Bellissima intervista di Anais Ginori a Elisabeth Badinter. I temi sono quelli cari alla filosofa. E, mai come in questo momento, degni di riflessione.
Nel 1780 il prefetto di polizia di Parigi lanciava un inedito allarme. Dei ventunomila bambini che nascevano ogni anno nella capitale, appena mille venivano allattati dalle madri. Gli altri piccoli lasciavano il seno materno per la casa lontana di una nutrice mercenaria. Elisabeth Badinter ripercorre attraverso i secoli le differenti incarnazioni della maternità. Per quali ragioni, si è chiesta la filosofa, la madre indifferente del diciottesimo secolo si è mutata nella madre-pellicano contemporanea? Quando venne pubblicato la prima volta, nel 1980, L´amore in più provocò un acceso dibattito. «A trent´anni di distanza, è ancora difficile accettare che l´amore materno non sia indefettibile» racconta Badinter in occasione della riedizione del saggio, in uscita per Fandango. Nel salone affacciato sui giardini del Luxembourg, Badinter accende una sigaretta. “Figlia spirituale” di Simone de Beauvoir, come si definisce, sta scrivendo un libro su Maria Teresa d´Austria sovrana illuminata ma anche madre di sedici figli, una riflessione intorno ai due corpi della Regina.
Madre non si nasce, ma si diventa?
«Sì, perché l´istinto materno è un mito. Lo studio del comportamento delle donne attraverso i secoli, ci fa capire che non esiste una legge universale. Anzi osserviamo un´estrema variabilità degli atteggiamenti a seconda della cultura, delle ambizioni personali, del contesto sociale e famigliare. Può sembrare crudele, ma l´amore materno è soltanto un sentimento, e dunque è incerto, fragile, imperfetto. Non va dato per scontato. È in più».
L´eterna opposizione tra Natura e Cultura?
«In tutti i sostenitori dell´allattamento materno, dall´Antichità fino ai giorni nostri, si ritrova una professione di fede naturalista. È la natura, si dice, che ordina alla madre di allattare e disobbedire è male dal punto di vista fisico. Poi è subentrata una condanna morale e religiosa. Ma io non credo che gli ormoni del maternage, l´ossitocina e la prolattina, siano sufficienti a realizzare il miracolo di una fusione totale con il proprio figlio. È successo invece il contrario. Già in passato, ogni volta che le donne hanno avuto la possibilità di sfuggire a un destino obbligato, lo hanno fatto».
Quando si manifesta la prima volta il rifiuto dell´allattamento?
«La denuncia di Plutarco è la prima di cui si ha conoscenza. L´antica Roma era una società sofisticata per l´epoca e molte donne non volevano dare le “mammelle” ai piccoli. L´abitudine del baliatico risale invece al tredicesimo secolo in Francia. La prima agenzia di collocamento di nutrici fu aperta a Parigi per le famiglie aristocratiche, poi si generalizzò nel diciottesimo. In nessun altro paese europeo ci sono state così tante donne che non si sono occupate dei loro bebè, apparentemente incuranti della spaventosa mortalità infantile. Un´aberrazione della Storia ancora studiata da sociologi e antropologi. Si chiama “il caso delle francesi”. Per questo fenomeno furono trovate una quantità di giustificazioni economiche e demografiche. Ma rimane il fatto che il presunto istinto materno era improvvisamente scomparso».
Perché allora, alla fine del diciottesimo secolo, le francesi aderiscono con entusiasmo alla nuova filosofia naturalista?
«La scienza demografica, che comincia a svilupparsi, sottolinea l´importanza per una nazione del numero di cittadini. È Jean-Jacques Rousseau, con la pubblicazione di Emilio nel 1762, a dare un decisivo avvio alla famiglia moderna fondata sull´amore materno. Costruisce un´ideale femminile di felicità e uguaglianza, riuscendo a convincere molte donne che occupandosi solo dei figli, con dedizione e sacrificio, assumeranno un ruolo fondamentale nella società. Ma nel momento stesso in cui si esalta la grandezza e la nobiltà di questo compito, si finisce per condannare tutte le donne che sono incapaci di assolverlo perfettamente. Rousseau inventa il modello della buona e della cattiva madre che ci portiamo dietro ancora oggi».
L´altro elemento chiave nella costruzione della maternità moderna è la psicoanalisi.
«Grazie a Sigmund Freud, la madre è promossa principale responsabile del benessere del suo rampollo. Un´ultima missione che completa la definizione settecentesca. Il ruolo materno diventa ancor più impegnativo e faticoso di quello del padre. Dalla responsabilità alla colpevolezza il passo è breve. Sono stata molto colpita da una psicoanalista come Françoise Dolto che nelle sue trasmissioni radiofoniche sosteneva che i padri non dovevano toccare i bebè. Oggi evidentemente l´amore materno non è più appannaggio esclusivo delle donne. I nuovi padri si comportano come le madri e amano i bambini al pari di loro. E questo dimostrerebbe la non specificità sia dell´amore materno che di quello paterno».
La prima a rimettere in discussione l´istinto materno è stata Simone de Beauvoir.
«Eppure le è stato negato il diritto di parlare della maternità solo perché non l´aveva sperimentata. È una contestazione assurda dal punto di vista teorico e anche pratico. Molte altre femministe seguaci di Beauvoir, come me, hanno avuto bambini. Ma in qualche modo è passata l´idea che femminismo e maternità non fossero compatibili. Da questo equivoco è scaturito il femminismo della differenza, radicalmente opposto, che mette la maternità al centro dell´identità femminile».
Le donne oggi hanno un rapporto diverso con il loro corpo. Il rifiuto della femminilità di Beauvoir è superato?
«Fino a una certa epoca la femminilità ha rappresentato l´obbligo di essere mogli, madri e casalinghe. Tutto ciò che Beauvoir non è stata. Bisogna contestualizzare il suo pensiero. Detto questo, posso esprimerle una critica. Pensava che la femminilità fosse unicamente culturale. La mia convinzione profonda è invece che esista una bisessualità in ognuno di noi. Ci sono donne estremamente virili e uomini con caratteristiche femminili. Anzi, una delle conquiste del femminismo, che molti ignorano, è aver moltiplicato i modelli anche maschili».
