Ricevo due mail, da due uomini che seguono questo blog. Pongono due problemi diversi e mi fa piacere rivolgerle, a mia volta, a voi.
La prima è firmata da Edoardo:
“Gentile Loredana,
Avrei una riflessione per lei, sul femminismo e dintorni.
Allora, leggendo le grandi scrittrici “femmine” del ‘900, ho sempre avuto l’impressione che la figura della donna sia spesso raccontata con criticità, rigore, umanità (come fanno d’altra parte molti scrittori “maschi”, da Miller a Roth – odio catalogare in questo modo, chiedo scusa). Per esempio: non mi sembra che la Anna del Taccuino d’oro sia una “vittima”, non sempre. Lo stesso vale per Alice Munro – le sue donne sono spesso “cattive”, e quindi più vere. E ancora: in “Una stanza tutta per gli altri” Giménez-Bartlett immagina che la Woolf rivolga uno sguardo di ODIO a chi le ricorda i figli di Vanessa (come a dire: mia sorella-madre è più donna di me, nonostante tutti i libri che ho scritto!). Tra l’altro, proprio scrivendo della Woolf (nella prefazione a Casa Carlyle), la Lessing dice: quanto ci piacciono le vittime femminili, oh, quanto ci piacciono!
Ecco: l’affermazione-accusa “quanto ci piacciono le vittime femminili!” non può essere rivolta anche al suo post del 5 marzo, Loredana?
Non le sembra che nei discorsi e negli appelli delle femministe ci sia spesso una sorta di vittimismo eccessivo (che la letteratura – ripeto – ha superato da anni)? Non mi riferisco agli stupri, sia chiaro – mi riferisco a frasi come: “è un mio problema l’eccesso maschile…”
Se la questione è posta male, chiedo scusa: non sono – non voglio essere – un opinionista o un commentatore, ma ho trovato la sua mail sul sito e ho pensato di girarle il problema.”
La mia risposta è brevissima, ma ne aspetto altre da voi. Credo che le questioni vadano distinte: c’è una differenza netta fra le urgenze concrete (violenza, disparità nel lavoro) e la rappresentazione, non solo letteraria, delle donne. Le prime vanno denunciate e combattute. Sulla seconda, concordo sul rischio, sottolineato anche da Elisabeth Badinter, di assegnare alle donne, “per natura”, solo qualità positive di affettività, nonviolenza, accudimento. E’ un doppio salto mortale, quello che ci spetta nel tener presenti tutti e due gli aspetti. Ci si prova.
La seconda mail è di Lorenzo, e comincia con queste parole:
“Una cosa immonda…
Praticamente, fanno un mini campionato alcune squadre da tutto il mondo. E, tutto ciò, quando esiste ed è pure apprezzato un quotato rugby femminile.
Ho scoperto poi che tutto è nato da qui.
La prima cosa che ho pensato, dopo lo shock, è stato il Wrestling. Ebbene, nel Wrestling maschile, a tutto si può pensare – secondo me – tranne che accostarlo al sesso, nonostante gli attori\contendenti siano vestiti solo di slip.
Quando vedo queste immagini, o anche il Wrestling femminile, penso soltanto a delle zoccole. E’ una mia visione parziale e maschilista? Forse sì. Ma certo è che queste manifestazioni pubblicitarie non servono affatto a pubblicizzare il rugby tra un pubblico femminile. Sono evidentemente dirette ai maschi.
Non so più dove sbattere la capoccia, cara Loredana…”
Dall’analisi, direi. Per quanto sia difficile, credo che non sia possibile discorso alcuno se non si comincia a ragionare, da parte maschile, sugli stereotipi maschili, dall’infanzia in avanti. Lo penso da anni, ma mi rendo conto che è un lavoro di enorme complessità.
Commentarium?
Sintetica sulla domanda di Edoardo magari torno dopo.
1. Se la letteratura dimostra che la rappresentazione femminile è variegata la denuncia di una rappresentazione mediatica e culturale monolitica non può essere letta come una lamentela ma una ovvia considerazione dinnanzi a un paragone tra due rappresentazioni, una efficace e una no. Se questo paragone è letto come lamentazio forse il problema non è solo nel parlare di alcune che protestano (che senz’altro indugiano) ma nei toni che di dfefoult vengono attribuiti alle donne.
