BAD GIRLS

Per l’ultimo Mente&Cervello ho scritto questo sul bullismo al femminile. Nel frattempo faccio cose, vedo gente e leggo molto. Prossimamente, maggiori dettagli.

  Le cattive ragazze dovrebbero essere quelle che ti dicono grassona, che smettono di parlare quando arrivi, che scoppiano a ridere quando passi, che organizzano scherzi crudeli alle tue spalle. Questo è sempre stato il bullismo al femminile, raccontato in migliaia di romanzi e decine di film: e sperimentato in prima persona da tante adolescenti non conformi al modello dominante.
  Basta sbirciare su uno dei siti che raccolgono le testimonianze delle vittime, e si ha la conferma che in larga parte è ancora così. Ecco D, nove anni, che è fuggita dalla sua scuola nell’ultimo anno delle elementari: “C’ erano quattro ragazze che mi odiavano completamente. Ogni  mattina  quando entravo nella classe e davo il buongiorno nessuno mi rispondeva. Quando  le maestre si allontanavano, le compagne incominciavano  a prendermi in giro, e io non l’ho mai detto alle maestre perché  loro mi impedivano di fare quello che volevo, e anche se glielo avessi detto loro lo stesso non mi avrebbero creduto. Ogni mattina vomitavo prima di andare a scuola. (…). Mi facevano buttare i loro  sacchetti per il pranzo, e mi facevano fare diversi scherzi come se fossi un  buffone di corte, mi lanciavano palline di carta piene di bava  dietro  alla schiena”.
    Non è che una storia fra centinaia. Ragazze, oggi universitarie, che scontano la miopia che le costringe agli occhiali o un fisico troppo esile o troppo esuberante, e vengono chiuse nei bagni, private della merenda, costrette a fare i compiti delle loro aguzzine (“sapevo benissimo di odiarle ma non trovavo la forza per farglielo sapere”). Ragazze boss, come racconta una blogger che sta preparando uno studio sull’argomento, che si mascherano da vittime, procurandosi tagli o lividi e esibendoli quando le proprie vittime reagivano alle sua aggressioni verbali, per dimostrare che l’aggredita era lei.

   Tutti gli studi, fin qui, concordavano su una diversità di genere: le ragazze sono più abili nell’individuare i punti deboli della vittima, sono più astute nella strategia di vessazione (bugie, ricatti, denigrazione).  E, secondo quanto ha più volte dichiarato Silvia Vegetti Finzi, sono anche più crudeli nel lasciare “lividi nell’anima”, e ad ottenere l’allontanamento della vittima. Avviene, di recente, non solo nelle aule scolastiche, ma anche in luoghi non fisici come la rete: si comincia a parlare di quanto, nei forum e nei social network frequentati dai giovanissimi, la designazione di una vittima sia un meccanismo inevitabile e segua grossomodo gli stessi percorsi dell’off line. Pettegolezzi, discredito, azzeramento della reputazione, espulsione. A metterlo in pratica sono, nella maggior parte dei casi, ragazze.

   Ragazze che hanno cominciato ad usare anche la violenza fisica. Da qualche anno, infatti, si discute delle bad girls che prendono a pugni e schiaffi le più deboli: e non solo a livello di cronaca. La psicologa Ada Fonzi, la prima ad aver affrontato il fenomeno nel nostro paese, con un libro del 1997 (Il bullismo in Italia, pubblicato da Giunti), racconta di aver partecipato ad una grossa indagine internazionale sull’argomento. “Fino a poco tempo fa le modalità femminili erano diverse. Ai calci, agli schiaffi e ai pugni le ragazze preferivano la persecuzione verbale, la diceria, l’offesa, fino a raggiungere l’effetto desiderato dell’esclusione. Oggi mi sembra che episodi fisici siano molto più presenti. Del resto, in strada o su qualsiasi mezzo pubblico è possibile assistere a scene in cui le adolescenti si insultano allo stesso modo dei maschi. Questo, a mio parere, per un femminismo male interpretato e malinteso. Un voler essere come gli altri che porta però nella direzione sbagliata”.

    Lo scrittore Girolamo De Michele, che insegna filosofia in un liceo di Ferrara, riscontra invece una differenziazione perdurante fra le due modalità: “Per quel che mi risulta, il bullismo femminile ha ancora una connotazione più relazionale, mentre quello maschile ha una connotazione più fisica. Mi sembra emblematico il fatto che una tipica manifestazione di bullismo maschile sia la violenza omofobica, mentre nei gruppi femminili si assiste a forme di ostentazione dei legami di amicizia che spesso manifestano una voluta ambiguità sessuale”.