La maternità consapevole è veramente libera?
«Progressi scientifici e sociali come la contraccezione o il diritto all´aborto hanno svelato la complessità e le contraddizioni del desiderio di maternità. Si può programmare o ritardare la nascita di un figlio, desiderare di rimanere incinta e poi abortire, sentirsi pronte e avere una crisi di rigetto dopo il parto. I progressi delle tecniche di fecondazione dividono ormai sessualità e procreazione. Grazie alla maternità surrogata, ci sono madri che non partoriscono. Mai nella storia siamo state così libere di scegliere o no di avere figli. Per paradosso, però, la maternità consapevole si è caricata ancora di più di doveri e responsabilità. È questa pressione montante che ho denunciato nel mio ultimo libro, Il Conflitto, concepito come prosecuzione di L´amore in più. Pensavo di poter commentare nuovi progressi rispetto all´analisi di trent´anni fa, e invece ho dovuto constatare un rischio di regressione su molti temi. Non avrei immaginato di ritrovare una nuova santificazione della natura, contro le malefatte della cultura e della scienza, che ricorda il pensiero di Rousseau vecchio di duecentocinquanta anni».
che bell’intervista. Molto interessante!
un libro importante che finalmente torna ad essere disponibile, grazie per la segnalazione
Nicoletta
davvero bella e interessante. bisogna continuare a interrogarsi senza sosta su questi temi perché la scorciatoia e la semplificazione (più o meno consolatoria) sono sempre in agguato. E le madri “cattivissime” spaventano tutti noi, uomini e donne, più dei padri.
paola
In effetti a me sembra che il punto sia come fare a percepirsi differenti, come donne, oltre l’ingombro di un materno concepito dalla cultura maschile (composta e agita da uomini e donne) che inventa a suo piacimento istinti per corredarli di normatività e sentimenti, come quello di colpa.
Detto molto “in soldoni”. I cuccioli di molte specie presentano caratteristiche che “suscitano” negli adulti un sentimento di protezione, ad es. occhi frontali e particolarmente grandi.
Ma la “risposta” avviene sia nei maschi che nelle femmine.
L’uomo è dotato di una mente molto complessa, che gli permette di reagire in maniera diversa, creando società in cui i ruoli sono definiti in base a miti e condizionamenti.
Dunque io credo che non ci sia proprio nulla di naturale nell'”appioppare” alla femmina alcune reazioni con intensità diversa da quelle dei maschi.
Interessante intervista con un’intuizione da non sottovalutare. Purtroppo la filosofa si pone le giuste domande sfocando sistematicamente le risposte. Vediamo di fare chiarezza.
Il problema principale della Badinter è non riuscire a concepire la spiegazione di un fenomeno in sé, svincolato da un fine socio-politico. Perciò spiegare l’istinto materno all’allattamento diventa, nelle sua parole, un “ordine” al quale “disobbedire” è “male”. (“È la natura, si dice, che ordina alla madre di allattare e disobbedire è male dal punto di vista fisico.”)
Questa mancanza di neutralità porta erroneamente una spiegazione ad essere assimilabile a una giustificazione o a una condivisione – cosa che non dovrebbe mai riguardare un discorso che aspiri alla scientificità – e dimostra l’intento politico di chi parla.
Ragionamo in termini naturalistici (evolutivi). È ovvio a chiunque che l’istinto materno all’allattamento stato presente nel dna delle donne per milioni di anni, anche perché una madre infastidita dalla suzione del proprio seno avrebbe condannato il figlio alla denutrizione e quindi a una maggior probabilità di morte, di fatto diminuendo la trasmissione di quella mutazione casuale che risponde al nome di istinto materno.
La domanda è quindi: quando compare una società organizzata in cui esistono alternative all’allattamento esclusivo da parte della madre, l’istinto materno all’allattamento rappresenta ancora un elemento di selezione della prole oppure no? La risposta è no. Perciò quell’istinto tenderà a non essere fondamentale per la sopravvivenza dei figli e quindi tenderà a perdersi nel tempo, non conservato dalla pressione evolutiva.Tenderà nel lunghissimo periodo (migliaia e migliaia di generazioni, per intenderci, perché pur non essendoci pressione evolutiva si è partiti da uno stadio in cui TUTTE le madre avevano quell’istinto, e perderlo del tutto non è un processo culturale e rapido).
L’intuizione interessante si ha quando la Badinter scrive:
“Pensava che la femminilità fosse unicamente culturale. La mia convinzione profonda è invece che esista una bisessualità in ognuno di noi. Ci sono donne estremamente virili e uomini con caratteristiche femminili. Anzi, una delle conquiste del femminismo, che molti ignorano, è aver moltiplicato i modelli anche maschili”. Fuochino.
Il problema di tutti queste studiose è non aver studiato matematica. Se l’avessero fatto capirebbero che ogni affermazione è di ordine statistico: invece anche la Badinter non ha ancora conosciuto il siginificato della distribuzione di probabilità di una curva banale come quella di Gauss.
Riassumiamo: in media le donne hanno l’istinto materno e trovare casi in cui non ce l’hanno non autorizza a dedurre che quindi quell’istinto non esiste e sarebbe un mito. Del resto,si badi bene, non autorizza nemmeno a trovare un nesso tra come vada la natura e come dovremmo normativamente comportarci in suo ossequio.
Dire che esistono donne estremamente virili e uomini con caratteristiche femminili non autorizza a pensare che in ognuno di noi ci sia bisessualità. Al contrario riconferma l’eccezione alla regola, che nei termini matematici è rapppresentata dalle code della nostra curva di Gauss. Tuttavia trovare un individuo con tre occhi e non andare a cercarne la percentuale statistica, concludendo che sia un mito che l’homo sapiens sapiens ne abbia in media solo due, è un esercizio sterile e a tesi.
Insomma, non è negando le ovvietà della biologia evoluzionista che si potrà produrre una solida argomentazione in favore del diritto di una donna a non essere giudicata e bollata come sbagliata se non allatta il proprio figlio. È invece dal diritto a emanciparci operativamente dalla natura – che è possibile, magari difficile in alcuni casi – che si può argomentare con forza. Occorre però conoscere bene e la biologia e la statistica, altrimenti si deraglia. Chiedetevi come mai non sembra essere possibile per il mondo femminista descrivere la natura così com’è e allo stesso tempo non sentire ciò come un vincolo e un argomento a favore degli avversari nell’organizzarsi come ci pare e piace.
