BADINTER E IL MODELLO DI ROUSSEAU

Bellissima intervista di Anais Ginori a Elisabeth Badinter. I temi sono quelli cari alla filosofa. E, mai come in questo momento, degni di riflessione.
Nel 1780 il prefetto di polizia di Parigi lanciava un inedito allarme. Dei ventunomila bambini che nascevano ogni anno nella capitale, appena mille venivano allattati dalle madri. Gli altri piccoli lasciavano il seno materno per la casa lontana di una nutrice mercenaria. Elisabeth Badinter ripercorre attraverso i secoli le differenti incarnazioni della maternità. Per quali ragioni, si è chiesta la filosofa, la madre indifferente del diciottesimo secolo si è mutata nella madre-pellicano contemporanea? Quando venne pubblicato la prima volta, nel 1980, L´amore in più provocò un acceso dibattito. «A trent´anni di distanza, è ancora difficile accettare che l´amore materno non sia indefettibile» racconta Badinter in occasione della riedizione del saggio, in uscita per Fandango. Nel salone affacciato sui giardini del Luxembourg, Badinter accende una sigaretta. “Figlia spirituale” di Simone de Beauvoir, come si definisce, sta scrivendo un libro su Maria Teresa d´Austria sovrana illuminata ma anche madre di sedici figli, una riflessione intorno ai due corpi della Regina.
Madre non si nasce, ma si diventa?
«Sì, perché l´istinto materno è un mito. Lo studio del comportamento delle donne attraverso i secoli, ci fa capire che non esiste una legge universale. Anzi osserviamo un´estrema variabilità degli atteggiamenti a seconda della cultura, delle ambizioni personali, del contesto sociale e famigliare. Può sembrare crudele, ma l´amore materno è soltanto un sentimento, e dunque è incerto, fragile, imperfetto. Non va dato per scontato. È in più».
L´eterna opposizione tra Natura e Cultura?
«In tutti i sostenitori dell´allattamento materno, dall´Antichità fino ai giorni nostri, si ritrova una professione di fede naturalista. È la natura, si dice, che ordina alla madre di allattare e disobbedire è male dal punto di vista fisico. Poi è subentrata una condanna morale e religiosa. Ma io non credo che gli ormoni del maternage, l´ossitocina e la prolattina, siano sufficienti a realizzare il miracolo di una fusione totale con il proprio figlio. È successo invece il contrario. Già in passato, ogni volta che le donne hanno avuto la possibilità di sfuggire a un destino obbligato, lo hanno fatto».
Quando si manifesta la prima volta il rifiuto dell´allattamento?
«La denuncia di Plutarco è la prima di cui si ha conoscenza. L´antica Roma era una società sofisticata per l´epoca e molte donne non volevano dare le “mammelle” ai piccoli. L´abitudine del baliatico risale invece al tredicesimo secolo in Francia. La prima agenzia di collocamento di nutrici fu aperta a Parigi per le famiglie aristocratiche, poi si generalizzò nel diciottesimo. In nessun altro paese europeo ci sono state così tante donne che non si sono occupate dei loro bebè, apparentemente incuranti della spaventosa mortalità infantile. Un´aberrazione della Storia ancora studiata da sociologi e antropologi. Si chiama “il caso delle francesi”. Per questo fenomeno furono trovate una quantità di giustificazioni economiche e demografiche. Ma rimane il fatto che il presunto istinto materno era improvvisamente scomparso».
Perché allora, alla fine del diciottesimo secolo, le francesi aderiscono con entusiasmo alla nuova filosofia naturalista?
«La scienza demografica, che comincia a svilupparsi, sottolinea l´importanza per una nazione del numero di cittadini. È Jean-Jacques Rousseau, con la pubblicazione di Emilio nel 1762, a dare un decisivo avvio alla famiglia moderna fondata sull´amore materno. Costruisce un´ideale femminile di felicità e uguaglianza, riuscendo a convincere molte donne che occupandosi solo dei figli, con dedizione e sacrificio, assumeranno un ruolo fondamentale nella società. Ma nel momento stesso in cui si esalta la grandezza e la nobiltà di questo compito, si finisce per condannare tutte le donne che sono incapaci di assolverlo perfettamente. Rousseau inventa il modello della buona e della cattiva madre che ci portiamo dietro ancora oggi».
L´altro elemento chiave nella costruzione della maternità moderna è la psicoanalisi.
«Grazie a Sigmund Freud, la madre è promossa principale responsabile del benessere del suo rampollo. Un´ultima missione che completa la definizione settecentesca. Il ruolo materno diventa ancor più impegnativo e faticoso di quello del padre. Dalla responsabilità alla colpevolezza il passo è breve. Sono stata molto colpita da una psicoanalista come Françoise Dolto che nelle sue trasmissioni radiofoniche sosteneva che i padri non dovevano toccare i bebè. Oggi evidentemente l´amore materno non è più appannaggio esclusivo delle donne. I nuovi padri si comportano come le madri e amano i bambini al pari di loro. E questo dimostrerebbe la non specificità sia dell´amore materno che di quello paterno».
La prima a rimettere in discussione l´istinto materno è stata Simone de Beauvoir.
«Eppure le è stato negato il diritto di parlare della maternità solo perché non l´aveva sperimentata. È una contestazione assurda dal punto di vista teorico e anche pratico. Molte altre femministe seguaci di Beauvoir, come me, hanno avuto bambini. Ma in qualche modo è passata l´idea che femminismo e maternità non fossero compatibili. Da questo equivoco è scaturito il femminismo della differenza, radicalmente opposto, che mette la maternità al centro dell´identità femminile».
Le donne oggi hanno un rapporto diverso con il loro corpo. Il rifiuto della femminilità di Beauvoir è superato?
«Fino a una certa epoca la femminilità ha rappresentato l´obbligo di essere mogli, madri e casalinghe. Tutto ciò che Beauvoir non è stata. Bisogna contestualizzare il suo pensiero. Detto questo, posso esprimerle una critica. Pensava che la femminilità fosse unicamente culturale. La mia convinzione profonda è invece che esista una bisessualità in ognuno di noi. Ci sono donne estremamente virili e uomini con caratteristiche femminili. Anzi, una delle conquiste del femminismo, che molti ignorano, è aver moltiplicato i modelli anche maschili».
La maternità consapevole è veramente libera?
«Progressi scientifici e sociali come la contraccezione o il diritto all´aborto hanno svelato la complessità e le contraddizioni del desiderio di maternità. Si può programmare o ritardare la nascita di un figlio, desiderare di rimanere incinta e poi abortire, sentirsi pronte e avere una crisi di rigetto dopo il parto. I progressi delle tecniche di fecondazione dividono ormai sessualità e procreazione. Grazie alla maternità surrogata, ci sono madri che non partoriscono. Mai nella storia siamo state così libere di scegliere o no di avere figli. Per paradosso, però, la maternità consapevole si è caricata ancora di più di doveri e responsabilità. È questa pressione montante che ho denunciato nel mio ultimo libro, Il Conflitto, concepito come prosecuzione di L´amore in più. Pensavo di poter commentare nuovi progressi rispetto all´analisi di trent´anni fa, e invece ho dovuto constatare un rischio di regressione su molti temi. Non avrei immaginato di ritrovare una nuova santificazione della natura, contro le malefatte della cultura e della scienza, che ricorda il pensiero di Rousseau vecchio di duecentocinquanta anni».

