Parlare del caso ISBN, per quanto mi riguarda, non vuole essere il contributo alla polemica della settimana: polemica, preciso subito, sacrosanta. La storia è semplicissima quanto ben nota negli ambienti degli addetti ai lavori: una casa editrice medio piccola, che ha pubblicato molti buoni testi di autori italiani e stranieri, resta impigliata nella spirale non solo della crisi economica ma di un sistema editoriale che per anni ha creduto di sfangarla (per esempio con la pratica delle rese), e che infine si sta sgretolando. Quindi, ISBN non paga gli autori e i traduttori. Un tweet dello scrittore inglese Hari Kunzru scoperchia un passato di reiterate inadempienze, come ricostruisce Christian Raimo su Minima&Moralia. Massimo Coppola, direttore editoriale di ISBN, risponde sul sito della casa editrice. I lavoratori non pagati rispondono a loro volta.
Questa la cronaca, il più secca e sintetica possibile, da approfondire attraverso i link. Aggiungo un paio di considerazioni di certo ovvie: non esiste giustificazione alcuna per la mancata retribuzione di chi presta la propria opera sia come autore sia come traduttore sia come consulente. Se si ritiene di non essere in grado di onorare gli impegni, bisogna essere chiarissimi e tempestivi, non reagire tardivamente e attaccando “i social”. Che, certo, non sono un pranzo di gala, per parafrasare quanto scrive Coppola (che usa la metafora a proposito dell’editoria indipendente, in verità): ma che non fanno che amplificare la realtà, almeno in questo caso. E la realtà è che ci sono persone che hanno lavorato e non sono state pagate. Punto. Non avviene solo nel caso di ISBN, evidentemente: sta accadendo sempre più spesso, e i lavoratori hanno perfettamente ragione a protestare.
Però c’è un punto che mi sta a cuore. Ieri, scorrendo le varie reazioni sul web a questa vicenda (che, certo, andava discussa al Salone, come sostiene Christian Raimo, così come andava discussa la ormai imminente fusione Mondadori-Rizzoli e come andavano discusse molte altre cose che riguardano editoria e lavoratori dell’editoria), ho trovato una frase, non ricordo più di chi, che con l’assai praticato sarcasmo diceva che, insomma, questi scrittori e traduttori erano un po’ polli perché con i piccoli editori è meglio non avere a che fare.
Questo è il punto che mi sta a cuore. Perché, al contrario, ritengo che anche chi pubblica presso editori medio-grandi debba, per alcuni suoi testi, scegliere un piccolo editore in cui crede. Facendo patti molto chiari: si chiede un anticipo infinitamente più basso (ma si chiede, perché questo è un lavoro, e non un passatempo) entro una data che va rispettata. Ma è indispensabile investire nella piccola editoria e contribuire come si può. Che nella discussione, giustamente accesa, di questi giorni, si faccia largo l’ipotesi che solo il grande editore è garanzia (balle: ho amiche che si sono viste polverizzare il contratto a poche settimane dall’uscita del libro), è faccenda ingiusta e pericolosa. Non tutta la piccola e media editoria sopravvive a spese del tempo e della fatica altrui, e non sempre. E, con i tempi che si prospettano, va difesa, e supportata al massimo.
Brava. Esattamente. Perché altrimenti, di buoni libri ce ne saranno sempre meno.
“…ma di un sistema editoriale che per anni ha creduto di sfangarla, e che infine si sta sgretolando”
Il sistema editoriale è solo uno dei tanti sistemi a sgretolarsi. Non interessa a nessuno in realtà, in primis ai presidenti e ai dirigenti delle case editrici. Non si esce da una crisi con le stesse scarpe (e passi) con cui ci si è ficcati dentro…