2. Distinguiamo per cortesia tra piano della realtà e piano dei diritti. Che io sia stronza, potenziale autrice di crimini o quanto meno di pensieri non gentili, che io sia dolce o io sia forte, non ha niente a che vedere con il fatto che in quanto cittadino necessito di pari trattamento ecomonico, di diritti che mi permettano di accdere alle professioni e di assistenza alla famiglia. Se la mia protesta alla luce di un sistema acclaratamente sessista viene letta come lamentazio frignona, beh vedi punto uno.
Il Ministro del Lavoro, il segretario della CGIL, il presidente di Confindustria sono tre donne, giusto? Quindi siedono ai vertici di istituzioni molto importanti che si occupano di cose molto delicate. E le femministe cosa dicono in proposito?
Si è sostenuto per anni, con pagine e convegni militanti e asfissianti, che le donne a differenza degli uomini, abituate al lavoro di cura, avrebbero nel loro dna e a cuore la tutela sociale.
Ergo dovremmo assistere ad interventi nel campo del sociale e lavoro con un segno femminile evidente.
Ma ora che tre donne occupano i vertici istituzionali per società e lavoro, ciascuna di esse opera secondo il ruolo scelto e assegnatole: si vedono proposte che vanno più nella direzione della realtà di cui sono espressione che per il loro essere donne.
Continuo a credere nell’affermazione di Cynthia Ozick, che si arrabbiava molto sulle questioni “di genere”: “c’è solo la psicologia umana… è veramente violento e volgare guardare alla questione in termini biologici”.
Distinguiamo i piani, ancora una volta. Le questioni di genere esistono, Luciano: esistono sul piano sociale e culturale, esistono in termini di disparità e disuguaglianza e violenza.
Detto questo, personalmente non credo, come detto, nella differenza “per natura”. Non mi interessa il genere di appartenenza di Elsa Fornero, in questo caso, ma la sua politica per quanto riguarda il lavoro (e le donne, ahi ahi).
Ma, come ha giustamente sottolineato Zauberei, fare questa distinzione non significa negare le urgenze che abbiamo davanti.
Ps. Il giorno in cui si smetterà di usare la parola “femminista” come un manganello sarò una persona felice. E guardi che questo è un problema totalmente italiano. Il disprezzo con cui si ricorre a questo termine non ha riscontri altrove: le donne di Vida, di cui ho parlato ieri, vengono citate con rispetto ovunque. Per dire.
Avrei voglia di dire molte cose. Mi limito a una: se è “veramente violento e volgare guardare alla questione in termini biologici” per quello che ne so il movimento femminista, nelle sue varie articolazioni, nasce anche in contrapposizione ad una visione che riconduceva le donne alla loro biologia e attribuiva loro destino, carattere e ruolo in base a quest’ultima. Il riduzionismo biologico non è stata un’invenzione del femminismo, ahimé (ben più antica e culturalmente potente… vogliamo citare uno per tutti il citatissimo “Sesso e carattere” di Weininger?).
Scivolamenti e vulgata mal digerita, è vero, ci hanno spesso propinato una visione salvifica delle virtù femminili, più o meno materne. Non conosco invece testi di un qualche rilievo teorico (anche nel femminismo della differenza) che fondino sulla biologia una pretesa superiore bontà delle donne.
Francamente, così come sono d’accordo che si dovrebbe smettere di usare la parola “femminista” come un manganello, si potrebbe fare un tentativo di non attribuire più al pensiero femminista (nelle sue varie e diverse articolazioni) cose che non ha mai detto.
Paoal
“Il giorno in cui si smetterà di usare la parola “femminista” come un manganello sarò una persona felice. E guardi che questo è un problema totalmente italiano.”
Evidentemente non ha mai varcato l´atlantico……
L’ho fatto, Simone. Ma guardi che il disprezzo italiano è davvero impressionante.
A volte mi viene da pensare che il problema sia, in parte, un altro: viviamo nella società del consumismo e dell’immagine dove l’importante è avere soldi, spenderli in status symbol ed essere famosi (per guadagnare di più). Ecco la voglia di queste ragazze di essere veline, giocatrici sexy di rugby, cubiste, ragazze immagine. Soldi facili, l’idea della fama, il divertimento di vedere tutti gli arrapati ipnotizzati dal proprio sex-appeal.
