in cambio dell´innalzamento dell´età che però «sono caduti nel dimenticatoio».
Nell´attesa che il «circolo vizioso» si chiuda, nascono sempre meno figli e sono sempre meno, rispetto agli altri Paesi europei, le donne italiane che vanno a lavorare fuori casa o che sarebbero disposte a farlo. Una scelta fatta dalla metà delle donne italiane, contro un terzo della media europea. Eppure quel lavoro tra le mura domestiche vale 308 miliardi di euro l´anno. Una fortuna”.
Tutto vero, gli uomini a casa a fare le faccende. Il problema non sarà che sono noiosi anche tra le mura domestiche, pignoli, brontoloni, sostanzialmente dei “rompi”? Il precariato delle donne si risolve alla Kill Bill.
Farci fuori poco a poco.
Un rapporto recente della Commissione europea sulla salute delle donne (http://ec.europa.eu/health/population_groups/docs/women_report_en.pdf) ricorda che i dati raccolti in 14 Paesi tra il 1999 e il 2004 dimostrano come le donne tra i 25 e i 44 anni spendano, rispetto agli uomini, più del triplo del tempo ogni giorno per occuparsi dei figli e quasi tre ore in più per i lavori domestici. Un gap – scrivono gli autori – «particolarmente pronunciato » in Italia: le italiane detengono il triste primato di spendere più di cinque ore al giorno per lavoro non pagato. I loro uomini ci dedicano sì e no un’ora. Un’ora!
Io non so come si pretenda di aumentare l’età pensionabile prima di risolvere questi gap. Il report europeo è chiaro: queste disparità si pagano anche in termini di salute. Vogliamo “schiattare” nel tentativo disperato di fare tutto oppure vogliamo rientrare tra le pareti domestiche a testa bassa? Secondo me noi italiane dovremmo realmente capire che siamo davanti a un bivio: se non pretendiamo strumenti adeguati di conciliazione, modalità di lavoro diverse, telelavoro, congedi parentali equi ed equamente distributi, servizi alle famiglie, asili nido pubblici, se non facciamo la voce grossa, rischiamo di crollare. Lo dico da giornalista 33enne, madre di una bimba di 21 mesi: esattamente il tipo di donna che nessuna azienda vorrebbe tra i piedi. Esattamente il tipo di donna che non può neanche lontanamente sperare, in questa fase della sua vita, in una carriera. E che deve anzi arrabattarsi continuamente per racimolare i soldi necessari per assicurarsi l’aiuto di un’altra donna (per lo più straniera), necessario per poter andare avanti.
Come biasimare le mie tante giovani istruitissime amiche che, potendoselo permettere, hanno scelto di licenziarsi dopo la nascita del primo figlio? Ma, mi chiedo, non è una sconfitta per tutte?
A proposito di appuntamenti, vorrei segnalare il Campo politico donne di Agape, che ormai da + di 35 anni tratta tematiche femministe in una settimana, come si può vedere dal programma, di relazioni, di vita comune, di divertimento in un bellissimo centro in montagna a 1600 metri.
CAMPO POLITICO DONNE 2010
Domenica 25 luglio – domenica 1 agosto 2010
“In difesa delle cause perse”
La forza rivoluzionaria del pensiero delle donne è una causa persa?
Apparentemente sì. E se invece ci chiedessimo quali guadagni abbiamo già
realizzato attraverso quel pensiero? Se invece sperare è “sognare in avanti”, come rendere visibile oggi la nostra volontà di cambiamento? Quali sono i gesti politici che le donne compiono, per amore del mondo?
Lunedì/Le cause perse: Proiezione del film della regista bolognese Paola Sangiovanni, “Ragazze la vita trema”, che introdurrà il lavoro in gruppi sul tema delle “cause perse”… Se ne vedranno di tutti i colori J
Martedì/Per amore del mondo: Anna Maria Galarreta e Simona Lanzoni ci illustreranno le azioni intraprese dalla Fondazione Pangea Onlus per l’empowerment delle donne del sud del mondo e delle migranti in Italia.
Mercoledì/Dissonanze: La speranza nella teologia delle donne. Una teologa cattolica e una protestante ci raccontano motivi e battaglie di speranza oggi nella teologia fatta dalle donne.
