BATTUTE

Kurt Vonnegut. Anno 2005.
Da bambino ero il membro più giovane della mia famiglia, e il figlio più piccolo è sempre quello che fa il buffone, perché solo grazie alle buffonate riesce a inserirsi nei discorsi dei grandi. Mia sorella aveva cinque anni più di me, mio fratello nove, e i miei genitori erano dotati entrambi di una bella parlantina. Perciò, quando ero molto piccolo e cenavamo insieme, a tutte queste persone io risultavo noioso. Non volevano sentirsi raccontare le sciocche novità infantili delle mie giornate. Volevano parlare delle cose veramente importanti che gli erano successe al liceo, o magari all’ università o al lavoro. E allora l’ unico modo che avevo per entrare nel discorso era dire qualcosa che li facesse ridere. Mi sa che le prime volte devo averlo fatto per caso: per caso devo essermene uscito con un gioco di parole che li ha lasciati a bocca aperta, o qualcosa del genere. E poi ho scoperto che le battute erano un ottimo mezzo per infilarsi in una conversazione fra adulti.
Sono cresciuto in un’ epoca in cui, in America, esisteva una comicità di altissimo livello: cioè durante la Grande Depressione. Alla radio c’ erano un’ infinità di comici assolutamente formidabili. E anche senza volerlo, io li studiavo. Per tutta la mia infanzia ho ascoltato varietà radiofonici almeno un’ ora ogni sera, e mi interessava sempre di più capire com’ erano fatte le battute e come funzionavano. Quando voglio far ridere, cerco sempre di non risultare offensivo. Credo che ben poco di quello che ho scritto sia roba veramente di pessimo gusto. Credo di non aver scandalizzato o sconvolto molta gente. Gli unici espedienti a effetto che uso sono, di tanto in tanto, le parolacce. Certe cose non fanno ridere. Non riesco a immaginare un libro o uno sketch comico su Auschwitz, per esempio. Così come non sono in grado di fare battute sulla morte di John Fitzgerald Kennedy o di Martin Luther King. Per il resto, non mi viene in mente nessun altro tema che preferirei evitare, sul quale non avrei nulla da dire. Le catastrofi totali sono decisamente divertenti, come ci ha dimostrato Voltaire.
Ecco: può far ridere perfino il terremoto di Lisbona. Io ho assistito alla distruzione di Dresda. Ho visto la città com’ era prima e poi sono uscito dal rifugio antiaereo e l’ ho vista com’ era dopo, e indubbiamente una delle reazioni è stata la risata. Lo sa Dio se la risata non è un modo in cui l’ anima cerca un po’ di sollievo. Qualunque argomento può essere fonte di risate, e immagino che si sentissero risate particolarmente spettrali perfino tra le vittime di Auschwitz. L’ umorismo è una reazione quasi fisiologica alla paura. Freud sosteneva che è una reazione alla frustrazione: una delle tante. I cani, diceva, quando non riescono a uscire da un cancello, cominciano a raspare e a scavare per terra e a fare movimenti senza senso, ringhi e quant’ altro: è il loro modo di affrontare la frustrazione, la sorpresa o la paura. E in effetti spessissimo il riso viene provocato dalla paura.
Anni fa ho lavorato per un programma comico della televisione. Cercavamo di creare una serie in cui, come regola di base, in ogni episodio si nominasse la morte: un ingrediente che avrebbe aggiunto intensità a ogni tipo di risata, senza che gli spettatori si rendessero conto di che trucco usavamo per farli sbellicare così tanto. C’ è anche un riso superficiale. Bob Hope, per esempio, non era un vero umorista. Era un comico con del materiale molto esile, che non tirava mai in ballo nulla di scottante. Invece Stanlio e Ollio mi facevano piegare in due dalle risate. Nelle loro storie, per qualche motivo, c’ è un che di tremendamente tragico. I due protagonisti sono troppo buoni per sopravvivere in questo mondo, e si trovano sempre in gravissimo pericolo. Potrebbero finire ammazzati da un momento all’ altro. Anche le battute più semplici si basano su leggere fitte di paura, per esempio la domanda: «Che cos’ è quella roba bianca nella cacca di uccello?» L’ interlocutore, come se lo stessero interrogando a scuola, là per là ha paura di dire una fesseria. Quando poi sente la risposta, ovvero: «è cacca di uccello pure quella», neutralizza con una risata quell’ istintivo senso di paura. Dopotutto, non lo stavano interrogando. «Perché i pompieri portano le bretelle rosse? Per tener su i pantaloni» e «Perché hanno seppellito George Washington sul fianco di una collina? Perché era morto». E così via.
E’ vero, però, che esistono anche battute a cui non si può ridere, quello che Freud chiamava “umorismo da forca”. Ci sono situazioni della vita reale così disperate che non è concepibile nessun tipo di sollievo. A Dresda, mentre eravamo sotto i bombardamenti, seduti in una cantina a ripararci la testa con le braccia nel caso che crollasse il soffitto, un soldato disse, col tono di una duchessa nel suo palazzo in una notte fredda di pioggia: «Chissà come fa stasera la povera gente». Nessuno rise, ma fummo tutti contenti che avesse fatto quella battuta. Se non altro eravamo ancora vivi! E lui ce l’ aveva dimostrato.