Così come si possono analizzare in modo costruttivo le ambiguità dello “specismo” che differenzia l’ uomo dall’ animale, allo stesso modo è meritorio che le ambiguità di un concetto come quello di istinto materno vengano portate alla luce e vagliate in modo da problematizzare la differenza uomo/donna.
Detto questo, così come nessuno nega l’ utilità di ragionare sulla base di uno specismo “light”, sarebbe velleitario raccontarsi la favoletta per cui non esisterebbero forti differenze (e del tutto indipendenti dai fattori culturali!) tra maschio e femmina quando si tratta di relazionarsi alla prole. La mole di sperimentazione scientifica in merito è troppo vasta. Il femminismo più avvertito lo sa, penso a Sarah Hrdy e al suo lavoro sulla critica all’ istinto materno.
Filosofeggiamo pure, ma partendo dai fatti (tutti, compresi quelli imbarazzanti).
D’ altronde non vedo perché alcuni “fatti” debbano imbarazzare visto che i diritti sono indipendenti dai “fatti”.
Il sospetto che viene è che non si abbiano affatto a cuore i diritti (anche perché quelli già ci sono).
p.s. spero che l’ analogia venga presa per un’ analogia.
Osservazioni sparse. Difficile che un discorso sulle donne e sulla maternità non sia a monte politico. Che l’allattamento avvicini “ancor più” la donna all’animalità va da sè: e infatti il sottrarsene sta, storicamente, alle aristocratiche. Il Settecento è effettivamente il secolo della contraddizione: da un lato il più mondano e sfrenato con un’intensa vita di società anche per le donne, e quindi niente allattamento per le signore; dall’altro con la sua filosofia della natura e lo studio del comportamento, degli istinti particolare, ne riscopre la “naturalità”.(Rosseau è stato comunque un pessimo padre di numerosi figli abbandonati.)
In natura, tra le diverse specie animali, c’è la massima varietà nella distribuzione delle cure parentali tra i due sessi: quando se ne occupa solo la femmina, quando solo il maschio, quando entrambi, nei mammiferi lo dice chiaramente il nome. Però, quando studiavo i testi dicevano che, la femmina dell’uomo è più libera dai livelli ormonali e il suo comportamento in questo campo molto dipende dall’apprendimento e quindi dalla cultura. Secondo me anche le gatte, che ne ho avute alcune come care amiche, hanno bisogno di apprendere nella maternità e sono capaci di libere scelte.
Quanto alla psicoanalisi è vero per essa il rapporto primario e costitutivo madre- figlio ma è pur vero che il suo delicato equilibrio risente del rapporto col marito- padre e in genere dell’ambiente che lo circonda. Quindi sia guardando alla natura sia alla città dobbiamo richiamarci alla duttilità e adattabilità piuttosto che ai blocchi e ai confini.
@Francesco
*Riassumiamo: in media le donne hanno l’istinto materno …*
E’ una affermazione nata dall’osservazione empirica o da dati statistici?
Perchè se rimango al mio piccolo mondo sono davvero tante le donne che fanno figli a causa della pressione sociale e non per un cocente e impellente istinto materno.
(Concordo sullo studio della matematica e della statistica, andando OT, non si spiegherebbe come mai anche le persone comuni continuino a giocare al lotto…)
io sono sempre più convinto che l’ambiente sociale È da considerarsi, per noi umani, l’ambiente naturale. Quindi, invocare la natura o la naturalità è un’emerita scemenza.
Bellissima la frase “una delle conquiste del femminismo, che molti ignorano, è aver moltiplicato i modelli anche maschili”.
E’ chiaro che possediamo una spinta evolutiva a prenderci cura della prole.
Primo non è sociale (per definizione, e anche non avallando teorizzazioni un po’ estreme stile alla “gene egoista” per intenderci, l’eredità genetica è individuale. Ovvero, fare figli non è mai un servizio alla sopravivenza della specie, semmai a quella del proprio patrimonio genetico).
Due, può contemplare pratiche molto molto inquietanti, come l’infanticido (Sarah Hrdy ne documenta la presenza nei primati, e la persistenza in tutte le culture che possiamo documentare storicamente o studiare con gli strumenti dell’antropologia). Ovvero la scelta di concentrare le cure su un figlio piuttosto che un altro, di sopprimerlo qualora sia meglio rimandare la maternità a momenti che garantiscano un miglior successo riproduttivo ecc. ecc.
Che cosa intendiamo per “istinto materno”? La propensione a prendersi cura dei cuccioli anziché abbandonarli, oppure la complessa costruzione storico-sociale-antropologica che ne fa un destino a vita, qualunque siano le condizioni, una sorta di mistica appunto che non tiene conto alla fine né della storia né della biologia della nostra specie? (detta alla brutta, le due cose sono intrecciate inestricabilmente, lo so).
paola
@Loredana Lipperini
Ho una domanda che parte da una serie di considerazioni e a cui mi piacerebbe mi rispondesse
Quello che imbarazza è la dissociazione che molta filosofia ha preso dalla Scienza. Com’è potuta succedere una tale dissociazione se non credendo che solo attraverso la negazione della biologia sarebbero state costruite solide base ai diritti?
Siamo mammiferi, che vuol dire specificatamente che tra le caratteristiche principali che ci separano dalle altre Classi, e che danno il nome alla nostra, c’è la cura parentale e l’allattamento.
@Miriam scrive: “E’ una affermazione nata dall’osservazione empirica o da dati statistici?”
Spero che la sua domanda sia una provocazione. Anche lei non sembra aver ben compreso l’evoluzionismo. L’istinto materno non compare nei termini di desiderio di figli, desiderio che la natura non conosce per il sesso femminile (e nemmeno per il maschile, che è programmato solo per cercare la penetrazione in risposta a una serie di input chimico-visivi).
Per istinto materno si intende tutta una serie di procedure di autoprotezione durante la gravidanza, la presenza di un’accettabile disposizione all’allattamento, una aspecifica serie di comportamenti protettivi nei confronti dei piccoli.