Giovedì/Speriamo che non piova: Tutte in marcia per la consueta scarpinata tra i monti con pranzo al sacco. La pigre, invece, si daranno appuntamento al ristorante di Praly per un pranzo luculliano.
Venerdì/Sognare in avanti: La regista Laura Halilovic, giovane donna rom torinese, presenterà il suo film-racconto “Io, la mia famiglia rom e Woody Allen”. Parteciperà al dibattito anche una delle operatrici della cooperativa Stranaidea che si occupa di inserimento sociale e lavorativo di donne rom.
Nei pomeriggi si terranno i seguenti laboratori:
‘Danze’ con Bettina Koenig
‘Teatro’ con Claudia Frisone
‘Reading ad alta voce’ con Nicoletta Babetto
‘Scrittura creativa’ con Ingy Muyabe
‘Montaggio video’ con Margherita Zacchi
Durante le serate ci saranno giochi, danze, musica, falò con la solita grandiosa festa finale.
Chi possiede strumenti musicali è invitata a portarli.
Note: Per la gita in montagna è obbligatorio avere con sé: scarponcini, borraccia, k-way e zainetto. Sarà disponibile un servizio babysitter per bambine e bambini di età superiore ai tre anni. Per alcuni laboratori è consigliato l’uso di una comoda tuta. Per il laboratorio di montaggio film è necessario un Pc portatile per ogni partecipante. L’accoglienza delle partecipanti è prevista dalle ore 17 alle 19.30 di domenica 25 luglio. Ci saluteremo domenica 1 agosto dopo la colazione.
La Libreria delle Donne di Bologna presenterà come di consueto una ricca scelta di libri.
Per informazioni e iscrizioni: http://www.agapecentroecumenico.org
Da assoluto profano dell’argomento, penso però di poter dire qualcosa in merito; data la vicenda umana che sto vivendo. Mi perdonerete la lunghezza del post e se vado leggermente OT, ma sono emotivamente toccato dalla cosa e non posso tacere. Dopo quattro anni di convivenza più o meno felice, la mia compagna si prepara a lasciarmi, con grande sofferenza di entrambi e di comune accordo.
La convivenza è diventata molto faticosa, in quanto il mio lavoro mi tiene fuori da casa fino a 14 ore al giorno, oltre ad una quantità imprecisata di tempo di Sabato e di Domenica, mentre la mia ormai EX compagna è una negoziante, ma ha il negozio a 40 chilometri da casa.
Oltre a tutto questo, la gestione della casa è resa impegnativa dal fatto che è molto grande e che abito in campagna, il che non può che aumentare il lavoro necessario per mantenerla efficiente.
In questi ultimi mesi, nonostante il grande impegno di entrambi, la nostra vita è stata infelice. Lei si sentiva imprigionata da una casa troppo grande e da un lavoro la cui distanza la stressava ( con la terribile agggravante di un investimento fallito con gravi perdite sia economiche che spirituali); inoltre una vita cosi piena le rendeva mpossibile realizzarsi nella sua passione, che è la danza del ventre.
A me pesava molto vederla triste, ma anche il fatto che non ci vedavamo più ( potevamo stare insieme solo la sera, ma lei usciva fino a 4 sere alla settimana per seguire la sua passione); oltre al non riuscire a far quadrare la situazione familiare (nonostante grandi sforzi) visto il poco tempo che entrambi passavamo in casa.
Ma la cosa più pesante di tutte è stata per me il vedermi rifiutata la prospettiva di un figlio perchè questo le avrebbe impedito di seguire il suo lavoro e le sue passioni.
Tutto questo carico ha reso la nostra vita un inferno, al punto che appena trovato un altro alloggio, lei se ne andrà.
Che conclusioni posso trarre da tutto questo, che c’entrino con l’argomento, si intende?
1) La famiglia e la paternità (o maternità) non sono più vissuti come un valore. E nessuno, uomini o donne che siano, è più disposto a sacrificare niente per esse, carriera o passioni che siano. Al contrario il riconoscimente professionale ed economico viene imposto dal liberalismo imperante quasi con la forza come unico elemento che possa dare senso ad una vita. E le parole di questo post non sono forse anche un plauso a quel liberalismo radicale che spesso viene giustamente combattuto con asprezza in questa sede?