   Già, il branco. Caratteristica antica del femminile, stigmatizzata da scrittrici e studiose (Simone de Beauvoir, ne Il secondo sesso, ha scritto pagine lucidissime e amare sul costituirsi di gruppi femminili che trovano la loro presunta salvezza nell’aderire ad un modello conservatore del femminile stesso, espellendo ogni possibile anomalia). De Michele ne trova conferme attuali: “Le modalità di relazione tra ragazze che ho osservato mi sembrano più legate ad un modello di gruppo chiuso, come reazione speculare alle forme di esclusione sociale cui le ragazze stesse sono soggette, e al tempo stesso come espressione di un distacco élitario da parte di soggetti che si sentono, spesso a ragione (almeno in termini di profitto scolastico) superiori alla media (quindi ai soggetti maschili). In questi gruppi è più facile che venga introiettata una visione dell’appartenenza identitaria come privilegio che richiede dei costi da pagare per l’inclusione, e che esercita un’azione di esclusione verso altri soggetti, un po’ come accade nei gruppi studenteschi americani all’interno dei college. Non a caso questi gruppi femminili “esclusivi” hanno una marcata connotazione classista, tendono a riconoscersi attraverso pratiche come lo shopping, la griffatura del corpo e del vestiario, e proiettano verso l’esterno un forte desiderio di appartenenza che viene soddisfatto anche a costo di infrazioni sociali come il taccheggio nei negozi per chi non può permettersi l’acquisto della merce o la microprostituzione per procurarsi il denaro”.

  “Gelosia”, dice Ada Fonzi. “Nel gruppo femminile si deve mettere da parte colei che può configurarsi come rivale. Sono meccanismi sordidi, è vero, ma sono il sintomo di un’emancipazione non correttamente realizzata. Da una parte il modello proposto è quello della seduttività esasperata, dall’altro quello della ragazzaccia. Si ricerca un ruolo incerto. E purtroppo i rapporti fra le donne non sono ancora arrivati alla consapevolezza del proprio valore. Esiste un’immaturità di genere. Poi, certo, occorre essere molto cauti nel cercare i perché. Vale per il bullismo femminile, e soprattutto vale per il fenomeno, in generale. Io non credo, mai, che esista  una causa unica: dobbiamo educarci a rifiutare le ipotesi esplicative, deterministiche, unicausali a favore di modelli probabilistici e multicausali. La rete dei fattori di rischio e di protezione è complessa. Esistono le caratteristiche psicologiche del singolo ed esistono altre cause pertinenti all’ambiente educativo e sociale. Ma non si hanno mai certezze assolute”.

    Che il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza viri decisamente verso fenomeni di prevaricazione sembra invece una certezza. Dei media. In anni dove l’attenzione all’infanzia non è mai stata tanto alta, e mai così improntata all’allarme, il caso YouTube si è rivelato una manna per giornali e televisioni, pronti a mostrare l’ennesimo caso di sopraffazione all’interno di un’aula scolastica. E rischiando di dare al fenomeno connotazioni non supportate dalla realtà. Osserva Girolamo De Michele: “In primo luogo, bisogna dire che solo da una decina di anni abbiamo ricerche specifiche sul bullismo in Italia: abbastanza per una comparazione con i dati internazionali, pochi per una seria valutazione in termini di tendenze. La maggior parte delle ricerche sono in ambiti locali, ma mi sembra di rilevare una generale coerenza con i dati nazionali. Questi dati smentiscono il tono “emergenziale” col quale di solito se ne parla: il bullismo in Italia oscilla, a seconda degli ambiti scolastici, su valori compresi tra il 10% e il 25% a seconda della soglia di riferimento, numeri che ricalcano gli indici internazionali. Un po’ più che in Irlanda, più o meno come in Spagna, un po’ meno che in Gran Bretagna, per capirci. Ma soprattutto, i dati dimostrano che il bullismo decresce col progredire del ciclo scolastico: si passa, infatti, da un 28% nella scuola elementare,  al 20% nella scuola media, a circa il 10-15% nelle scuole superiori. Insomma, il sistema scolastico sembra in grado di assorbire un fenomeno di devianza che non è endogeno, ma ereditato dall’esterno (famiglie, contesto sociale, ecc.), e di ri-orientarlo con percentuali decisamente superiori a quelle di strutture come il carcere o le comunità di recupero per tossicodipendenti, che pure, a differenza della scuola, hanno nel recupero dei soggetti devianti la loro funzione primaria”.