L’equivalente maschile sono i commessi modelli di Abercrombie.
@Luciano
di quali femministe sta parlando? Se prendiamo il femminismo borghese, salottiero, tutto coccarde rosa, bene, questo ha ripiegato su temi educazionali, disinteressandosi completamente di economia e politica, perché la politica e l’economia non rientrano nelle loro priorità e/o perchè non ne capiscono e non ne vogliono capire, e/o perchè non vogliano in alcun modo sfiorare i meccanismi di potere, nei quali si ritrovano perfettamente.
Poi c’è un’altra ala del femminismo, che è quella radicale, boicottata e snobbata dal femminismo borghese e salottiero. Bè, questa non risparmia energie in quanto a critica, manifestazione del dissenso e lotte. Le lascio solo un link, al collettivo le Ribellule di Milano che venerdì 9 marzo con il post sull’incontro con la Fornero il 9 marzo. A dimostrazione, per non uscire troppo dal topic, che le donne non sono tutte dolci e melodrammatiche vittime
http://leribellule.noblogs.org/post/2012/03/09/la-soluzione-al-problema-per-il-lavoro-delle-donne/
mi è saltato un pezzo,”che c’è stato” o qualcosa così, Scusate, sono di fretta
Ero venuta per un OT, mi limito a commentare al volo che la sovrapposizione di realtà e letteratura può avere un valore storico, ma non c’entra niente con le dinamiche attuali. E poi, ossignùr, citare Roth come modello autoriale per la costruzione di personaggi femminili…
Comunque, ecco il mio OT: non so se se ne sia già parlato nei commenti, ma credo valga la pena . Doonesbury sta pubblicando delle contestatissime strisce sull’aborto, che partono da una legge texana che obbliga a fare un’ecografia prima di interrompere la gravidanza. Le strip meritano di essere diffuse e commentate: ne sono uscite solo due, che già mettono il dito nella piaga rispetto a diverse cose (il mio balloon preferito: la segretaria alla donna che vuole abortire: “A middle-age, male state legislator will be with you in a moment”)
Add-on: volevo mettere il link al sito di Doonesbury, ma al momento non è disponibile, quindi rimando al Post:http://www.ilpost.it/2012/03/12/doonesbury-aborto/
@ Lorenzo della mail
se pensi solo a delle zoccole, il tuo è evidentemente un pensiero parziale e maschilista, comunque arrogante. addirittura “una cosa immonda”.
@ Luciano
però scusa eh, ma chi è che pensa che nel dna delle donne ci sia la tutela sociale ( qualsiasi cosa voglia dire, e soprattutto se fosse vero perché mai dispiacersene ), quali pagine e convegni segui? e soprattutto quando concludi con le parole di
Cynthia Ozick, la psicologia cosa pensi che sia? poi certo uno va a vedere la pagina wikipedia di weininger e si capiscono molte cose
Luciano scrive: “Si è sostenuto per anni, con pagine e convegni militanti e asfissianti, che le donne a differenza degli uomini, abituate al lavoro di cura, avrebbero nel loro dna e a cuore la tutela sociale. ”
Lipperini risponde: “Le questioni di genere esistono, Luciano: esistono sul piano sociale e culturale, esistono in termini di disparità e disuguaglianza e violenza.
Detto questo, personalmente non credo, come detto, nella differenza “per natura”
Posso permettermi di ricordare tutte/i che senza una comprensione corretta di cosa sia la biologia evoluzionsitica si rischia di impantanarsi a vita sul rovello natura-cultura.
Mentre è dimostrabile il processo evoluzionistico che ha selezionato e favorito determinate caratteristiche maschili riconducibili a violenza e desiderio sessuale, in nessun caso è sostenibile che nel DNA femminile vi sia un istinto alla tutela sociale in quanto “più abituate” degli uomini.
Ma stiamo scherzando? Questo non è evoluzionismo bensì lamarckismo: a forza di esercitare una funzione essa finisce per inscriversi nel DNA (in altri termini sarebbe la trasmissione dei caratteri acquisiti). Questa visione biologica è falsa, e chi la critichi deve farlo in base agli argomenti della Scienza non con una generico rifiuto del biologico.
