BENIAMINO PLACIDO E DON DINERO, PODEROSO CABALLERO

Tempo di riletture. Memorabilia numero due. Beniamino Placido su Berlusconi, 13 novembre 1991.
Ogni  estate Silvio Berlusconi passa un mese di vacanza in un posto completamente isolato, fuori dal mondo, con pochi fidatissimi amici (in prima linea: Fedele Confalonieri). Niente familiari, niente conoscenti di passaggio, niente inutili sfacchinate in montagna o defatiganti immersioni subacquee. Solo letture. E che letture: un anno i Vangeli. Un anno il Simposio di Platone. Questa è la leggenda. Se la leggenda è vera (e lo è, certamente) allora si tratta di bellissime vacanze. Invidiabili. Se la leggenda è vera, allora posso permettermi di suggerire a Berlusconi ed ai suoi amici il libro da leggere nel prossimo agosto. Ma sentite che impertinenza. Ma come mi permetto? Mi permetto perché è da quelle letture estive che dipende, discende l’ errore che il Presidente della Fininvest (e del Milan, e di molte altre cose) può commettere. Quest’ anno, per esempio. Comprando a peso d’ oro quel Gianni Boncompagni, strappato alla Rai-Tv, che gli ha fatto poi il capolavoro di “Primadonna”: la strombazzata, ma fallimentare trasmissione di Italia 1 con Eva Robin’ s, che ha dovuto chiudere i battenti. Per scarso rendimento. Va bene Platone, i Vangeli vanno benissimo, ma Silvio Berlusconi e i suoi amici mettano nella valigia sin d’ ora, per la prossima estate, un libro di Nietzsche. Vediamo perché. L’ acquisto oneroso di Gianni Boncompagni, personaggio che ha voluto rendersi antipatico – e ci è riuscito – con le sue dichiarazioni ispirate a tracotante cinismo: il pubblico vuole quelle stupidaggini, io gliele do, è l’ ultimo episodio di una campagna acquisti scatenata qualche anno fa. Proprio da Berlusconi. Con una curiosa predilezione per la lettera B: Boncompagni, Baudo, Bonaccorti. Forse perché è la lettera iniziale del suo cognome. Forse perché voleva espugnare il parco presentatori della Rai-Tv un pezzo alla volta, seguendo l’ ordine alfabetico (subito dopo si passò alla lettera C: venne l’ acquisto della Carrà). Non è andata bene. Baudo e la Carrà sono tornati in Rai-Tv, la Bonaccorti vivacchia. E Boncompagni, pagato non si sa quanti miliardi, ha provocato il disastro di “Primadonna”.
Per un momento (per un momento soltanto) Silvio Berlusconi, che è uomo di straordinario talento imprenditoriale, da tutti ammirato, ci è apparso nelle vesti di Don Dinero. Il cavaliere seicentesco e spendaccione della Letteratura spagnola che soffre di eccessiva fiducia nel denaro: “Poderoso Caballero/Es Don Dinero”. Dunque leggiamo Nietzsche, insieme al cavalier Berlusconi ed ai suoi amici, la prossima estate. La prossima campagna acquisti. Perché in Nietzsche si trova un prezioso accenno al valore delle cose. E’ un problemaccio. Non meno arduo del filosofico problema del “meaning”, del significato. Dov’ è il significato di un’ opera d’ arte? Nella mente dell’ autore? Nella struttura del testo? Nella testa del lettore? Non si sa. E in che cosa risiede il valore di una cosa? Nel lavoro che si è impegnato a produrla, diceva Marx. Non funziona. Posso lavorare dodici giorni a costruire una cannuccia per il latte caldo, ma nessuno me la compra. Nella scarsità? Nemmeno. Un cavallo orbo di un occhio è un oggetto raro, ma nessuno lo compra. Nell’ utilità, allora? Certo, nell’ utilità. Un rudimentale coltello a serramanico trovato dai naufraghi su un’ isola deserta ha un valore altissimo. Perché utile, indispensabile. Già, ma che cosa accade quando interviene la pubblicità, ed aggiunge un valore aggiunto – spesso illusorio – agli oggetti? Un arduo problema filosofico. Reso ancora più complicato dalle nostre perversioni mentali. Noi siamo difatti capaci di illuderci di assegnare un valore alle cose – proprio noi – pagandole molto. Per il solo fatto di pagarle molto. Come fanno le signore di provincia quando vanno a far le spese in città. Non sono contente se non hanno acquistato una gonna costosissima, nel centro di Roma o di Milano. La stessa gonna che avrebbero potuto comprare a metà prezzo, nel negozietto sotto casa. Ma allora non avrebbe avuto lo stesso “valore”. Si ha il fondato sospetto  che la stessa cosa sia accaduta a Don Dinero Berlusconi nei suoi recenti, clamorosi acquisti televisivi. Non era certo che Boncompagni valesse tanto, l’ estate scorsa, quand’ era ancora alla Rai-Tv. Lo pensava lui. Con i suoi familiari. Ma c’ era da dubitarne. Forse ne dubitava lo stesso Berlusconi. Che, per rassicurarsi, operò quella viziosa inversione di discorso. Se lo pago molto, vuol dire che vale molto. Fuori i miliardi. Per portare a casa la primadonna Boncompagni. Che poi gli combina “Primadonna”. Eppure Nietzsche l’ aveva già capito, più di un secolo fa: “Il valore di una cosa consiste talvolta non nella sua utilità, ma nel prezzo che si paga per acquistarla: in quello che ci costa”. E dove la scrive Federico Nietzsche, nell’ anno 1889, questa illuminante frase? Ma nel “Crepuscolo degli idoli”, naturalmente.

