Nelle giornate un po’ storte, e aprile è per sempre il più crudele eccetera, avviene che si aggiungano alle cose storte altre cose storte, quindi il post non sarà proprio allegro.
Da ieri sera, costernata per centinaia di cose, dal pestaggio dei manifestanti milanesi (anche da parte del poliziotto con bomber che inneggia ai neonazisti polacchi) alla modifica costituzionale in Ungheria che infine porta alla negazione delle manifestazioni Lgbtq+, e ovviamente si può andare avanti e avanti, perché non ci mancano e non ci mancheranno le notizie che ci mozzano il fiato e ci fanno chiedere cosa succederà, anzi, cosa sta succedendo già.
Giusto, questa forse vi manca: l’amministrazione Trump ha congelato oltre due miliardi di sovvenzioni ad Harvard, perché l’università, prima fra gli altri atenei, si è rifiutata di aderire alle richieste del governo. Ovvero, “ridurre il potere di studenti e docenti ; segnalare immediatamente alle autorità federali gli studenti stranieri che commettono violazioni della condotta; e di coinvolgere un soggetto esterno per garantire che ogni dipartimento accademico sia “diversificato da opinioni diverse””.
Tutto quasi noto, certamente. Mi chiedo, come spesso mi accade, cosa possono fare le persone che lavorano con le parole. Raccontarlo, certo: serve a pochissimo, ma almeno potrebbe essere qualcosa di meglio rispetto al lamento sulle persone che vengono alle presentazioni e poi non comprano i libri (si è liberissimi di essere stufi di fare presentazioni, per carità: ma fare di un caso personale un caso generale mi sembra eccessivo), o al trecentocinquantesimo libro sulla propria ava. Capita di essere sconfortate, come me oggi, e di cercare una risonanza, un barlume di interesse, uno sguardo verso il mondo: ci sono, eh, ma non sono così tanti.
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Scrive Selvaggia Lucarelli su Michela Murgia: “Vediamo le lacrime asciutte di quelli che hanno pubblicato sempre la sua foto più brutta, una foto in cui potesse somigliare il più possibile alla megera cattiva, di quelli che sono stati zitti mentre veniva aggredita per le sue idee da folle inferocite, mentre i titolisti facevano il lavoro sporco di alterare e involgarire il suo pensiero”.
Bene, c’è una parabola interessante raccontata da Beniamino Placido nel 1998 che interpreta bene queste consuetudini. Termina con una parola: “Arrangiatevi”.
Quando si gioca in silenzio, o si prova a giocare un altro gioco, non significa che ci si disinteressi, ma che anzi si antepone il bene collettivo al proprio. L’ho detto altre volte, lo riscrivo non casualmente oggi. Perché? Lascio la parola a Beniamino Placido, quando cita “I giusti” di Borges e in particolare “due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi”. E cita anche un pamphlet, “L’arte di tacere”, dell’Abate Dinouart, scritto nel 1771: Dice: “anche nelle lotte politiche, di qualsiasi tipo, il tacere può rivelarsi un’ arma più forte della parola abbondante. Tacendo, rafforzi il controllo su te stesso. Rafforzando la padronanza di te stesso consolidi la tua forza di attrazione sugli altri. Anche il silenzio ha una sua forza espressiva, eloquente. Quando parli invece – tanto più se parli troppo, troppo spesso – la tua presa sul prossimo fuoriesce dalla bocca, si disperde nell’aria con le parole”.
Probabilmente vi annoierò, ma torno sulla letteratura del dolore, o per meglio dire sull’editoria del dolore, perché è comunque la spia di un’esigenza di chi legge, e forse anche di chi non legge. Naturalmente, scrivere significa sempre fare i conti…
Una reazione, fra le molte, mi colpisce. Pubblichi una fotografia antecedente al 2020, una di quelle immagini in cui si sta seduti vicini, dove le mani si sfiorano, dove ci si abbraccia, si tolgono i pelucchi ai maglioni dell’altro o…
E’ il 1990. Già ieri ho guardato indietro, a quel decennio di fine secolo. Ma a proposito di rapporto fra letteratura e realtà non posso non citare Beniamino Placido, che in quell’anno scrive un articolo meraviglioso dove spiega benissimo come…
Ieri sera ho postato su Facebook la foto di un libro, “Cambiare l’acqua ai fiori”, di Valérie Perrin, best-seller incontrastato. L’ho fatto perché intervisterò l’autrice, non a Fahrenheit, poi vi dirò dove e come. Ma l’avrei letto comunque, perché ho…
D’accordo, stiamo tutti cercando strade nuove, o forse strade già percorse per i libri, i discorsi sulla cultura, quelli che al momento negano la presenza fisica. Contributo alla discussione: il solito, amato Beniamino Placido. Era il 7 giugno 1987: certi…
A margine di quel che avviene, si dibatte sui libri che trattano di epidemie, cominciando dal più famoso, “La peste” di Albert Camus, che scala le classifiche. Qualcuno sostiene che è un male, qualcun altro dice guai a scrivere di…
Qualcuno lo avrà forse intuito, ieri pomeriggio, ma c’erano alcune affermazioni del mio ospite con cui ero in profondo disaccordo: il disprezzo per gli scriventi, l’orrore per la parola “storie” e per il verbo “narrare”, l’idea che letteratura ed esercizio…