L’evoluzionismo ha prodotto maschi più violenti per la pressione selettiva che consentiva ai soli mammiferi maschi più forti degli altri di trasmettere il seme e quindi diffondere maggiormente le proprie caratteristiche (che sono ab origine mutazioni casuali!). Ma in quale modo la “tutela sociale” esercitata dalla donna avrebbe svolto un ruolo di pressione selettiva sulla riproduzione? Una donna rimaneva incinta indipendentemente, non solo se svolgeva la sua mansione domestica.
Sembra una questione secondaria invece non lo è, perché se si confonde Darwin con Lamarck poi si finisce a pensare male, generalizzzando un errato sì/no alla ineliminabile istinto biologico.
A Matrioska: nella parentesi della mail mi riferivo a scrittori “maschi” che scrivevano di maschi, naturalmente (altrimenti non avrei citato Miller e Roth – ma è colpa mia, potevo essere più chiaro).
Comunque, parlando di letteratura, secondo me il problema è che oggi si acclamano un sacco di “grandi scrittrici”, ma che spesso si fatica a dar loro lo spazio che meritano, dopo la morte. Voglio dire: parecchi critici sembrano “canonizzare” le donne controvoglia, mi pare. E – di conseguenza – per una scrittrice è più difficile diventare un “classico”. Per esempio: Bellow è senza dubbio un “grande scrittore” – cito apposta un misogino, matrioska -, ma la sua “canonizzazione” è stata certamente più rapida e agevole di quella – per citare un altro Nobel – di Doris Lessing. Un saluto,
sono d’accordo con la risposta di #..a Lorenzo
Riguardo alla letteratura: se penso ad uno scrittore uomo vivente capace di descrivere e caratterizzare una varietà di personaggi sia maschili sia femminili, positivi o negativi ma sempre convincenti, credibili, “veri” è certamente Stephen King (sto leggendo It in questi giorni e sono in estasi)
Un altro, molto diverso da King però, è Abraham B. Yehoshua. Ma certamente non sono i soli. Alla fine l’importante è che la narrazione e i suoi personaggi, qualunque sia il loro carattere e temperamento, siano sempre coinvolgenti, credibili e “veri”
e un romanzo, scritto da una donna, che ho letto di recente con personaggi indimenticabili è certamente L’aiuto di Kathryn Stockett. Ora mi taccio
@antonellaf: grazie per il link che purtroppo conferma l’idea che ho di certo femminismo.
Riguardo gli altri commenti ringrazio tutti e li hotrovati molto istruttivi.
Riguardo il “dna” (che viene usato da me nel tono colloquiale) e il “biologico” usato dalla Ozick (forse utilizzato come sintesi provocatoria), mi scuso non volevo intendere la biologia come giustamente avete fatto notare. Ma giuro che non posterò un commento in modo veloce così come starò attento a “chiacchierare” su questi argomenti. Sarà pure un’auto-censura ma di fatto mi sono sentito inibito nel leggere i commenti poi. Volevo commentare, non scrivere un editoriale. Vabbè, farò più attenzione nell’esprimere idee.
Comunque in genere seguo il dibattito femminista. Se così si può dire. Se a qualcuno risulta utile qualche riferimento, diciamo che mi piacciono molto le idee di Anna Bravo, Lea Melandri, la Tatafiore che forse sono anche i nomi più conosciuti. Però voglio anche ammettere una certa stanchezza per un certo modo militante che riduce la complessità femminile o maschile a pochi elementi edificanti nel primo (in quel senso intendevo sul ruolo di “cura”) e molto critici (per essere gentili e non calcare la mano). Può anche darsi che sia un riflesso per difendersi da un mondo maschile che le prevarica o che so io. La mia idea rimane quella della Ozick.
@ Luciano
ci mancherebbe 🙂 io ti ho risposto, ma non è che sono un esperto di biologia. solo che è curioso che si parte dalla premessa “le donne nel dna hanno…” senza discuterne, poi si osserva che “ma ‘ste ministre so donne però il dna se lo so’ scordato?”, e infine si conclude “cattivo dna e cattivo chi ne parla”. La Ozick sposta la questione da un termine all’altro, ma la questione non cambia. ad essere volgare e violento è lo sguardo non i termini.
Alice Munro, che mi piace moltissimo, non narra di donne cattive, come poi nota Edoardo, ma donne vere, realisticamente alle prese con problemi anche, ma non solo, legati al genere. Mi viene in mente Tolstoj che diceva: “Tutte le famiglie felici si somigliano; ogni famiglia infelice è invece disgraziata a modo suo”.