80 pensieri su “BADINTER E IL MODELLO DI ROUSSEAU

  1. Broncobilly, scusa ma fai una gran confusione. Rileggi quello che ho scritto, è molto chiaro. E’ ciò che leggi nelle sentenze della Corte Costituzionale quando è in questione l’art 3 Cost..
    Occorre stabilire come stanno le cose per procedere a quel confronto tra situazioni necessario a non discriminare sui diritti. Certo, non è solo un discorso sui ‘fatti’, a volte i passaggi argomentativi della Corte sono puramente logici. Ma ragionare sui fatti è pertinente.

  2. Se posso, vorrei rimettere la discussione su binari più corretti.
    Qui, la scienza c’entra ben poco, praticamente la totalità dei filosofi della scienza convengono sull’inesistenza di un fondamento epistemologico, anche la scienza non sfugge alla comune sorte di tutti i saperi di essere in ultima istanza soltanto linguaggi autoconsistenti.
    Ciò che invece mi chiedo è se è possibile fare a meno dell’antropologia, cioè di una concezione della persona umana. A me pare di no, e che quando non si esplicita un modello antropologico, lo si assume comunque in modo implicito. In questo caso, penso sia interesse collettivo che “i nodi vengano al pettine” che cioè ognuno si assuma la responsabilità dlele proprie concezioni in materia antropologica, che si vada quindi a una discussione franca.
    Però, attenzione, l’antropologia non può essere imposta sulla base di presunte certezze scientifiche, l’antropologia al contrario fa parte a pieno diritto della filosofia, e come tale deve essere appunto materia di dibattito.
    Per dirla francamente, mi pare che all’interno del femminismo non si siano fatti pienamente i conti con una antropologia, discutibile come tutte le antropologie, ma quanto meno coerente.