12 pensieri su “BATTUTE

  1. quindi stiamo in un punto imprecisato nella storia che congiunge Auschwitz a Dresda.Forse al Cern potrebbero fornirci lumi in proposito.Per adesso mi preme che qualcuno faccia i rilievi del caso.Dal punto di vista dell’esperienza personale provo a fornire una traccia.Avendo scortato negli anni mio padre in ospedale non posso non notare che recentemente il numero di morti avvenuto in corsia sia sensibilmente aumentato.Qualora la cosa fosse collegata con i tagli previsti nei combinati disposti non si potrebbe non dire che i manager della sanità italiana si siano resi protagonisti di un ottima performance(“ok,qualcuno mi dica che la faccenda è tutto uno scherzo e andiamo a berci qualcosa da qualche parte”)
    http://www.mp3arena.narod.ru/muzon/Travis_-_Sing.mp3

  2. Molto molto bello. Diciamo che il discrimine fortissimo nell’umorismo è dove si colloca l’anima dell’umorista anche se solo spiritualmente: se sotto il tetto che può crollare o al caldo di quello lontano dal bombardamento. Io sono molto sensibile a questa differenza: non è necessario che l’anima sia come dire sempre concretamente sotto il tetto. Tuttavia fare del buon umorismo fuori dal tetto – per esempio ricorrere all’umorismo ebraico non essendo ebrei – implica una finezza d’animo che è di pochi. I migliori rispettano alla fine i tetti pericolanti e si attengono al proprio.

  3. Lenny Bruce una battuta sulla morte di Kennedy la fece, il presidente era stato ucciso una settimana fa e pare che durante una sua serata in un nightclub di New York Bruce abbia esclamato “Povero Meader!”. Vaughn Meader era un comico molto famoso all’epoca grazie alla sua imitazione di JFK, Bruce tra l’altro fu profetico: dopo la morte del suo “cavallo di battaglia” la carriera di Meader non si riprese più.

  4. Si può suscitare del riso su tutto, non credo esistano argomenti tabù. L’importante, come sempre, è il modo.
    Il grande comico per me è quello che riesce a far ridere senza aver bisogno di calpestare la dignità delle persone.

  5. Suggestivo ma io resterei nell’ora e qui quando Vonnegut scrive:”L’ umorismo è una reazione quasi fisiologica alla paura. Freud sosteneva che è una reazione alla frustrazione: una delle tante”. Temo ci riguardi come paese e come comportamenti. E uno ci attacca un ridere per non piangere per andare avanti. Faticosamente.

  6. Le battute sono state fatte su tutto,quello che non capisco è perchè si possa ridere di Dresda o di Lisbona e non di Auschwitz (che è una catastrofe totale,cme quella appunto di Lisbona),o della morte di Kennedy e Luther King.
    Dopo però aggiunde:”Qualunque argomento può essere fonte di risate, e immagino che si sentissero risate particolarmente spettrali perfino tra le vittime di Auschwitz”.
    E ancora: “E’ vero, però, che esistono anche battute a cui non si può ridere, quello che Freud chiamava “umorismo da forca”.
    Infine: “un soldato disse, col tono di una duchessa nel suo palazzo in una notte fredda di pioggia: «Chissà come fa stasera la povera gente». Nessuno rise, ma fummo tutti contenti che avesse fatto quella battuta. Se non altro eravamo ancora vivi! E lui ce l’ aveva dimostrato.
    Non è che c’è qualche contraddizione?

  7. @Miskin
    No, non ci sono contraddizioni. Vonnegut ci dice che si può ridere solo se fai parte di quella tragedia. Mentre non si può ridere di una tragedia altrui.

  8. è un po’ il discorso di zauberei: sotto a quale tetto stai fa differenza,
    immagino. E’ la differenza tra Woody Allen, che si mette sempre fra quelli di cui ride, e Bill Hicks, che se la prende con tutti gli altri. Eppure, anche Hicks è un grande, in tutta la sua ferocia. Non saprei proprio come venirne a capo, dovendo scegliere.

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