5 pensieri su “BENIAMINO PLACIDO E DON DINERO, PODEROSO CABALLERO

  1. Altra nota a margine, dato che siamo in vacanza: ehm, la battuta sulla cannuccia è molto carina, ma trascura il concetto di utilità sociale, che non può essere disgiunta dal tempo di lavoro: il plus-valore, o valore aggiunto, o valore lavoro è, sì, corrispondente al tempo di lavoro, ma a parità di utilità sociale. Faccio un esempio: se io mi metto a confezionare un abito, ci metto 35 ore e mi viene fuori una schifezza, ciò è perché l’utilità sociale del mio lavoro, e del tempo corrispondente, non è pari a quella del lavoro di una sarta professionista che ci mette, poniamo, 8 ore, e realizza un prodotto perfetto. Il metro del plusvalore è il tempo di lavoro della sarta professionista, non il mio!

  2. Ruskin scrisse che sono sette le “lampade” per indicare il valore di un’opera architettonica. Queste lampade si possono estendere anche alle altre arti.
    Nel ventesimo secolo se n’è aggiunta un’ottava: la domanda di mercato, dove rientra la resa finanziaria, legata pure al valore simbolico della compagnia di costruzione. O della Casa di pubblicazione.
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    La pubblicità come leva per creare valori aggiunti qualche volta non riflette la bontà del prodotto commercializzato: è una cosa acquisita, almeno qui, tra lettori forti con una forte coscienza critica, ma mi chiedo se esista uno studio percentuale sugli oggetti che una media famiglia italiana possiede e se in questo studio siano differenziati gli oggetti acquistati più per il valore simbolico che per il valore dell’utilità pratica legata al bisogno della famiglia.
    Forse si scoprirebbe che le Sirene non hanno valore soltanto nella mitologia, e comunque il valore simbolico di un oggetto non è da disprezzare: esprime la cultura della persona che lo ha acquistato. Perciò si potrebbe risalire, in parte, alla cultura delle famiglie medie attraverso la cernita degli oggetti che acquistano.

    Può darsi che una Sirena si rivelò essere, in quel momento, Boncompagni per Berlusconi, come si suggeriva nell’articolo, ma può anche darsi che Berlusconi avesse visto giusto dato il successo che ebbe con Non è la Rai. Credo che si ragionasse in termini di ritorno economico, che è l’ottava lampada. Ma soltanto questa insieme, credo, al Sacrificio e alla Potenza.

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