BIBLIOGRAFIA DISARMATA: IL CISA

CISA (Centro Italiano Sterilizzazione e Aborto), 1973. Vale la pena fare un passo indietro. Fino a quella fila di donne sulle scale che il martedì e il giovedì, molto prima delle 17 in cui era fissato l’appuntamento, si affollavano in via di Torre Argentina 18, sede del Partito radicale e luogo provvisorio dove il CISA ospitava chi voleva interrompere la gravidanza e non aveva altra possibilità a meno di non ricorrere a certi medici chiamati “cucchiai d’oro”. Ovvero, un compenso esagerato e rischi enormi. Facemmo una colletta per una compagna di classe, alle superiori. Per poco non morì.
Scrivo questo non solo per ricordare. Scrivo questo perché si ribadisca che vietando alle donne di abortire, le donne continueranno ad abortire. Anche se venisse, e così non è, garantito un supporto economico, un welfare, quel che vi pare. La maternità è una scelta, non un’imposizione.
Detto questo, il CISA. Fu un movimetno di disobbedienza civile, e dunque nonviolento, anche se qui già immagino i no-choice (ma smetto subito, è stato dato loro fin troppo spazio). Adele Faccio ed Emma Bonino, che ne furono tra le fondatrici, si autodenunciarono. Era il 1975. Adele Faccio dichiarò di aver abortito volontariamente durante un’assemblea del Partito radicale. Venne emesso un mandato di cattura per delitto  “contro l’integrità e la sanità della stirpe”. Venne arrestata con Emma Bonino. Nel carcere di Firenze, protestò perché  al compagno di partito Gianfranco Spadaccia era permesso l’utilizzo della macchina da scrivere e la lettura all’interno del carcere, mentre per lei, in quanto donna, l’unica macchina consentita era quella da cucire.
Qui sotto, la cronaca di Renzo Di Rienzo su L’Espresso del 22 giugno 1975 sull’arresto di Bonino.
E non dimentichiamole, queste cose.

 

“Cuneo. L’ordine impartito da Roma era di evitare l’imbattersi nel latitante di nome Bonino Emma, di professione coordinatrice del Cisa, alias abortista, che presumibilmente si sarebbe aggirata domenica mattina nel comune di Bra nei pressi del seggio elettorale numero sette.

E’ vero che sei mesi or sono, qualcuno dalla Procura di Firenze aveva emesso un mandato di arresto anche contro di lei. Ed è anche vero che alla fine di marzo la polizia s’era precipitata in casa della madre cercandola perfino sotto il letto e nell’armadio. Ma ormai quel mandato era stato collocato fra le pratiche meno urgenti. Strada facendo il rigore con cui giovedì 9 gennaio era cominciata la crociata antiabortista aveva perso mordente. Già due settimane dopo l’arresto del dottor Crociani e del segretario del partito radicale, Gianfranco Spadaccia, era diventato molto più imbarazzante mettere le manette ai polsi di Adele Faccio davanti a migliaia di persone stipate nel teatro Adriano di Roma. Poi, poco alla volta, ci si è resi contro che è stata messa in moto una valanga ormai difficile da fermare e qualcuno ha cominciato a fare un rapido calcolo: ad ogni nuovo arresto migliaia di cittadini rispondono correndo a porre la firma sui registri per il referendum dell’aborto.

Un quarto arresto dunque si voleva evitare ad ogni costo, forse era stato giudicato eccessivo, certamente inopportuno e controproducente.

Sabato 14 giugno Emma Bonino decide invece di consegnarsi alla giustizia proprio nel giorno delle elezioni.

Comincia così la cronaca di una giornata in cui la giustizia è parsa lenta, incerta, quasi consapevole della sproporzione che esiste fra le norme del codice Rocco sulla integrità della stirpe e la coscienza dei cittadini.

Domenica 15, un centinaio di radicali, di femministe, di attivisti del Cisa e dell’Aied si danno appuntamento alle 9.30 in piazza Europa nel comune di Bra, a pochi chilometri da Cuneo. Un quarto d’ora dopo compare in mezzo a loro Emma Bonino, sotto braccio a Adele Faccio e a Marco Pannella.