Non mi parlate del lavoro di cura e dell’abnegazione femminile: una occupazione che chiunque sarebbe in grado di fare bene se abituato a farlo. Penso piuttosto che il lavoro di cura possa generare in chi lo fa (chiunque) una sensibilità che altri non sviluppano. Certo, secoli di assoggettamento possono aver creato una risposta adeguata nelle donne, primo fra tutti l’essere ‘resourceful’, ma non credo sia questione di dna, ecco. E’ questione di tempo trascorso.
In Italia la situazione è arretrata: sulle donne pesano dei compiti immani e ingiusti per inerzia e convenienza. Dal familismo amorale al multitasking il passo è stato breve. Scusate, ma non riesco ad accettare una disparità che è legata essenzialmente a delle situazioni che altrove hanno già da anni un trattamento e una soluzione diversa che ha reso questi problemi grandemente più sopportabili. E’ un’opinione, ma anche la sacrosanta riflessione sugli stereotipi maschili sarebbe molto aiutata da un sistema in grado di riequilibrare la disparità reale nel lavoro, nella vita sociale, nella comuntà.
“per settant’anni la mia opinione sulle donne non ha fatto che peggiorare, e peggiora ancora. La questione femminile! Certo che c’è una questione femminile! Solo che non riguarda come le donne debbano prendere il controllo della vita, ma come possono smettere di rovinarla”
Tolstoj il misogino
“lo scopo della vita non dovrebbe essere trovare la gioia nel matrimonio, bensì portare più amore e verità nel mondo. Ci sposiamo per aiutarci reciprocamente in questo compito”
Tolstoj il femminista
“provo una grande tenerezza per lei ( la figlia Maša ). Solo per lei. Lei compensa gli altri, potrei dire.
Ancora Tolstoj
Così comincia Latte Nero di Elif Shafak
A Paola Di Giulio: D’accordissimo, sulla Munro: la parola “cattive” è forse sbagliata – le sue donne non sono semplicemente “cattive”, ma fragili e vere, e sempre umane (penso per esempio a “Le bambine restano”, al senso di colpa di “Pau Pau”…).
E cito anch’io Tolstoj, già che ci sono (su Natasa, p 527 dell’edizione Einaudi di Guerra e pace, poco prima del ballo): “Pensava che nessuno mai avrebbe potuto capire tutto quel capiva lei e quel che era in lei.”
“Immonde” non sono certo le ragazze in posa davanti all’obbiettivo. E’ lo spettacolo in sé, ad essere squallido. Non vi è forse calata una profonda tristezza vedendo quegli scatti, e leggendo i commenti trovati in rete (tutti firmati da maschi)?
E di fatto queste performance pseudo-sportive non sono altro che una grande baracconata similpornografica. Dove, non a caso, le atlete non sono (tranne una percentuale bassissima) sportive, bensì della ragazze con certi requisiti.
Dice Loredana: bisogna ripartire anche a lavorare dall’immaginario maschile. Certo. E’ una battaglia tosta quanto quella che attende le donne. Forse di più, visto che questi stereotipi sono stati inculcati dal “genere dominante” (per ragioni culturali, ovviamente) verso il “genere dominante”, e che trova quindi una sorta di legittimazione quasi spontanea.
Diceva Troisi in “Ricomincio da tre”, cercando di spiegare le proprie difficoltà ad una fidanzata molto più emancipata di lui, che era in crisi palese a scrollarsi di dosso questi stereotipi (l’onore, il maschio, e via dicendo). Perché sotto il re è nudo. Sono passati 30 anni, ma per molti versi siamo ancora lì (ad essere ottimisti).
Ritornando alle fotografie. Anche io non riesco a non vederci una pura mercificazione del corpo femminile in uno show chiamato “Lingerie Football League”. Non c’è alcunché di sportivo in un evento simile, anzi è un insulto allo sport – soprattutto al rugby. Chi c’è dietro? Una regia femminile? Assolutamente no. E’ sempre infima pornografia. Anche le giocatrici di pallavolo non vestono certo la cotta di maglia completa. Non c’è bisogno di sottolineare le differenze. Voglio invece trovare la somiglianza, che ci riporta al discorso di Loredana. Lo sguardo maschilista e maschile della telecamera che indugia sui fondoschiena delle finte rugbiste e delle pallavoliste è generato dalla medesima società.