L’intreccio fra natura e cultura è cosi stretto che mi pare impossibile da dipanare con chiarezza. La dimensione biologica con i suoi ritmi e i suoi tempi è stata letta, interpretata, manipolata, anche positivamente, tanto da modificare ciò che si dava per scontato. Cio che viene ritenuto amore per i propri figli è spesso una proiezione narcisistica, anche questo come tutti gli amori è una conquista, un “custodire il vuoto” come dice Recalcati, perchè l’altro, il figlio/ la figlia, abbia modo di riconoscersi e crescere nel suo desiderio.
bella intervista.
e quello che ho sperimentato anche personalmente è il fondamentalismo del latte materno che come tutti i fondamentalismi e al di là di disquisizioni filosofiche che non sono in grado di sostenere, sono inaccettabili.
Il dibattitto natura-cultura sarebbe interessante se avesse un qualche senso.
Anche se amettiamo per un attimo che esista e sia immutabile l´instinto materno per cui le donne sono portate per istinto a prendersi cura del figlio questo dimsotra qualcosa sul fatto che debba essere cosi (ma nessuno ha mai letto Hume?). Per giustificare un qualsiasi comportamento non si puo´ricorrere all’argomento che quel comportamento esiste!
Inoltre, io non sono affatto convinto che tutto il comportamento sia imposto dalla societa’ ma mi pare che la descrizione della natura ne fanno alcuni non abbia nessun senso. Negli animali piu’ simili a noi e´assolutamente comune che la madre abbondini il cucciolo se si rende conto di non poterlo alimentare e/o proteggere quindi seguendo il ragionamento della natura si puo´permette che le donne che trovano troppo difficile occuparsi del figlio possono abbandonarlo?
Per Paolo S. Non ci vuole tanto a scoprire la natura. Qualche bella passeggiata in macchina in campagna, possibilmente dove non ci siano villette a schiera, solo qualche vecchio casolare, magari abbandonato. Prova ad annotare quello che vedi, in particolare in diversi momenti del giorno e dell’anno.
Chiedo scusa: dov’è , in questo blog, che si può discutere serenamente senza dover sopportare gli scienziati che vengono qui a fare ordine?
@ Teresa: che brutta cosa la scienza vero? Che belli i tempi in cui gli scienziati stavano al loro posto! Ah erano i tempi in cui la Chiesa comandava e le donne erano vendute dal padre al marito? Eh che vuole questo e´un mondo crudele “non si puo’ avere la botte piena e la moglie ubriaca”
Niente in contrario alla Scienza, caro signore, ma al tono con il quale si impone un punto di vista, occupando uno spazio pubblico con la metodologia del sermone, di chi vuole istruire gli altri, possibilmente intimidire le altre, sperando di confinarci tutti iin una condizione di minorità e di ascolto passivo perché non accademico, ho molto, molto in contrario. Questo metodo arriva qui dopo anni e anni di coscienza feminile su questi temi. E non ci scalfisce. Deprime la discussione, questo sì. Non è questo l’ordine di cui si ha bisogno che, anzi, mi ricorda qualcosa di antico…
Caro Simone, “Il dibattitto natura-cultura sarebbe interessante se avesse un qualche senso.” Ma è atteggiamento scientifico questo? O anche tu pensi che possiamo fare a meno della natura? Riprendo l’esempio che tu fai: una gatta può lasciare a me i suoi gattini e decidere inappellabilmente di non tornare indietro. La donna no e lo sa, la società, la “cultura” non glielo permette, e allora succedono quelle tragedie familiari che nessuno aveva previsto, che quella era una famigliola felice etc. etc. Perchè non si ascolta la natura e questo ci rende idioti.
ciò che si capisce in questa intervista è l’importanza di abbandonare il fanatismo. mentre una discussione sull’istinto materno è possibile su vari livelli, è chiaro che dell’istinto materno se ne è fatto un mito, come probabilmente di altri “ruoli” assegnati. non che siano completamente dannosi, ma vanno maneggiati con cura.
@ teresa
penso ti riferisci al commento di francesco f.
onestamente non ci vedo prepotenza. sono solo commenti, la discussione può proseguire lo stesso. parli di “metodo” contrapposto ad anni di coscienza, però è una persona che si sta esprimendo, come potrebbe fare altrimenti? magari i suoi sono argomenti non graditi però in uno spazio pubblico ci stanno. trasformarli in un corpo estraneo da sopportare mi pare ingeneroso. insomma, sempre nel rispetto reciproco, capisco il tuo commento, però è affrettato.
@ Piccola Dorrit:
certo che possiamo fare a meno della natura! L’esempio dimostra come un tipico comportamento naturale sia sommamente immorale. Quello che non possiamo fare e´ negare i risultati della ricerca scientifica sulla natura. Non posso dire l’allattamento non serve al figlio perche’ oggi sappiamo che e´utile (non indispensabile e non sempre) al figlio. Ma dal fatto che nel latte materno ci siano anticorpi utili al bambino non deriva nessun obbligo morale all´allattamento. L´obbligo morale (non assoluto ovviamente) deriva se si considera che la salute del figlio un valore da tutelare.
Piccola Dorrit, io annoto, poi tu però leggi bene, che ho scritto un’altra cosa.
I famosi casolari di campagna sono un fenomeno naturale spontaneo, già descritto da Plinio il vecchio, mi pare.
Mi spiego meglio: volevo chiedere dove finisce e dove comincia la natura? dove finisce e dove comincia l’istinto? è un istinto parentale consegnare un bambino ammalato a una pediatra? O a uno sciamano?
Perché non lo lasciamo invece solo in campagna, magari come un gatto va a cercarsi le erbe che lo fanno guarire. Anzi, forse è l’istinto materno che può suggerire (a una bolognese come a una balinese, certo) quali cortecce d’albero grattare per ottenre un antipiretico.
La mia prof di antropologia soleva ripetere che l’unico comportamento umano sicuramente riconducibile a istinto è la suzione del neonato. Tutti gli altri comportamenti sono sempre in misura variabile mediati da fattori sociali e individuali. Sono convinto che nonsi allontanasse troppo dal vero.