  3. Caro Francesco F., non capisco il tuo punto di vista e come interpreti l’evoluzionismo. Anche la psicologia ha la sua base biologica, ma a me sembra che richiamarsi alla biologia serva a taluni per stabilire un determinismo grossolano fatto di vincoli, allora, per esempio, intendendosi per biologico solo il comportamento stimolo- risposta nel cui ambito tu releghi l’istinto materno, liberandoti allegramente, ma c’è poco da stare allegri, di desiderio, “amore e odio”, insomma del comportamento complesso.

  4. Scrive Cucinotta:
    “Per dirla francamente, mi pare che all’interno del femminismo non si siano fatti pienamente i conti con una antropologia, discutibile come tutte le antropologie, ma quanto meno coerente.”
    .
    Ma no. Per esempio qui si discute della Badinter, bene un suo lavoro del 1997 “XY: On Masculine Identity” usa un approccio multidisciplinare, tra cui antropologico.
    .
    Ancora: “praticamente la totalità dei filosofi della scienza convengono sull’inesistenza di un fondamento epistemologico, anche la scienza non sfugge alla comune sorte di tutti i saperi di essere in ultima istanza soltanto linguaggi autoconsistenti.”
    Questo modo di pensare che riporta tutto al linguaggio a me pare un’esagerazione postmoderna. E’ una forma di scetticismo assoluta, un nichilismo, che secondo me nessuno condivide davvero.

  5. @Barbieri
    Beh, le sue argomentazioni si basano sul principio del consenso (nessuno condivide davvero, lei dice), e su un presunto nichilismo da rigettare.
    Guardi che la sua fede nella scienza non ha nulla di diverso dalla fede nella santa trinità, mi creda.
    Non v’è bisogno di certezze epistemologiche per vivere bene, le certezze stanno a un livello esistenziale, sono le cose che sperimentiamo vivendo, ma il discorso sarebbe troppo lungo.
    Per quel poco che so di lei, me l’aspettavo che in fondo era uno scientista anche lei, e quindi le critiche a Francesco sono da uno scientista ad un altro scientista…
    Infine, le potrei dire si informi, ma suonerebbe scortese, e la chiudo qui.

  6. Scusa Barbieri, lo so, faccio “molta confusione”. Però, non conoscendoti, non posso nemmeno escludere che dall’ altra parte ci sia qualche difficoltà nello stare di fronte a un testo scritto; insomma: ma che diavolo c’ entra la corte costituzionale! Non è mica sventolando la Costituzione che si risponde ai problemi che tentavo di sollevare, altrimenti chiamiamo l’ avvocato e ci spiega tutto lui.
    Lo so anch’ io che il welfare esiste. Credevi forse che lo ritenessi fuorilegge quando ti premuravi con tanta cura di spiegarmi che così non è?
    Il problema è invece quello di capire se siamo di fronte a un femminismo (per me nobile) che combatte per avere pari diritti oppure a un femminismo (per me pericoloso) che punta a far leva sull’ ingegneria sociale welfarista per trarre vantaggi come fosse una lobby qualsiasi.
    Temo di dover privilegiare la seconda ipotesi vista la sensibilità su certe questioni considerate come spiacevoli (e quindi da politicizzare) quando invece andrebbero trattate come neutrali.
    Se i “gap” tra gruppi sociali sono visti a priori come una stortura da sanare e non anche come un portato di diversità profonde alla cui base non c’ è alcuna “ingiustizia”, mi sa che ci infiliamo in un (costosissimo) vicolo cieco.