   “Il fenomeno è sempre esistito- aggiunge Ada Fonzi – basta rileggere le pagine di De Amicis dove vengono descritte le unghie rose e la faccia invetriata di Franti. Ma non si può dire se e quanto sia cresciuto. Non è escluso, semmai,  che la risonanza che viene data al bullismo provochi contagio nei soggetti meno maturi e più deboli. Quel che è certo è che le cause non sono televisione e telefilm e cartoni animati: i ragazzi sanno benissimo cosa sia la finzione e cosa la realtà. E’ un tipo di società, semmai, che predispone non ai rapporti di tolleranza e democraticità, ma alla sopraffazione, alla competizione, ai conflitti. E non sta passando, nelle agenzie di socializzazione fondamentali come scuola e famiglia, il messaggio più importante: ognuno deve trovare le occasioni per realizzare le proprie potenzialità al massimo, ma nel rispetto di quelle altrui”.

  Perché, infine, le cattive ragazze non vanno davvero dappertutto, e soffrono quanto le loro vittime. Lo racconta, nel recente Camminare, correre, volare, la scrittrice Sabrina Rondinelli, che ha scelto il punto di vista della ragazza cattiva. “Spesso – ha dichiarato in un’intervista on line – i ragazzi cosiddetti “difficili” hanno alle spalle una storia dolorosa e complessa. Sono carnefici e vittime allo stesso tempo. Fanno i duri per nascondere la loro intima fragilità. E non serve a niente additarli come colpevoli. Sarebbe più utile aiutarli a crescere:  non sempre scuola, famiglia e istituzioni sono in grado di farsi carico delle proprie responsabilità”.

   Concorda Ada Fonzi: “Quando facevo interventi nelle scuole concludevo sempre con una frase straordinaria di Norberto Bobbio: Nulla educa alla democrazia più dell’esercizio della democrazia.

Le prediche non servono, servono la pratica e i modelli democratici. Questo è l’unico modo di combattere il bullismo. Chi perseguita una compagna non si rende conto di ferire o sottovaluta la portata delle sue azioni. Sono talmente sgrammaticate socialmente, egocentriche o centrate su loro stesse che non riescono a mettersi nei panni altrui. Il role playing dà ottimi risultati, laddove il bullo viene chiamato a recitare la parte della vittima. E spesso capisce che autorealizzarsi al meglio è giusto, purchè non ferisca gli altri. E che fare bene, alla fine, fa bene”.

 

 

 

 

3 pensieri su “BAD GIRLS

  1. Bellissimo articolo Lipperina! Li vorrei tutti così – con questa rete di incroci tra psicologico e sociologico.
    Non c’è molto da aggiungere. Mi sembra importante l’incrocio tra esperienza relazionale sofferente e distorcente che provoca il bullismo e l’offerta di una modalità specifica che è invece garantito dalla cultura. Le relazioni asimmetriche sono sempre una strategia difensiva sia per i carnefici che le cercano che per le vittime che “casualmente” ci cadono reiteratamente. I rapporti tra pari sono emotivamente molto più costosi, l’asimmetria dei ruoli protegge perchè la relazione è modificata falsata, e entrambe le parti in causa lo sanno.
    Non credo per altro che il femminismo ci entri manco lontanamente. Trovo le forme di bullismo – sia maschile che femminile – sempre piuttosto reazionarie: tutto sommato c’è sempre di mezzo un gruppo che impone un codice di genere – e non a caso le ragazze discriminate e perseguitate sono tali perchè non ripecchiano un codice estetico della femmina sessualmente fruibile. Il gruppo proegue i dettami culturali donde deriva.
    Ma sono fissata con le cose psicologiche e tendo a chiedermi, come mai a parità di non aderenza a un gruppo in ognuno di questi contesti solo certe persone sono prese di mira e altre no?

  2. Quanti spunti interessanti! Tutto questo mi ricorda il fatto che il concetto di “Giustizia riparativa” in Italia non è mai stato preso sul serio… e che usarlo a partire dai casi di bullismo scolastico potrebbe produrre integrazione e educazione al rispetto reciproco, nonché alla legalità!

  3. è una discussione che mi ha molto interessato, dato che ho un’esperienza diretta sul bullismo.
    alle medie ho veramente passato un brutto periodo a causa della discriminazione dei miei compagni di classe. Certo, c’è da dire che non ho mai ricevuto offese fisiche, non mi hanno mai picchiata o cose del genere.
    Però la pressione psicologica che esercitavano su di me era veramente forte,con prese in giro e battute anche offensive.
    erano soprattutto i maschi che se la prendevano con me, mentre le mie compagne di classe, tranne una, rimanevano a guardare e non dicevano niente.
    forse questo avveniva a causa del mio carattere molto introverso, parlavo poco con gli altri, non avevo amici a scuola ed in classe mi sentivo veramente sola. ero l’elemento debole, quindi quello più facile da prendere di mira.

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