Ah, e io conosco una mamma-cane meravigliosa che una volta ha sepolta viva la cucciolata. Probabilmente la mamma-cane era corrotta dalla “cultura”, anche se viveva in un ridente paesino di montagna immerso nella “natura”. Forse i suoi padroni hanno persino letto Freud, nel casolare.
Scusate l’OT, ma sono un po’ preoccupata: cliccando sul link della commentatrice che si firma “paola”, esce il mio profilo blogger!!!! non saprei da quale disguido webbico possa essere causato questo equivoco, ma penso che dovrebbe preoccupare anche “paola”, alla
alla quale viene attribuita da Google la mia identità!!!!!
Premessa: di Badinter ho letto solo un libro, “Il conflitto”. Anche soltanto da questo libro, comunque, si evince che questa autrice con la “scienza” ci fa i conti, deve per forza perche’ e’ immersa nella sua epoca.
Uno degli esempi citati che ricordo e’ uno studio effettuato sull’istinto materno nei topi e su come in questa specie i cambiamenti ormonali e neurologici connessi alla maternita’ siano drammatici.
Cio’ che Badinter critica non e’ certo la scientificita’ di questo studio ma la possibilita’ di applicare gli studi sui roditori ai mammiferi maggiori, ai primati e – a fortiori – all’uomo. Citando altri studi, Badinter fa notare come i mammiferi con una corteccia cerebrale molto sviluppata (come gli scimpanze’) mostrino un comportamento di accudimento della prole molto meno stereotipato di quello di altre speci.
Come mai, allora, l’idea che cio’ che e’ valido per un piccolo roditore di sesso femminile sia applicabile anche a una donna e’ cosi’ diffusa e serenamente accettata dai giornali, che dilatano allegramente la validita’ di studi etologici anche al comportamento umano (o meglio femminile) senza farsi problemi? E’ mentalita’ scientifica questa? O un pregiudizio per cui, se l’essere umano e’ parte della “natura”, beh, allora le donne lo sono un pochino di piu’?
Sono lieta che ci siano sul blog tanti piccoli scienziatini che arrivano col ditino puntato a dirci che non sappiamo nulla di scienza. Perche’ la “retorica scientifica”, il concetto di “natura” e “oggettivita’” dovrebbero essere uno degli argomenti forti del dibattito neo-femminista.
Solo, mentre noi ripassiamo curve guassiane, analisi matematica e frattali (che sono stupendi da guardare, lo facciamo ben volentieri), io consiglio loro caldamente la lettura di due scienziati che dei trucchetti della mentalita’ “scientifica” e della retorica scientifica sapevano molto: Stephen Jay Gould (specie l’attualissimo articolo “Il cervello femminile” nel saggio “Il pollice del panda”. Sembra scritto ieri, cavolo!) e Thomas Kuhn. Leggete, pensateci bene su e poi tornate pure a discutere.
Caro Simone, per fortuna le regole della convivenza non si basano nè sulla legge morale nè sulla scienza ma constato che tra queste due forche, come le usi tu, è la donna ad essere la più esposta.Tener conto della natura vuol dire, sempre nel nostro esempio, non abbandonare a sè stessa la madre che ha difficoltà nell’allevare un figlio, mettendo avanti la morale o ciò che sarebbe scientificamente meglio per il bambino!!! Oibò.
Caro Paolo S, mi sembri molto vicino a Simone.
Sono alcuni fra gli scienziati a vedere la Natura come un terreno di loro proprietà, da dominare, sterminare se necessario e con Essa, le donne, da LORO considerate Natura. Alcuni, ho detto. Ma com’è che qui si presentano solo LORO?
Scusate l’intrusione, ma casco un po’ dalle nuvole in merito alla questione del “fondamentalismo del latte”.
Qualcuno mi può spiegare in parole povere cosa si intende?
Sinceramente da quando sono incinta non ho affrontato l’argomento con il mio medico per il semplice fatto che non pensavo fosse un aromento da affrontare…ho pensato che lo allatterò, se potrò, fino quando mi sarà possibile (compatibilmente con il rientro al lavoro dopo 4 mesi dal parto…quindi probabilmente non sarà un allattamento lungo), se invece non potrò per un qualunque motivo sfrutterò i vari latte in polvere a seconda di quanto suggerito dal pediatra.
Il tutto, finora, senza alcuna ansia in merito.
Leggendo la discussione mi rendo però conto che forse là fuori c’è una realtà che non conosco o che non ho colto, e prima di ritrovarmici in mezzo impreparata vorrei, se possibile, avere qualche chiarimento.
D’altra parte è solo grazie a qusto blog che ho scoperto che l’epidurale va prenotata molto prima ed è a pagamento (poi credo che non la prenoterò…ma almeno la mia è una libera scelta)…quindi sto scoprendo più cose sulla maternità qui che nell’ambulatorio del medico
Il dolore viene somministrato gratis.
In un ospedale ho sentito dire con le mie orecchie dal primario della terapia del dolore: io non pratico anestesia a chi abortisce perché se una uccide merita almeno quel dolore.
L’epidurale si paga. Proteggersi dal dolore si paga. E’ questo il rapporto che la Scienza manitene con le donne, cari signori?
Ok, ci sono i topi, Thomas Khun… e anche Lourdes, se è per questo. Non penso però che l’ irrazionalismo contemporaneo si manifesti ripudiando la scienza con invettive rabbiose, piuttosto facendo cherry picking per raccogliere quel che fa comodo e “risolvere” in quattro e quattr’ otto questioni complesse.
Per chiarire le basi biologiche che fondano le differenze tra uomo e donna nell’ atteggiamento verso la prole (al netto di ogni influenza culturale), consiglio le 53 pagine di bibliografia presenti nel classico di David Geary: “Male, Female”. Oppure il capitolo che Pinker dedica ai generi nel suo “tabula rasa”. La questione sembra abbastanza pacifica, dopodiché, certo, uno puo’ sempre sperare che appaia all’ orizzonte l’ “uomo nuovo”, nulla lo vieta.
tranquilla Giulia,
ho estremizzato parlando di fondamentalismo, solo per dire – almeno per mia esperienza e per quella di mia figlia – che negli ospedali ci sono ostetriche, infermiere e pediatri che ti inculcano l’idea che “ogni donna che lo voglia, può allattare”.