  7. @ Broncobilly
    Eddai, non prendertela – non vorrai mica avere il monopolio del sarcasmo qui dentro 🙂
    Scherzi a parte, sul fatto che il parere della comunita’ scientifica sia piu’ affidabile della madonna di Lourdes (e di molta altra roba) siamo abbastanza d’accordo. E credo che fin qui sia mero buonsenso. La cosa interessante di Gould e’ che, sebbene ovviamente non cerchi di screditare la comunita’ scientifica a cui appartiene, cerca di a) discutere in modo critico le teorie epistemologiche dietro alle scoperte scientifiche (mi viene in mente il modo in cui parla, per esempio, della pretesa di Darwin di occuparsi di una mera “raccolta di fatti” durante il suo viaggio sul Beagle mentre invece era chiaro che i “fatti” erano raccolti nella prospettiva di una teoria pre-esistente), b) inquadrare le differenti teorie scientifiche in chiave storica e c) utilizzare un approccio molto critico nei confronti di quelle teorie “scientifiche” che invece hanno una forte componente politica (penso agli scritti sullo studio della sindrome di Down o all’esilarante descrizione della storia dell’uomo di Piltdown).
    Badinter con strumenti diversi (e’ una filosofa, non una scienziata dopotutto) e direi con uno stile meno divertente e irriverente fa lo stesso.
    Non e’ l’irrazionalismo a cui aspiro (dio mi scampi e gamberi) ma ad una epistemologia critica che non prenda TUTTE le teorie scientifiche per oro colato. Questo applicato agli studi sulla differenza di genere e a tutto il resto, ovviamente.
    Sul fatto che poi in Italia la parita’ di diritti sia stata raggiunta, beh, io personalmente ho visto alternative piu’ interessanti della cosiddetta “parita’ all’italiana” in altri paesi in cui ho vissuto. Quindi secondo me no, non siete arrivati alla parita’ di diritti in Italia proprio per nulla. Ma questo in my humble opinion, ovviamente

  8. In sostanza, per capire, per farmi un’opinione sul fantasma dell’istinto materno, devo prendere per buona una coppia di concetti che qui vengono dati per scontati come categorie assolute.
    Natura e cultura; una polarità abbastanza ambigua a dire la verità, per cui si considera naturale quello che non è contaminato dalla cultura, ma che detto così è, per quanto riguarda l’uomo, assolutamente inosservabile, se non nelle fantasticherie illuministe che trasformarono il ragazzo selvaggio di Itard in una cavia, vittima delle concezioni ideologiche e scientifiche, dell’epoca.
    Quindi, o non esiste un senso, un istinto naturale della maternità, oppure esiste e la donna vi è soggetta anche se non ne ha percezione.
    In mezzo a questi due poli cosa c’è?
    Noi viviamo in un’epoca in cui le sopravvalutazioni sono la molla principale di ogni progresso, come di ogni repressione, per esempio se una madre non ha lo stesso primordiale istinto materno, (come la mia per esempio, cui il preside delle medie dove studiavo impedì di allattarmi fuori della scuola), e quindi nel corso della maternità si prende degli svaghi, uscendo a cena col marito e pagando una babysitter mercenaria, oppure tratta svogliatamente il bambino o addirittura lo maltratta, o lo sopprime, quale di questi comportamenti è da considerarsi significativo nel dibattito e in quale categoria diventa preminente per trarne una costante che abbia valore?
    Se non si da uno stato naturale, (edenico), osservabile, siamo di fronte a comportamenti culturali, quindi indotti, ma; tutti i comportamenti culturalmente configurati sono separati dalla natura? non è che c’è una conformazione naturale del vivere che dà luogo ad una forma culturale in analogia, e invece delle forme culturali degenerate che sono anti naturali? sarebbe a dire, delle forme culturali che si conformano ai dati naturali dell’uomo e delle forme culturali che si sovrappongono alla natura con l’intenzione di modificarla per avere un primato su di essa?
    Allora forse in questo caso credo che si possa parlare di cultura da un lato e di ideologia dall’altro, quindi di comportamenti codificati a partire da una realtà naturale e comportamenti indotti tramite un condizionamento.
    Ecco mi sembra che in questo dibattito fra due fronti (non così compatti), mancasse un elemento di un certo rilievo, che andasse capito meglio il termine “cultura”.

  9. Cara Loredana, lei è l’unica intellettuale italiana a dare vera visibilità al dibattito femminista di autentico spessore. La seguo e concordo col sentimento di urgenza delle sue battaglie. Ma quando il tema tocca la maternità io mi divido fortemente dalle sue analisi e simpatie e lo faccio con sofferenza, perché questo tema secondo me è veramente prioritario ed è preziosa una sua giusta formulazione. Spero che le mie considerazioni possano farla riflettere. La bisessualità identitaria (o perché no, anche di orientamento) che tematizza Badinter non è in nessun senso incompatibile con un modello di madre corporea e allattante, psico-pedagogicamente consapevole (non in senso dogmatico, ma nel senso di una coscienza psicopedagogica anche pluralista e non scontata) e forte del proprio istinto materno. L’istinto esiste come tutti gli altri istinti e come tutti gli altri è imperfetto e inefficiente, sia per cultura che per natura. Quel tipi di madre a sua volta non è incompatibile con l’alleanza o l’aspirazione ad allearsi con un padre femminilizzato