2) Gli uomini probabilmente non sono ancora pronti a fare un passo indietro sul lavoro ed uno avanti in casa (anche se forse il dato sui laureati ci dice che al di la del razzismo sessista forse l’ignoranza c’entra qualcosa); ma le donne sono pronte a fare il passo inverso? E forse la maternità non è ormai vista come freno in maniera troppo esagerata?
3) Pacificamente d’accordo che cosi com’è il provvedimento ipotizzato sia una bestialità, ma invece che invocare uno status quo che di per se è una disuguaglianza, non sarebbe forse meglio riconoscere (magari a fronte di pagamento di contributi da parte del coniuge) la dignità di un lavoro anche a quello che è il più importante di tutti, cioè quello in famiglia?
Mi scuso ancora con tutti per la lunghezza e l’emotività del post. Accetto qualunque forma di attacco o consiglio per chi pensasse che valga la pena darne, anche via EMAIL, volendo.
Paolo E., provo a risponderti su: “E forse la maternità non è ormai vista come freno in maniera troppo esagerata? ” con alcune domande e un consiglio.
Domande.
Hai molti amici e colleghi maschi che nel bel mezzo della carriera hanno rinunciato per mesi/anni a lavorare quando è nato loro un figlio? Che magari dopo anni di dedizione all’azienda all’annuncio della futura paternità si sono visti guardare dal capo con malcelate delusione e riprovazione? E che tornando al lavoro dopo il congedo sono stati relegati a mansioni ingrate e/o dequalificanti?
Io ne conosco a bizzeffe di madri a cui questo è successo. Padri, nessuno.
Fidati, la maternità E’ un enorme freno, in Italia.
Il consiglio è appunto di leggere questo articolo
http://www.unita.it/news/98698/il_mio_secondo_figlio_un_vizio_da_fuorigioco
e quindi questo
http://www.unita.it/news/98826/se_le_donne_sono_contro_le_donne_con_i_figli
Ci sono donne che amano il proprio lavoro e che vedono le soddisfazioni professionali come parte della piena realizzazione di sè in quanto persone. Non si tratta sempre e solo di arrivismo.
La scelta tra lavoro e maternità non dovrebbe essere un aut aut. Questo è l’ideale, certo, ma è in questa direzione che bisogna lavorare. Tanto per cominciare: collaborazione 50-50 nei lavori domestici e servizi (pubblici!) a sostegno delle famiglie.
Caro Paolo E., se una donna esce quattro volte alla settimana per migliorare nella danza del ventre la si tiene come una regina, dandole sempre ragione e pulendo i bagni e soprattutto tenendo l’emotività sotto controllo (mon dieu). Se la riprenda questa virago.
La paternità la realizzi con un’altra, di soppiatto, non con la negoziante ballerina. Mischi un poco le carte e la rubrica telefonica
Uno dei libri più importanti di Ivan Illich s’intitolava “Lavoro ombra”, ed era centrato su quel lavoro (domestico per lo più) che è necessario all’economia capitalistica ma non viene nè socialmente riconosciuto nè remunerato. Data per scontata la legittima richiesta delle donne di non esservi confinate, e la buona volontà degli uomini di assumersene almeno in parte il peso, il vero problema politico consiste nel riconoscimento del “lavoro ombra” come elemento essenziale dell’economia e della famiglia come struttura portante della società, in assenza della quale il costo dei servizi sociali diventa insostenibile. Ho l’impressione che le rivendicazioni di genere oggi siano una battaglia di retroguardia rispetto a questa: se le istituzioni non riconoscono la dignità e la portata economica della funzione domestica, il fatto di redistribuirsela risolve un problema morale, ma non un’emergenza sociale. Lavorare per pagarsi babysitter, badanti e colf mi pare veramente una follia, ma soprattutto risulta sempre più un processo in perdita. La consapevolezza dei pari diritti di genere mi sembra cresciuta anni luce rispetto a trent’anni fa (almeno sul piano della realizzazione professionale) ma finchè la coperta resta corta, i generi sono condannati alla classica guerra tra poveri.
come già è stato fatto notare su questo blog, gli spot televisivi (di auto soprattutto) sono un terreno dove un’ideologia ‘forte’ ha più terreno per imporsi; a tal proposito segnalo questo spot (credo inglese) della Volkswagen:
http://www.youtube.com/watch?v=Gy200pE0ywM
basti pensare che è giocato sulla parola ‘blowjob’
una tristezza