In realtà non è così, a noi i fiumi di latte non sono mai arrivati e, decidendo poi con il nostro buon senso nonostante ci dicessero di insistere e di NON dare altro latte, siamo passate al latte artificiale, senza rimorsi o sensi di colpa anche se, ripeto, saremmo state ben felici di poterlo fare.
Quindi benissimo il latte materno ma se non ce n’è abbastanza o se nascono problemi che rendono l’allattamento una sofferenza, meglio passare ad altro, che per fortuna esiste.
E soprattutto ho sempre rifiutato l’idea che la mamma si debba annullare completamente per le esigenze del neonato
ma perché una normale discussione deve essere trasformata in uno scontro tra fazioni?
perché ci si rivolge agli altri come se facessero parte di un gruppo?
@ Barbara F
in questa discussione chi ha espresso il pensiero
che “se l’essere umano e’ parte della “natura”, beh, allora le donne lo sono un pochino di piu’”?
chi sono i “tanti piccoli scienziatini col ditino puntato”?
sono mamma di 2bimbi e ho allattato entrambi fino a qundo ho potuto (in entrambi i casi ho finito il latte all’ottavo mese)e non per questo ovviamente ho smesso di lavorare. semplicemente allattare,nonostante i primi giorni un po’ dolorosi,e’ un’esperienza meravigliosa anche per la mamma. Inotre rafforza il legame col bimbo aiutando la mamma a superare quel pizzico di depressione post partum che puo’ sempre esserci. per non parlare della praticita’ (il ristorante e’ sempre a disposizione per soddisfare la fame del bimbo) e il risparmio economico. questo e’ senso materno? c’e’ cosi’ tanto da “filosofeggiare” su questo? mi sembra abbastanza banale. se poi con l’arrivo di un figlio i genitori,ovviamente entrambi,non sono disposti a rinunciare a nulla forse sono semplicemente irresponsabili e superficiali,indipendentemente dal loro senso materno o paterno.
scusate,sono la mamma del post di poco fa. l’ho involontariamente inviato anonimo.
volevo solo aggiungere che,almeno a Roma,l’epidurale non e’ a pagamento. purtroppo ho avuto l’esperienza di un aborto spontaneo e i dolori delle contrazioni li ho sentiti tutti,prima e dopo il raschiamento.non era una punizione di qualche perfido ginecologo,semplicemente erano sopportabili.quelli si,meno sopportabile il vuoto rimasto. quante leggende metropolitane!
Un uomo puo’ potenzialmente avere migliaia di figli, una donna poco più chei una dozzina. Questa vistosa asimmetria rende facile il compito dei sociobiologi allorché devono teorizzare le differenze riscontrate tra i sessi che prescindono dai fattori culturali. E così, oltre ai fatti sperimentali, fioccano anche teorie accattivanti per la loro linearità.
Possiamo anche immaginare che domani l’ asimmetria scatenante di cui sopra venga in qualche modo ridotta, ma dobbiamo pur sempre pensare che “aggiustare” certe differenze profonde richiede migliaia di anni: se ne possono trarre giusto delle congetture evolutive, mica programmi politici.
Detto questo, il punto è un altro: per rendere più accurato lo stereotipo dominante e avvicinarlo ai modelli scientifici da che parte dobbiamo spingere? L’ influsso della tradizione più retriva ci dice di spingere sottolineando gli elementi di uguaglianza, la cappa asfissiante del politically correct ci chiede di sottolineare le diversità.
Io, lo ammetto, temo di più la seconda minaccia.
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Mi riferivo a Broncobilly che mette Thomas Kuhn e Lourdes sullo stesso piano. E non spende parola su Stephen Jay Gould, perche’ non gli fa comodo 🙂 Lui ha capito e infatti mi ha risposto direttamente dandomi anche i compiti a casa.
Per il resto, stavo cercando (forse nel modo sbagliato) di reindirizzare la conversazione su un punto: ovvero che, probabilmente, differenze biologiche/genetiche fra uomini e donne nell’accudimento della prole o in altro ci saranno anche ma che, per ragioni ANCHE biologiche, le analogie etologiche lasciano spesso il tempo che trovano.
L’idea interessante di Badinter e’ che siamo animali sociali e culturali (e non e’ certo un’idea nuova…). E’ un’idea condivisa anche da una certa parte della comunita’ scientifica e non solo da chi non ne fa parte. L’accudimento della prole (al contrario dei sentimenti verso la prole, che pero’ sono assai mutevoli) e’ in buona parte appreso e non istintuale per gli esseri umani e alcune sue regole cambiano culturalmente. Dire che le pratiche di allattamento, le pratiche igeniche di pulizia di un neonato e l’accudimento sono trasmesse “geneticamente” di madre in figlia suona sospettosamente lamarckiano, per quanto mi riguarda.
E mi suona anche male il ragionamento secondo cui milioni di anni fa tutte le donne avevano l’istinto materno mentre adesso no perche’ la societa’ lo consente: magari e’ un’ipotesi piu’ aderente ai fatti dire che nelle societa’ arcaiche ciascuna donna aveva moltissime gravidanze, in alcuni casi la prole sopravviveva in altri no; e che se una era poco propensa alla cura, la prole veniva seguita magari da altri membri della famiglia. Pero’, in assenza di prove certe, su questo si puo’ solamente speculare.
Barbara F,
grazie per la risposta. In fondo bronco billy porta le pistole, un po’ di sarcasmo ci può stare. E viva jay gould ( di lui ho letto Intelligenza e Pregiudizio ), che è pure comparso nei Simpson. Per quanto anche lui si sia prodotto nel fare la caricatura ai deterministi genetici.
Personalmente ho molto apprezzato questa intervista, pure se vedo anch’io delle parti dubbiose, anche se poi in sostanza non fanno grandi differenze. Io ho solo la possibilità di leggere divulgazione, non ho studiato. E infatti nell’intervista quando si parla di natura, Badinter non risponde mica agli scienziati, che accomuna al mondo culturale ( come è ovvio d’altronde ), ma ad una visione “naturalista”, che è invece un modo di ragionare che come minimo deve avere alla base molto buon senso. Non penso che sia molto importante sapere se l’accudimento materno sia trasmesso geneticamente o culturalmente ( o se è questione di percentuali ). Oppure scoprire differenze fra i generi. A un certo punto chissenefrega. Da quel che ho letto finora, la maggior parte se non tutti i comportamenti sono soggetti a quella che viene detta “strategia evolutiva stabile”. Che madre si nasca o si diventi, non autorizza comunque a ingabbiare le donne, e siamo d’accordo mi pare tutti.