  10. con un padre femminilizzato nelle capacita di accudimento. Non è incompatibile con la rivendicazione dei diritti né con la coscienza femminista. Badinter pone la questione femminista in modo manicheo senza tener conto di un’evoluziome culturale che si è lasciata alle spalle questo genere di polarizzazioni. Nonostante il rischio concreto di tornare indietro sul piano delle parità, su quello della coscienza le donne e gli uomini sono andati troppo più avanti per poter impostare un discorso su queste basi. Le politiche sociali sono la chiave e, checché ne dica Badinter, quelle scandinave sono ancora le migliori perché sostengono la libera scelta. Un femminismo che reputi l’ecologica, la psicologia, la pedagogia e persino la biologia come dei nemici da cui guardarsi è un suicidio e non trova posto nella complessità dei nostri tempi.

  11. @Barbara: ma io non me la sono affatto presa! E’ solo che non so manovrare le faccine. Ero sinceramente sorpreso.
    @Pandiani: ottime osservazioni, ma che rivelano una lacuna (non ascrivibile a tuo carico): ti sei perso la puntata precedente, quella che aveva per tema: “ma che diritto abbiamo di cambiare le preferenze altrui?”; tradotto: “che diritto abbiamo a manipolare dall’ alto una cultura emersa più o meno spontaneamente?”.
    Sì perché qualcuno aveva avuto l’ ardire di considerare la cultura come un modo complesso attraverso cui si stratificano e si aggregano le preferenze individuali. Qualcosa che forse aveva anche una sua legittimità. Errore capitale (a quanto pare non avevo letto bene Foucault o qualche altro francese): la cultura dominante è sempre l’ arma con cui una classe dominante Y soggioga una classe soccombente X emarginandola (a X sostituisci pure “donne”, “proletariato”, “animali”, “zingari” e ogni genere di minoranza, i cosiddetti “deboli”…). Oltretutto le “preferenze” individuali non esistono, sono una finzione. Scherziamo! (non avevo letto neanche Marx).
    Dopodiché è iniziata la seconda puntata.

  12. Attenzione però a parlare di epidurale senza essere competenti.
    Io non sono competente, non foss’altro per il fatto che non sono medico ginecologo, ma conosco diversi sanitari, ginecologi e non, tutti lontanissimi dall’idea che le donne debbano – debbano – partorire nel dolore. Eppure quelli che conosco io sono contrarissimi all’epidurale, per averla provata e poi abbandonata, per tutta una serie di complicazioni che possono verificarsi (mi sembra ad esempio, tempi lunghissimi nella fase espulsiva) soprattutto a danno del nascituro.
    Cioè mettiamoci in testa che i medici o i sanitari in generale non sono tutti degli invasati crudeli che odiano il genere femminile e che godono nel veder soffrire le donne.

  13. lutlia,
    il concetto di padre femminilizzato nella capacità di accudimento per me non esiste, anzi è proprio sbagliato.
    Esiste invece e per fortuna un certo numero di padri che amano prendersi cura, in tutti i sensi, dei propri figli.
    Non sono padri femminilizzati, sono padri con un po’ di sale in zucca, che con estrema naturalezza fanno queste cose, ascoltano i loro sentimenti e che non si lasciano condizionare da una mentalità che, ancora oggi, li vede come esseri strani se smerdano il sedere al proprio figlio, che li vede quindi femminilizzati.

  14. Broncobilly, non è vero che esiste una vera letteratura scientifica a sostegno della differenza uomo-donna, nemmeno per quanto riguarda il rapporto con la prole. La stessa Sara Blaffer Hrdy, nel saggio fondamentale che entrambi abbiamo letto, parte da una mole straordinaria di dati e di ricerche, ma alla fine trae le sue conclusioni sull’istinto materno (che comunque viene indotto, a parer suo, solo dalla vicinanza con il bambino nei primi giorni di vita e non è quindi automatico) a partire dalla propria esperienza. Che è singolare e limitata. Ti consiglio invece il libro di Cordelia Fine “Maschi= femmine”, che analizza in modo serissimo e con una buona dose di senso dell’umorismo tutte le supposte prove (ricerche sociologiche, psicologiche, delle neuroscienze) a sostegno della differenza “naturale” tra uomini e donne. Per arrivare a conclusione scomode ma limpide, in quest’epoca di triste ri-genderizzazione e ritorno alla mitizzazione dei ruoli tradizionali: sono tutte scemenze.