In molti spettacoli proviamo senso di squallore, però certe volte non mi pare giusto, mi sembra di pormi al di sopra degli altri. Nel caso specifico, vedendo delle donne che giocano la situazione non mi pare così squallida. Non è questo il punto comunque. Se penso agli scatti che spesso ritraggono le parti anatomiche delle sportive più che allo squallore penso alla violazione dell’intimità, ma cosa cambia tra uno scatto e uno sguardo persistente al mare, tanto sono sempre io che guardo, sia che ammiro beatamente o che sbavo laidamente ( e poi chi lo mette il confine, e fin dove è permesso guardare? ). Ad un certo punto la gente sarà pur libera di svestirsi senza che questo comporti l’oppressione dello sguardo altrui. Anche se qui siamo di fronte a una situazione messa in piedi per lo sguardo allupato, ci sarà o no la possibilità di una sensualità giocosa pubblica, e mediatica? La pornografia è tutta uguale? Noi abbiamo il diritto di considerare squallida una scena in cui ci sono persone che magari in quel momento stanno bene con loro stesse? Io posso capire le persone religiose che vedono la manifestazione del peccato, ma possiamo ogni volta stabilire cosa è bello e cosa è squallido, sempre noi? Non è lo sguardo maschile o maschilista della telecamera, è il contenuto, che a volte è sensuale, anche negli stacchetti di striscia e spesso è squallido, perché vìola l’intimità e la volontà della protagonista, che si sta mostrando, ma che viene estromessa dal gioco. A me dispiace che in pubblico, con gli amici o in genere, ogni donna viene squadrata e commentata, guarda che culo, che tette che bocca, oppure guarda che cesso, e peggio ancora. Però il corpo lo guardo anch’io, e a volte mi piace, e penso che non sia proprio giusto soffermarmi troppo, anche se è assurdo. Non mi sento a mio agio se faccio dei pensieri che includono il sesso su donne che non conosco e di cui non posso sapere se li gradirebbero. Sapere poi di milioni di uomini che comprano il sesso, è di una mortificazione tremenda. Per quanto, una situazione del genere non mi è mai capitata. Comunque qualsiasi immaginario verrebbe sfruttato commercialmente. È difficile immaginare un’altra via e non capisco bene a cosa aspiriamo. Oggi una donna può essere libera e felice ( per quel che possiamo sapere ) di usare il suo corpo per la felicità di un uomo, sia che si tratti di prostituzione volontaria, di pornografia o di un altro genere di esposizione, dalla tv al cinema etc. Io non sono del tutto sicuro che sia un ostacolo per la parità di genere. Ma se dobbiamo riflettere su di noi, e intendo su noi maschi, ammesso che sia possibile e che abbia senso, da cosa e da quando partiamo? E quand’è che cominciamo a legare in maniera causale la nostra crescita con gli effetti sulla società? Desiderare le ragazze, desiderare di spiarle e di toccarle a un certo punto passa dalla crescita accettabile di un ragazzo e diventa sfruttamento commerciale? Sto facendo domande un po’ a caso ( e un po’ a cazzo ). insomma, nel link alle sportive in lingerie io non vedo niente di emblematico.
Per me esiste, ed è sempre esistita, un’enorme differenza tra chi vede una bella donna e pensa che abbia un bel sedere, e chi vede una bella donna e commenta “Boia che culo” – magari facendo in modo da farsi sentire. Questo non significa che ad alcune ragazze\donne non possa anche far piacere quel commento, ci mancherebbe. Senza considerare però che il commento viene spesso fatto anche quando la donna non è così avvenente ed è espresso al negativo.
Per quanto mi riguarda, tali commenti hanno sempre dato fastidio anche negli androcei (vedi spogliatoi maschili). E quando li esternavo in prima persona, e magari lo faccio tuttora, avvertivo sempre la presenza di un discreto senso di colpa.
Tutte le volte che noi maschi trattiamo una donna al pari di una merce o di un corpo a disposizione, calpestiamo la sua dignità senza se e senza ma.
E non credo proprio che quelle ragazze in fotografia abbiano posato volentieri, spinte dal genuino desiderio di piacere agli altri.