…e poi sto rileggendo per la quarta volta “ancora dalla parte de”, che è OT però fra la mezzanotte e l’una si perdona
Scrive Francesco F.:
“Il problema di tutti queste studiose è non aver studiato matematica. Se l’avessero fatto capirebbero che ogni affermazione è di ordine statistico: invece anche la Badinter non ha ancora conosciuto il siginificato della distribuzione di probabilità di una curva banale come quella di Gauss.”
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Mi pare singolare questo tipo di critica che parte da un assioma che potremmo riassumere così: il pensiero femminista è oltremodo ingenuo.
Questo modo di procecedere è molto diffuso.
lo chiamo assioma perché chi si esprime così non ha una reale conoscenza di ciò che critica, prende il presupposto del suo ragionamento per vero e ritiene allo stesso tempo che non sia necessario verificarne la verità. Insomma un assioma.
Se avessero conoscenza diretta scoprirebbero, per esempio, che il significato delle curve di gauss è analizzato dalla Fausto-Sterling in un testo cruciale per la critica femminista che è “Myths of Gender”, dove si dimostra come proprio il cattivo utilizzo di questo strumento matematico fornisce la base dei discorsi sessisti prodotti da scienziati.
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Dunque le domande:
Perché si ritiene legittima la critica del femminismo senza averne una elementare conoscenza?
Perché questo atteggiamento è così spesso riconducibile a individui di sesso maschile?
Scrive Badinter:
“La mia convinzione profonda è invece che esista una bisessualità in ognuno di noi. Ci sono donne estremamente virili e uomini con caratteristiche femminili. Anzi, una delle conquiste del femminismo, che molti ignorano, è aver moltiplicato i modelli anche maschili.”
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Non so come si è espressa originariamente la Badinter, comuneque la parola “bisessualità” nel suo discorso evidentemente non è riferita all’orientamento sessuale, ma all’identità sessuale nel suo complesso.
Insomma sta combattendo il pregiudizio così detto “genderista” secondo il quale la specie umana è divisa binariamente in maschi e femmine. E’ un pregiudizio che non ha ragione di esistere, basterebbe pensare all’intersessualità o alla transessualità, eppure è il più resistente – anche perché viene inculcato fin dalla nascita.
Ah, ero io lo “scienziatino col ditino”? Ti giuro che invece non me n’ ero accorto (veramente!), anche perché dello “scienziato” ho ben poco: molto più semplicemente, se proprio devo secernere un pensieruccio su qualcosa, cerco prima di informarmi presso le autorità in materia circa lo “stato dell’ arte” (il mio motto è: su ogni argomento c’ è già una sterminata letteratura).
Quando si parla di “fatti naturali” le autorità in materia penso siano gli scienziati (anche il Gould che riferisce nel capitoletto citato alcuni svarioni della scienza, non disprezza per questo il metodo scientifico; anche il Khun delle “rivoluzioni scientifiche” ha sempre disdegnato con ribrezzo ogni forma di relativismo). Certo, anche la comunità scientifica prende delle topiche, per carità, ma io da chi dovrei andare per informarmi e “scommettere” ragionevolmente?
Quello che mi interessa in realtà è scoprire perché tanta sensibilità alle questioni scientifiche quando sono in ballo dei diritti. In fondo solo io e “simone” abbiamo notato la stranezza. Un diritto puo’ tranquillamente esistere ed essere rivendicato a prescindere da tutte le considerazioni di fatto.
La mia ipotesi è che non si ha affatto in mente di rivendicare una parità nei diritti (anche perché già esiste), quanto piuttosto dei privilegi in linea con l’ ideologia welfaristica delle “classi svantaggiate”.
Secondo questa ideologia tutti i gruppi sociali sono di fatto uguali e se i loro “esiti” (in termini di reddito, successo, abilità…) sono mediamente differenti cio’ è dovuto a un malfunzionamento nella macchina sociale. Esempio: se donne e uomini hanno “esiti” differenti in un qualsiasi ambito della vita sociale cio’ è automaticamente da imputare a un sessismo strisciante da correggere investendo risorse pubbliche.
E’ chiaro che caduta la premessa, cadono anche le conclusioni e le “risorse pubbliche” investite secondo quel criterio finiscono in un buco senza fondo.
Non solo. Alcuni, o molti, altri s’appellano alla scienza o al metodo scientifico per contrapporre un Homo Scientificus alla natura, dimenticando che il nostro sapere proviene dalla natura, dall’aver saputo interrogarla.
Scrive Broncobilly:
“Quello che mi interessa in realtà è scoprire perché tanta sensibilità alle questioni scientifiche quando sono in ballo dei diritti. In fondo solo io e “simone” abbiamo notato la stranezza. Un diritto puo’ tranquillamente esistere ed essere rivendicato a prescindere da tutte le considerazioni di fatto.”
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Il principio giuridico di uguaglianza si declina in due norme: trattare allo stesso modo situazioni uguali; trattare in modo diverso situazioni differenti.
Le “considerazioni di fatto” sono il presupposto per stabilire se si tratta di situazioni uguali o no. Servono per dare un assetto ai diritti che rispetti l’uguaglianza.
per paola m. , scusate, volevo rispondere privatamente ma non trovo modo. Mi spiace, certo non è né voluto né previsto non so dove sia l’inghippo (indirizzo inserito era quello di ns blog collettivo)
paola
Andrea, la tua suona come una conferma: non si tratta di rivendicare pari diritti ma “diritti” del tutto particolari; per questo sono d’ intralcio certe affermazioni della scienza e, come faceva notare #, diventa difficile discuterne serenamente.
Stando all’ ideologia dei diritti non si vede perché se il gruppo sociale A è mediamente meno intelligente del gruppo sociale B non debba per questo godere degli stessi diritti. La diatriba sulla “questione di fatto” diventa irrilevante e si puo’ discuterne senza retro pensieri.