  15. Per quanto riguarda la madre allattante e accudente, certo che non è incompatibile con la rivendicazione dei diritti della donne. Quello che però invece lo è è la pressione ormai vincolante, oppressiva, a essere insostituibile rispetto al bambino (l’allattamento esclusivo, a richiesta, per tempi lunghissimi, come promosso dalla Lega del Latte, di fatto esclude il padre o altre figure dalla quasi totalità dell’accudimento e vincola la donna al suo ruolo tradizionale, rendendo di fatto inutili, ad esempio, i congedi di paternità…) e alla rimozione di ogni possibile ambivalenza nell’esercizio di questo accudimento perpetuo: la possibilità di esplicitare questa ambivalenza era stata invece una delle conquiste del primo femminismo. La buona madre è di nuovo colei che è sempre felice di allattare, sempre felice di accudire, sempre felice di rinunciare. Anche il dolore del parto, in questo neo-naturalismo che giustamente la Badinter denuncia, deve essere accolto come gioia dalla donna; se è giusto dare alle donne la possibilità di partorire naturalmente, è aberrante che nelle strutture ospedaliere si eserciti la pressione colpevolizzante di cui ho notizie da fonti certe per cui molte ostetriche tendono a stigmatizzare le donne che chiedono l’epidurale in quanto “cattive madri”. Questo è il clima culturale che stiamo subendo. La Badinter è una delle poche voci che osano metterlo in evidenza.

  16. rita,
    mi sa che non hai capito una sola parola di quel che ho scritto. a cominciare dall’uso del termine – che evidentemente ti infastidisce, non so perché – ‘femminilizzato’.
    Valeria, ripeti in effetti quel che dice Badinter, il libro lo conosco bene. Io non condivido l’analisi. Non trovo affatto che il modello della madre totale sia dominante né opprimente, anche se ovviamente ne riconosco l’esistenza e le declinazioni più estreme. Ritengo esista invece una dialettica assai vitale tra modelli femminili, materni, genitoriali e psicopedagogici molto differenti, con due estremi ai lati e tanta varietà nel mezzo. Varietà di esperienze e varietà di teorizzazioni. Onestamente credo che Badinter sia paranoica e sciocca e non meriti affatto la qualifica di ‘filosofa’. Il piano inclinato sul quale lei vede colare inesorabilmente gli ingredienti della ‘alleanza reazionaria’ è una realtà ben più complessa di quella che lei sa raccontare. La realtà del diritto all’epidurale negato la conosco altrettanto bene e come ho avuto occasione di dire tante volte, credo che la battaglia culturale e politica per la sua rivendicazione debba trovare negli operatori sanitari che per decenni si sono battuti per l’umanizzazione del parto un alleato, invece che un antagonista. Oggi per affermare la dignità del dolore ostetrico si è soliti decostruire il valore delle lotte per il parto naturale, per combattere la aberrante minimizzazione del dolore delle donne si ridicolizzano i loro desideri di relazione empatica nell’ospedale come capricci che la spesa sanitaria non deve coprire, per difendere il diritto a un’assistenza di qualità ci si sente costretti a considerare offensivo il concetto di empowerment… Il problema del discorso come lo tematizza Badinter è che fa un’accozzaglia di temi e discipline, dall’ecologia all’economia, dall’antropologia alla storia della medicina… che appiattisce sotto la lente di un femminismo trito e inutile. Il femminismo di oggi non può essere inconsapevole della complessità di desideri e aspirazioni delle donne, una complessità che i dualismi natura/cultura o differenza/uguaglianza non sono all’altezza di interpretare.

  17. Bene, lei sarà sciocca, ma io ho visto un sacco di madri infelici, donne oppresse da ideologie aberranti, impossibilità di affermare che essere una donna è essere un sacco di cose, e che la “natura” può essere terribilmente ideologica, soprattutto se non ti ci identifichi. Io non mi ci identifico. Mi identifico con la Badinter. Pienamente. Sarò paranoica e sciocca, ma credo che l’esperienza concreta di molte donne paranoiche e sciocche come lei possa avere una certa rilevanza, finché non ci estinguiamo.

