BIBLIOGRAFIA DISARMATA: ALEX LANGER

Alex Langer (1946-1995). Difficile parlare di lui, il “viaggiatore leggero” della vita. Lentius, profundius, suavius , come diceva. Dopo l’esperienza di Lotta Continua è stato fra i primi a raccontare l’importanza dell’ambientalismo e del pacifismo (che sono connessi, evidentemente). Non era uomo da scelte facili: nel 1994 propose al Parlamento Europeo di costituire un Corpo Civile di Pace Europeo per gestire e  prevenire i conflitti senza l’uso della violenza o delle armi. Poi, nel maggio del 1995, venne la strage di  Tùzla, la granata che uccise 71 ragazze e ragazzi, e qualcosa cambiò in lui. Si sarebbe ucciso dopo poche settimane, all’inizio di luglio.
Il pacifismo di Langer non era un pacifismo teorico o retorico. Nel 1991, a ridosso della crisi irakena, individuò su Azione nonviolenta alcune possibili tappe:

“la crisi irakena (che al momento in cui scrivo queste righe sembra ad un pelo dall’esplosione militare), dimostra che la nonviolenza deve inventare nuovi strumenti, persuasivi ed efficaci, per ridurre il tasso di violenza nel mondo e per risparmiare bagni di sangue (che si chiamino guerra o repressione, che siano internazionali o interni). Ne provo ad indicare tre, di cui mi sembra ci sia bisogno (potendoli qui appena accennare, naturalmente):

1)  sviluppare l’arma dell’informazione e della disarticolazione della compattezza derivante da repressione, disinformazione, censura; perché non “bombardare” le trasmissioni radio e TV con volantini, con documentazione, piuttosto che con armi? (“Radio Free Europe” o “Radio Vaticana” hanno fatto probabilmente di più per la destabilizzazione dei regimi dell’est che non le divisioni della NATO);

2)  costituire e moltiplicare gruppi, alleanze, patti, tavoli inter-etnici, interculturali, inter-religiosi di dialogo e di azione comune, piuttosto che dialogare solo da campo a campo o da blocco a blocco; è l’abbattimento dei muri, o perlomeno lo sforzo di renderli permeabili (vedi l’esperienza interetnica dell’“altro Sudtirolo”!);

3)  chiedere all’ONU di promuovere una sorte di “Fondazione S. Elena” (nome dell’isola in cui alla fine fu esiliato Napoleone, tra gli agi e gli onori, ma reso innocuo), per facilitare ai dittatori ed alle loro sanguinarie corti la possibilità di servirsi di un’uscita di sicurezza prima che ricorrano al bagno di sangue pur di tentare di salvarsi la pelle (Siad Barre, Ceausescu, Marcos, Fidel Castro, il re del Marocco… potrebbero o potevano utilmente beneficiarne piuttosto che giocare il tutto per tutto); la questione di amnistie e indulti per chi è abbastanza lontano e abbastanza vigilato da non poter più far danni, non dovrebbe essere insolubile.

Ho scelto appena tre esempi tra i molti che si potrebbero fare (pensiamo solo alle diverse possibili articolazioni dell’embargo commerciale, sportivo, scientifico, ecc.), perché sono convinto che oggi il settore R&S (ricerca e sviluppo) della nonviolenza debba fare grandi passi avanti e non debba fermarsi solo alle ormai tradizionali risorse della disobbedienza civile”.

Un anno prima, aveva delineato una strategia più ampia:

“Il “pacifismo gridato” (così lo ha chiamato il card. Martini di Milano) esprime la rabbia e la frustrazione di chi sente questa impotenza, ma davvero non sfugge facilmente all’accusa di usare anch’esso pesi e misure diverse, a seconda di chi si tratta di condannare o approvare.

Chi però non rinuncia a considerare la guerra comunque, ed oggi ancor più di ieri e dell’altro ieri, una sconfitta dell’umanità che finisce per provocare mali maggiori di quelli che pretende di curare, non può rassegnarsi ad accettare che ci siano situazioni che solo con la forza bellica si possono risolvere. (…)

Contro la guerra, cambia la vita: le guerre scoppiano “a valle”, quando tutta una infausta concatenazione di soprusi, violenze e fallimenti si è già prodotta e sembra diventata irrimediabile; i popoli, la gente comune, sono poi chiamati a pagare il conto finale senza aver potuto intervenire sulle singole voci che lo hanno via via allungato. Ma dinnanzi al fallimento della politica e della negoziazione, che sfocia nella guerra, bisognerà pur rafforzare gli “anti-corpi” a disposizione di ogni singola persona per prevenire le guerre e per non lasciarsene, comunque, catturare, una volta che sono scoppiate. Se tutto uno stile di vita (consumi, produzioni, trasporti, energia, banche…) nel quale siamo largamente coinvolti, per potersi perpetuare ha bisogno di condizioni assai ingiuste che regolano le relazioni tra i popoli e con la natura, bisognerà dunque intervenire “a monte” e mettere in questione la nostra partecipazione (anche individuale) ad un “ordine” economico, politico, sociale, ecologico e culturale che rende necessarie le guerre che lo sostengono. Se il consenso alla guerra (sotto forma di nazionalismi, razzismi, pregiudizi, stereotipi, ecc.) può con tanta facilità diventare maggioritario – non certo soltanto tra “fondamentalisti islamici”..! – si dovrà intervenire anche qui “a monte” ed allargare una solida base ideale e culturale di disposizione alla pace ed alla convivenza, disintossicando cuori e cervelli. Se è considerato scontato che, una volta scoppiata la guerra, non resta che allinearsi ed arruolarsi (materialmente e culturalmente), bisognerà pur che qualcuno lavori per suscitare e consolidare scelte di “obiezione alla guerra”. Sono dunque tante le forme di azione che si possono scegliere per “cambiare la vita di fronte alla guerra”, nel senso di negarle ogni consenso e sostegno e nel senso di farle mancare – ognuno – almeno un pezzettino di apparente giustificazione”.

Nella commemorazione al Parlamento europeo, in quel drammatico 1995, Adriano Sofri pronunciò parole bellissime. Purtroppo, non divenute realtà:

“Se avessi di fronte a me un uditorio di ragazze e ragazzi, non esiterei a mostrar loro com’è stata bella, com’è stata invidiabilmente ricca di viaggi, di incontri, di conoscenze, di imprese, di lingue parlate e ascoltate, di amore la vita di Alexander. Che stampino pure il suo viso serio e gentile sulle loro magliette. Che vadano incontro agli altri con il suo passo leggero e voglia il cielo che non perdano la speranza.”

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