Stando invece all’ ideologia welfaristica se A è mediamente meno intelligente di B per cio’ stesso incamera dei privilegi al fine di compensare un’ “ingiustizia (la premessa è che tutti i gruppi sociali sono in potenza uguali, e quindi anche il fattore intellettivo. La questione di fatto diventa cruciale e anche la scienza si politicizza divenendo un tiro alla fune.
A mio modesto avviso il welfare è più minacciato dalla debole premessa su cui si fonda che non dalla sua insostenibilità finanziaria.
Barbieri scrive: “Se avessero conoscenza diretta scoprirebbero, per esempio, che il significato delle curve di gauss è analizzato dalla Fausto-Sterling in un testo cruciale per la critica femminista che è “Myths of Gender”, dove si dimostra come proprio il cattivo utilizzo di questo strumento matematico fornisce la base dei discorsi sessisti prodotti da scienziati.”
Pardon? Si dimostra? Ma lei sa cosa implichi il termine “dimostrare” oppure lo usa così, come sinonimo di una persuasione retorica?
Sono proprio curiosa di vedere le argomentazioni con cui si “dimostrerebbe” il “cattivo uso” della Gaussiana.
Arriviamo all’aspetto pià inquietante e allucinato del suo discorso:
“Insomma sta combattendo il pregiudizio così detto “genderista” secondo il quale la specie umana è divisa binariamente in maschi e femmine. E’ un pregiudizio che non ha ragione di esistere, basterebbe pensare all’intersessualità o alla transessualità, eppure è il più resistente – anche perché viene inculcato fin dalla nascita.”
Mi dispiace dover infrangere i suoi pregiudiziali desiderata ma la specie umana è divisa binariamente in maschi e femmine. Questo è un fatto, e se unisco uomo a uomo, donna donna, gay a gay lesbo a lesbo, etc. non nasce nulla. Capisce? Il suo discorso è un allucinato portato di postmodernismo che crede che il linguaggio trasformi la realtà.
Lei confonde in modo grave la biologia con la psicologia. Noi abbiamo tutto il diritto di darci infinite identità psicologiche rispondenti a dinamiche sessuali d’ogni ordine e grado, combattere giustamente per il diritto a non essere discriminati in termini economici, professionali e civili per ognuna delle identità psicologiche assunte e interpretate ima ciò non sposta di una virgola il fatto che i sessi sono due.
Di fronte al fondamentalista che ti obietta che poiché la biologia è questa ALLORA anche l’organizzazione sociale debba mutuarne le regole non si risponde trasfiugurando la biologia, terreno in cui probabilmente il fondamentalista ha ragione ma scindendo ogni dipendenza da essa nella formulazione e nella liceità dei diritti che costruiamo per noi. Chiaro?
Francesco F.
Sul punto 1., basta che ti procuri il libro su amazon, esiste anche in ebook.
Sul significato di ‘dimostrazione’ la letteratura è sterminata, ma consiglierei un libro breve e chiaro: ‘Per la verità’ di Diego Marconi.
Sul punto 2., stai dicendo delle cose senza senso, è chiaro che non conosci il problema. Non me la sento nemmeno di intervenire e spiegare, c’è un limite a tutto.
Ripropongo le mie domande:
Perché si ritiene legittima la critica del femminismo senza averne una elementare conoscenza?
Perché questo atteggiamento è così spesso riconducibile a individui di sesso maschile?
Aiuto! che cos’è l’intelligenza? chi la misura? con quali strumenti e a quali fini? Chi misura l’intellingenza dei misuratori di intelligenza?
Spero che appaia il fantasma di Steven Jay Gould ad aiutarci. Altro che Scienza!
Certo, se si sta dalla parte degli “avvantaggiati” è molto più facile e rassicurante pensare che le cose stanno così per un qualche dato di natura immodificabile (dopo di che possiamo “concedere” uguali diritti, perché siamo magnanimi) piuttosto che per ragioni storiche, sociali ecc, che possono anche cambiare per effetto di molti fattori (compresa l’azione degli “svantaggiati”). D’altra parte da secoli ci s’arrabatta a dimostrare che i poveri sono pigri, i negri stupidi, i gialli infidi, le donne irrazionali, gli omosessuali pazzi… Nessuna di queste ‘dimostrazioni scientifiche’, per quanto mi è dato sapere, ha retto al vaglio della Scienza.
paola
@Barbieri
Mi pare che lei stia rispondendo con sufficienza e snobismo, come se le sue verità cadessero da cielo e fossero pacifiche. Che stia dicendo cosa senza senso lo vada a dire a sua sorella. Spero che Loredana Lipperini sanzioni queste aggressività integraliste.
Potrei risponderle che lei continua a fare cherry picking (si è chiesto forse chi sia mai Fausto-Sterling nella comunità dei biologi? chi la conosce?) con un’autrice che, leggendo il suo abstract del suo The Five sexes, “dimostra” già la sua incompetenza. Conteggiare come 5 sessi distinti nella specie h.s.s il maschile, il femminile e i tre ermafroditismi fa ridere alle orecchie di un biologo e fa scuotere la testa sull’autorevolezza di queste argomentazioni.
Vengo alle sue domande:
“Perché si ritiene legittima la critica del femminismo senza averne una elementare conoscenza?”
Semplicemente perché non si può pretendere che una persona che legge, con interesse positivo, posizioni femministe debba leggerle tutte. Il femminimso fino a prova contraria non è una professione e non è un’accademia: è un discorso che dovrebbe essere rivolto a tutti e tutte, sopratutto nella quotidianità e non nelle biblioteche. Ben venga un’autrice/autore che parla di gaussiane. A patto che ne faccia buon uso. Leggerò il testo che mi ha consigliato. Ardo dalla curiosità di capire come si dimostrerebe l’inconsistenza della gaussiana. Ad ogni modo può tentare lei un breve riassunto; sono certo che non tradirebbe il pensiero dell’autrice.
“Perché questo atteggiamento è così spesso riconducibile a individui di sesso maschile?”
Questo discorso è un pregiudizio bello e buono. O non l’ha notato? Fa specie inoltre che un professatore delle infinite identità di genere mi obietti un’illazione così velenosa usando ancora una volta le due categorie binarie che a parole, e quando si filosofeggia, non dovrebbero esistere.