BIBLIOGRAFIA DISARMATA: OPPENHEIMER E IL DOTTOR MANHATTAN

Robert Oppenheimer (1904-1967). Ma come, proprio lui? Il fisico che fu a capo del progetto Manhattan? Uno dei responsabili della realizzazione della bomba atomica, e dunque della distruzione di Hiroshima e Nagasaki? Sì, perché Oppenheimer ha espresso tutte le contraddizioni possibili in un uomo e uno scienziato. Dopo il test nucleare chiamato Trinity, il 16 luglio 1945, disse:
“Sapevamo che il mondo non sarebbe stato più lo stesso. Alcuni risero, altri piansero, i più rimasero in silenzio. Mi ricordai del verso delle scritture Indù, dal Bhagavadgītā: “Adesso sono diventato Morte, il distruttore dei mondi.” Suppongo lo pensammo tutti, in un modo o nell’altro”.
Poco, potreste dire. Invece poco non è: alla fine della seconda guerra mondiale, Oppenheimer si batté in tutti i modi contro la bomba all’idrogeno. Joseph McCarthy non gradì: nel 1954 un’inchiesta lo accusò di simpatie comuniste e gli venne vietato l’accesso ai segreti atomici.

Disse, Oppenheimer:

“Quando penso che per noi è diventato un fatto ovvio e abituale che le ricerche fondamentali della fisica nucleare siano protette dal più rigoroso segreto, che i nostri laboratori siano pagati da autorità militari e sorvegliati come oggetti bellici; quando penso che cosa sarebbe stato delle idee di Newton e Copernico nelle stesse condizioni, non posso fare a meno di domandarmi se, cedendo i frutti delle nostre ricerche ai militari e senza pensare alle conseguenze, non abbiano per avventura tradito lo spirito della scienza (…) Io non prenderò più parte a progetti di guerra. Abbiamo fatto il lavoro del diavolo e adesso torniamo a quelli che sono i nostri veri compiti”.

Ripensando alla sua storia mi viene sempre in mente un personaggio di Watchmen di Alan Moore, e del film che ne trasse Zack Snyder. E’ il Dottor Manhattan, naturalmente. E ripenso, soprattutto, al suo monologo:

“È luglio 1959. E sono innamorato.  Si chiama Janey Slater. È un fisico, come me. Io ho trent’anni. Ci ha presentati un mio buon amico dell’università, Wally Weaver. È il 12 febbraio 1981. Wally muore di cancro, e ora dicono che ne sono stato io la causa. Quella notte, io e Janey facciamo l’amore per la prima volta. Tra un mese, l’incidente mi aspetta. […] Vado verso il centro di ricerca sui campi intrinseci. Trovo l’orologio. Guardo attraverso il vetro, Wally è bianco in volto. […] Sono terrorizzato. […] È il 12 maggio 1959 quando Wally mi presenta Janey. Lei mi offre una birra. La prima volta che una donna fa qualcosa del genere per me. Mentre mi passa il boccale di birra freddo e appannato… le nostre dita si toccano. […] Provo paura… per l’ultima volta. Si celebra un funerale simbolico. Non c’è niente da seppellire. Janey incornicia l’istantanea, è la sola fotografia che qualcuno abbia di me. Un sistema circolatorio viene visto vicino al recinto perimetrale. Pochi giorni dopo, uno scheletro parzialmente ricoperto di muscoli appare in corridoio, e urla per un istante prima di svanire.
Mi chiamano “Dottor Manhattan”. Spiegano che il nome è stato scelto per l’ovvia associazione di idee che avrebbe suscitato nei nemici dell’America. Mi stanno plasmando in qualcosa di pittoresco, qualcosa di letale. Nel gennaio del 1971 il presidente Nixon mi chiede di intervenire in Vietnam, qualcosa che i suoi predecessori non mi avevano mai chiesto. Una settimana dopo, il conflitto finisce. Molti dei Vietcong vogliono arrendersi a me personalmente. Hollis Mason, un eroe in costume in pensione, scrive un libro, nel quale definisce il mio arrivo “L’alba del supereroe”. Non sono sicuro di capire che cosa significhi. […] È il Natale del 1963. Janey mi dice che ha paura, ed è preoccupata. Dice che sono come un Dio, ora. Le rispondo che non credo che ci sia un Dio: E se c’è, io non sono come lui. Le dico che la voglio ancora. E che la vorrò sempre. Mentre le mento, è il 4 settembre 1970. Sono in una stanza piena di gente mascherata. Una ragazza molto giovane mi guarda e sorride.  È bella. Dopo ogni lungo bacio, lei me ne da uno più piccolo e più gentile sulla labbra… Come una firma. Janey mi accusa di inseguire le ragazzine. Scoppia in un pianto rabbioso, chiedendomi se è perché lei sta invecchiando. È vero. Invecchia palesemente giorno dopo giorno… mentre io resto sempre uguale. Preferisco il silenzio ora: sono stanco di questo mondo, di questa gente, di essere invischiato nel groviglio delle loro vite… Dicono di aver lavorato tanto per costruire il paradiso, per poi scoprire che è popolato di orrori! Forse il mondo non viene creato. Forse niente viene creato! Un orologio senza orologiaio. È troppo tardi. È sempre stato… E sarà sempre… Troppo tardi”.

Ma forse no.

Un pensiero su “BIBLIOGRAFIA DISARMATA: OPPENHEIMER E IL DOTTOR MANHATTAN

  1. Grandissima Loredana che collega Oppenheimer al Dr. Manhattan, evidenziando quella corrente di rifiuto alla militarizzazione che fino a qualche decennio fa era evidente ed esibito con orgoglio, mentre oggi basta per una condanna. Aggiungo che “I become death” è quello che porta scritto sull’elmetto Animal, il personaggio di Full Metal Jacket interpretato da Adam Baldwin.

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