  18. (scusami, odio quando la discussione prende forme “appuntite” e poco cortesi. Però mi sembra che l’ideologia naturalista denunciata dalla Badinter esista, prenda una forma concreta e dolorosa proprio nella negazione nel diritto alla pluralità delle scelte in nome di una supposta “naturalità” obbligata: esistono, credimi esistono, donne che non considerano il parto un alleato, e secondo me hanno diritto ad avere l’epidurale. Esistono donne che non amano allattare, o che desiderano condividere l’esperienza dell’allattamento, e non per questo saranno o devono essere stigmatizzate come cattive madri. Esiste l’ambivalenza materna, e va riconosciuta, non rimossa. La Badinter dice questo, solo questo; e secondo me, ti parlo in nome di molte donne e di me stessa, ha ragione. Non è filosofia, questa? Non lo so, non mi interessa; ma è vita sulla pelle, lo è. Il fatto che scateni reazioni così veementi è probabilmente la dimostrazione che un’ideologia naturalista reazionaria, ahimè, esiste.)

  19. Valeria Si so bene che esistono gli estremismi e le pressioni più deteriori e fermamente le condanno. Pero: la campagna mondiale per l’allattamento è fondata su studi di carattere scientifico e non su disegni misogini; che una donna ami definirsi mammifera o goda nel sentirsi vicina alla propria animalità non dovrebbe a mio avviso suscitare sdegno intellettuale o etico, la stessa donna può essere perfettamente consapevole delle proprie doti intellettuali e dei propri diritti di cittadina; il discorso filosofico sul recupero del contatto con la natura e della corporeità non deve suonare naïf, non più nel nostro tempo, dove esistono studi di pedagogia teatrale, di arte terapia, di processi di apprendimento fondati sui linguaggi non verbali, dove insomma le cosiddette pratiche filosofiche possono almeno aspirare a distinguersi al proprio interno tra paccottiglia ciarlatana e percorsi onesti, ancorché non sempre così rigorosamente istituzionalizzati, ma direi che abbiamo anche passato la fase nella quale tutto ciò che è buono deve venire dall’accademia; l’ecologia non è un marchingegno per rispedire la donna a panificare, è un movimento decennale di portata planetaria che affronta i temi tra i più delicati del nostro tempo e interessa tanti gli uomini quanto le donne, e ridurlo alla considerazione di che gran peccato sia oggi come oggi che la natura non è più sottomessa alla cultura è semplicemente ridicolo; le teorie pedagogiche sul tempo come qualità o quantità da dedicare ai figli si fondano su studi e riflessioni che meritano la dignità di essere prese in considerazione in quanto tali, e non liquidati come espressioni inutili e inerti del senso di colpa materno. Una madre può benissimo aere voglia di tendere al suo proprio modello ideale e al tempo stesso essere ben consapevole della propria ambivalenza, e non per questo essere una vittima. L’ambivalenza, contrariamente a coo che dice la filosoa, a mio avviso è stata sdoganata da mo’. Insomma Badinter ridicolizza tutte le tensioni che oggi attraversano la genitorialità trattandole come capricci di e vezzi di poco conto e insinuando non troppo velatamente che la vera donna è solo colei che Si guadagna la pagnotta e non commette la debolezza di mettere la cura dei figli prima della propria indipendenza economica. E a me questo pare un giudizio molto pesante, esattamente come quelli di chi giudica le madri che non allattano o che vogliono partorire senza dolore. Badinter e le naturaliste estremiste sono esattamente uguali.

  20. Un’altra cosa. La pesantezza del giudizio di Badinter ha conseguenze politiche. È sempre esistito un femminismo egualitarista che non vedeva di buon occhio il welfare familiare. Lo vedeva come un intervento paternalista per tenere la donna fuori dal mercato del lavoro. Il femminismo maternalista invece ha sempre cercato di ottenere congedi parentali, assegni familiari, salari per il lavoro domestico, tutele alla maternità. Il modello scandinavo è il migliore perché da un lato offre sostegno alle madri e garantisce loro il posto di lavoro, dall’altro offre il congedo anche ai padri (una parte è obbligatorio) e defamilizza i servizi di cura, con nidi e istituti per anziani, sollevando le donne. Lascia il più ampio margine di scelta, e tutto questo sempre sostenendo l’allattamento per le donne che lo scelgono. In tempi, come i nostri, di devastazione del welfare, un’ideologia come quella di Badiner che reputa superflue le politiche maternaliste non può fare che altro male alle donne….