Intanto sono arrivati anche gli inviati dei grandi giornali del nord e delle agenzie di stampa. Chiedono al presidente del seggio, il professor Francesco Milanesio, di poter assistere alla votazione. Dopo qualche minuto, il brigadiere Ennio Calissi che dirige il servizio d’ordine, riferisce che il presidente acconsente. Una pattuglia dei carabinieri dal fondo della piazza nota l’insolito assembramento davanti al seggio ma s’allontana con una rapidità sorprendente. Mentre si attende l’arrivo dell’avvocato Franco De Cataldo, Emma Bonino racconta ad una stazione radio indipendente di Bra perchè ha improvvisamente deciso di costituirsi. “Per il momento non hanno più bisogno di me”, dice,”c’era da rimettere in piedi la rete di assistenza del Cisa, entrata in crisi dopo l’arresto della Faccio, e questo è stato fatto. Abbiamo messo in funzione cinque centri in Italia, poi abbiamo preso accordi con cliniche jugoslave, svizzere e inglesi per portarvi ad abortire gruppi di donne. E’ perfino strano che in questi quattro mesi di latitanza, nonostante che nelle ultime settimane abbia preso ben poche precauzioni, non mi abbiano arrestato. Ho fatto centinaia di telefonate dal centro Cisa di Milano, in via di Porta Vigentina, il telefono è sotto controllo, eppure non si è presentato nessuno ad esibirmi il mandato di arresto. Sembrava quasi che le autorità se ne fossero dimenticate. Proprio per costringerle ad applicare questa legge anticostituzionale, ho deciso di costituirmi. Spero che il mio arresto serva almeno a raccogliere altre centomila firme per il referendum”.

Nel frattempo arriva l’avvocato De Cataldo con la camicia insanguinata e qualche ammaccatura sulla faccia che s’è procurato in un incidente stradale. Alle 10, Emma Bonino entra nel seggio, accompagnata da fotografi e giornalisti. Consegna il documento di riconoscimento, nessuno muove obiezioni. Le danno le schede e le indicano la cabina per votare. Appena ha finito, il presidente registra in fretta il voto nella speranze di uscire subito di scena. “Presidente, sono colpita da un mandato di arresto, mi consegno a lei”, dice invece Emma Bonino con un filo di voce. Il professor Milanesio concentra la sua attenzione sulla tessera di riconoscimento cercando disperatamente una soluzione, non la trova e le mette fra le mani il documento. “Allora aspetto qui”, aggiunge lei e si mette in un cantuccio dell’aula in attesa che qualcuno si faccia avanti ad amministrare la giustizia. Gli unici rappresentanti dell’ordine ad assistere alla scena sono i vigili urbani, ma decidono di chiamarsi fuori da questa vicenda.

Per qualche minuto non succede niente, fin quando il presidente non ha un’idea geniale per liberarsi di quella incomoda presenza: la invita ad uscire dall’aula per consentire il normale flusso di votanti che s’era interrotto per qualche minuto. Lei esce, e sulla porta viene fermata dal brigadiere Calissi, che nel frattempo deve aver finalmente ricevuto istruzioni. Da quel momento l’Arma riprende in pugno la situazione. Arrivano subito rinforzi, poi la Bonino viene accompagnata in caserma su una pantera, scortata a sua volta da un corteo di auto di militanti radicali e di giornalisti.

In caserma però la verbalizzazione subisce qualche intoppo. La tenenza dei carabinieri è talmente impreparata a questa evenienza che è sprovvista perfino della carta per le formalità di rito. Si è quindi dovuto attendere il ritorno di un collaboratore dell’avvocato De Cataldo che era in corso in una cartoleria ad acquistare un pò di materiale da cancelleria. Intanto De Cataldo annuncia la linea di difesa: ” Ci appelleremo alla sentenza della Corte Costituzionale che ha stabilito la legittimità dell’aborto terapeutico. Dopo quella sentenza l’aborto non è più un reato in moltissimi casi, diventa invece per i medici un diritto-dovere. La Bonino ha prestato soltanto assistenza alle donne che intendevano abortire”.

Verso mezzogiorno viene finalmente trovata anche un’auto di piazza per accompagnare la Bonino al carcere di Cuneo, da dove poi sarà trasferita alle carceri di Firenze. La giornata si chiude con le dichiarazioni rilasciate dal capitano Vittorio Manfredini, per illustrare le successive fasi di questa operazione. A domanda (“per quale ragione si è indugiato tanto ad arrestare la Bonino consentendole di votare”) il capitano risponde: “Non avevamo ricevuto nessuna segnalazione secondo cui la Bonino si sarebbe presentata al seggio elettorale. Se ha potuto votare è perchè il militare addetto al seggio l’ha riconosciuta soltanto quando il suo nome è stato scandito ad alta voce dal presidente. Allora per un’associazione di idee, si è ricordato di un mandato di arresto che ci era stato notificato da Firenze il 21 marzo scorso. Ha chiesto quindi conferma se quel mandato era ancora operante e quando l’ha avuta, ha operato l’arresto”.

Queste le circostanze di un arresto che si voleva ad ogni costo evitare, al punto che se Emma Bonino non avesse insistito si sarebbe perfino preferito omettere l’atto di ufficio”.

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