BIBLIOGRAFIA DISARMATA: SOLIDARNOSC (CON LA PARTECIPAZIONE DI FORTINI)

Solidarność (1980). Prima, una premessa, non breve. E’ il 1978. Un insegnante di lettere di Sesto san Giovanni scrive a Franco Fortini, il cognome è Abate. Rompe l’esitazione dovuta alla nota riservatezza di Fortini raccontandogli che insieme ad altri compagni di Cologno vorrebbe pubblicare un bollettino-rivista: “Vogliamo proseguire in questa forma la nostra “militanza” dopo lo sfascio di Democrazia Proletaria in una situazione che è di periferia, di sottocultura e di emarginazione sociale. Ad essa, anche per condizioni materiali, ci sentiamo vincolati. Ma abbiamo maturato anche l’esigenza di sfuggire i toni propagandistici e attivistici di questi ultimi anni e faticosamente ci poniamo quei compiti di riflessione storica e di cura dello scrivere, che abbiamo riletto nel tuo Questioni di frontiera. È compito eccessivamente ambizioso per le nostre scarse energie? È ingenuo pensare che qualche buona indicazione, non generale ma rivolta proprio al nostro progetto concreto, possa venire anche da te?”
E’ il 3 marzo. Fortini gli risponde dieci giorni dopo. Così: “Quanto intendete fare mi pare assolutamente necessario, coi tempi che corrono. Per molti anni non ci sarà altro da fare, con molta pazienza. Il consiglio che vi do è di – scrivere e pubblicare un bollettino destinato ad un pubblico circoscritto che magari non c’è ma che potrebbe/dovrebbe esserci, quello che avete immediatamente intorno e che parla la lingua della schiavitù di massa. – scrivere di questioni concrete, non di teoria politica; meglio, allora, una problematica etica. Essere spietati. – far scrivere ma riscrivere. Nessuna concessione alla immediatezza populista. Scritti brevi, temi e frasi ripetute. – l’ideale è quello di grandissima modestia degli argomenti e grandissima ambizione ( e “distanza”) nel punto di vista, quindi nella scrittura. Voler fare qualcosa di esemplare e di ‘povero’, mettere tutto il lusso nella solidità della scrittura, nella possibilità di usarne modestamente gli elementi che abbiano fatto buona prova. Costringersi alla regolarità formale, alla periodicità rigorosa, alla pulizia. Concludo dicendo che è una vergogna per noi e voi che a dire e a fare quanto sopra si debba provvedere in questo modo preistorico: tra il compagno della (finta) “generazione eroica” (del cazzo) e un gruppo di isolati di Cologno. Aveva proprio ragione Hegel: la sola cosa che si impara dalla storia è che la storia non insegna niente. Vi abbraccio e vi saluto”.

Cosa c’entra con Solidarność? Poco o molto, dipende da chi legge. Grandissima modestia, grandissima ambizione, dice Fortini. Così, mi ricorda quello che avvenne in Polonia, dieci anni dopo il primo sciopero dei lavoratori dei cantieri navali di  Danzica e Gydnia, le cui proteste vennero fermate con le armi, e con la morte di 41 manifestanti. Nell’agosto 1980, un altro sciopero ebbe inizio fra i lavoratori di un altro cantiere navale, sciopero guidato da  Lech Wałęsa, e nonviolento. Durò, si moltiplicò, si ottenne quanto richiesto e venne fondato il primo sindacato legale non comunista. Il resto della storia non spetta a me, non qui.
Ma ricordo genera ricordo, che i giovani attivisti di Extintion Rebellion sanno e rilanciano. Un modo, per i cittadini, di esprimere la loro contrarietà al governo: raccontano infatti che nell’orario in cui le televisione di Stato polacca trasmetteva notiziari propagandistici quei cittadini uscivano per le strade con i loro televisori per “portarli a passeggio” su mezzi di fortuna che andavano dalle carrozzine, ai carrelli del supermercato, alle carriole, per protestare senza incorrere in sanzioni.
Un modo come un altro, che certo è del passato, certo non riguarda l’oggi. “La storia non insegna niente”, scriveva Fortini. Eppure, ricorda all’insegnante, per molti anni non ci sarà altro da fare che scrivere, sommessamente, ostinatamente, quel che si ritiene utile.

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