  21. Sono intervenuta in questa discussione perchè ritengo importante il nostro rapporto con la natura. Nella Badinter e nel thread la natura è considerata come opposta alla cultura. Questo punto di vista non è il mio chè penso come quei ragazzi del 1400, e come i loro epigoni del 1700, che noi possiamo imparare dalla natura. Allora se esiste come probabile un’ideologia reazionaria, per piacere non chiamatela naturalista perchè contraddice quanto di meglio abbiamo ricavato per aver saputo interrogare la natura. Forse dovremmo dirla, a ben guardare, perchè è una cultura che vuole opprimerci stigmatizzando la natura, all’opposto scientista.

  22. correggo: “strumentalizzando la natura” al posto di “stigmatizzando”. La stigmatizzazione, il pensare di potercene affrancare, la naturalità una scemenza e così via derivano da questa visione strumentale.

  23. Trovo condivisibili le affermazioni di Lutlia sul rischio del rigetto delle politiche familiari dei paesi scandinavi.
    Anzi sospetto che Badinter li rifiuti in blocco per la ragione che disturbano l’opposizione Francia “madri cattive che vanno di biberon ma lavorano e hanno tanti figli” vs Germania “madri naturali che allattano al seno lasciano il lavoro e sono in calo di natalità”.
    Tuttavia a parere mio il modello scandinavo è quello che funziona meglio, difficile dire se è causa o effetto di un “gender gap” molto basso. Io propendo per dire che è una causa. Costa parecchio in termini di tasse, quello sì.

  24. P.S.: Ricordo che la Scandinavia NON e’ l’Olanda e la sindrome di abnegazione che fa rifuggire da quelle che vengono percepite come “scorciatoie” tipo l’automobile invece della bicicletta – o l’epidurale in ospedale invece del parto in casa. Inoltre dato che il baliatico è finito, bisognerebbe far entrare nel dibatto anche il fatto che l’allattamento al seno fornisce acqua potabile non infetta, cioè una delle soluzioni più pratiche ad un problema presente – incredibilmente – anche in Europa. La Finlandia, per esempio, ha un problema di carenza di acqua potabile.

  25. “rita,
    mi sa che non hai capito una sola parola di quel che ho scritto. a cominciare dall’uso del termine – che evidentemente ti infastidisce, non so perché – ‘femminilizzato’.
    ….. e per finire dove cara lutlia?
    non sarai anche tu una di quelle sincere democratiche che non amano abbassarsi a parlare con gli ignoranti o con chi ritengono tale?!
    In questo caso buon proseguimento e buon sfoggio della tua grande cultura e preparazione e della tua profondità di pensiero!

  26. Rita, intendevo dire che ‘femminilizzato’ è solo il mio modo di dire la stessa cosa che intendi tu, e il fatto che tu non abbia colto l’affinità ma piuttosto ti sia impuntata sulla differenza, mi ha fatto pensare che avessi frainteso. Poi se vuoi posso spiegarti perché io uso quella parola che ti non useresti.

  27. Sarò più chiara anch’io allora.
    Per me esiste principalmente l’idea di persona, con le sue naturali inclinazioni, tra cui l’accudimento, in tutti i vari aspetti, dei figli.
    Alcuni non ascoltano e non seguono queste inclinazioni, perché condizionate dall’ambiente, altri sì per fortuna, come ad esempio i padri che smerdano il culo ai figli di cui parlavo prima e che non sono poi così numerosi.
    Altri, o mglio altre, hanno invece dovuto o devono per forza fare cose non gradite perché gli uomini non le farebbero mai; parlo proprio di un caso della mia famiglia: mia suocera (quasi novantenne) mi ripete spesso che pulire il sedere ai suoi quattro figli le dava il voltastomaco, ma, “ovviamente” lo “poteva” quindi doveva fare solo lei e quindi ha dovuto fare buon viso a cattiva sorte in quei frangenti specifici.
    Per questo dicevo che non esiste proprio per me l’idea di uomo femminilizzato, non è che la parola in sé mi irriti.

  28. ciò che si capisce in questa intervista è l’importanza di abbandonare il fanatismo. mentre una discussione sull’istinto materno è possibile su vari livelli, è chiaro che dell’istinto materno se ne è fatto un mito, come probabilmente di altri “ruoli” assegnati. non che siano completamente dannosi, ma vanno maneggiati con cura.

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