BLOOM E L'OCEANO

Antonio Monda intervista Harold Bloom per Repubblica. E Bloom dice la sua su Franzen, e anche su Internet, nonché sulla Rowling.
A ottant´anni, Harold Bloom pubblica un libro di critica letteraria che si presenta come una summa della propria opera, e sceglie come titolo L´anatomia dell´influenza. La letteratura come stile di vita, con riferimento evidente a L´angoscia dell´influenza, uno dei suoi testi più importanti scritto 40 anni fa. Il nuovo libro – in uscita negli Stati Uniti all´inizio di maggio (in Italia lo pubblica Rizzoli in autunno) – ha un tono crepuscolare ed estremamente personale, più vicino a un testo di memorie («mi sono innamorato della poesia di Hart Crane nell´estate del 1940, quando stavo per compiere dieci anni») che ad uno di critica, al punto che lo stesso autore lo definisce il proprio “canto del cigno virtuale”.
Bloom parla degli autori che ama come se si trattasse di amici personali, anche nel caso di scrittori del passato, perché dalla loro lettura ha tratto un nutrimento esistenziale. A cominciare da Shakespeare e Whitman, le passioni di sempre sono analizzate con un misto di erudizione e giudizi tranchant, cercando di capire qual è il rapporto tra arte ed esistenza, e come la prima possa aiutare a capire il mistero della seconda. Bloom scrive a lungo di Lucrezio e Leopardi, James e Eliot, Dante e Petrarca, Milton e Marlowe, interrogandosi sul perché l´influenza di alcuni scrittori sia superiore a quella di altri, e ribadendo che le influenze letterarie seguono un percorso labirintico.
«Ritengo che la critica, per come ho sempre tentato di interpretarla, sia in primo luogo letteraria, e con questo intendo personale e passionale. Non si tratta di filosofia, politica o religione: nei casi più alti è una forma di letteratura sapienziale, e quindi una meditazione sulla vita».
Cosa sarebbe stata la sua vita senza la letteratura?
«Sarei morto molto tempo fa, e non voglio che questa appaia come una dichiarazione romantica, ma come qualcosa di molto concreto. Ho superato gli ottant´anni e a cominciare dai sessanta ho avuto una serie di crisi di salute, che si sono accentuate negli ultimi tempi, con un infarto, un´operazione a cuore aperto, una brutta caduta e una misteriosa infezione al ginocchio. Nei lunghi periodi di riabilitazione la mia vera terapia è stata la lettura, in particolare la poesia: l´ho letta, recitata e meditata».
Che valore attribuisce all´insegnamento?
«Insegno da 56 anni e non ho alcuna intenzione di smettere. Lo scambio culturale con gli allievi è un altro elemento fondamentale della mia vita».
Il suo nuovo libro si interroga sul perché alcuni autori abbiano su di noi un ruolo maggiore di altri.
«Il concetto di influenza è ovviamente legato a quello di amore letterario, temperato dalle difese che cerchiamo di porre razionalmente. Le difese variano da poeta a poeta. Ma la presenza dominante dell´amore è vitale per capire la grande letteratura».
Lei torna a parlare ancora una volta di Amleto, partendo dal fatto che molti critici sia sono chiesti se considerarlo protestante o cattolico.
«Credo che in realtà Amleto abbia ben poco a che fare con lo spirito cristiano. La sua sensibilità è certamente più protestante che cattolica, ma nell´intimo è un ermetico e un nichilista, non privo di atteggiamenti umanisti. Il suo ruolo somiglia a quello del Gesù del Vangelo di Marco che è scettico, e continua a chiedere chi sia, a cercare la propria identità, e i suoi discepoli sembrano non capirlo. Sono caratteristiche che ha anche Amleto, anche nei confronti di chi lo circonda».
Lei cita Gertrude Stein, la quale disse che scriveva “per se stessa e per degli stranieri”.
«Rielaboro quel concetto dicendo che parlo a me stesso – cosa che la grande poesia ci insegna a fare – e a tutti quei lettori che in solitudine cercano istintivamente la grande letteratura, disdegnando chi divora autori come la Rowling e si affretta a suicidarsi intellettualmente nel grigio oceano di Internet».
Chi ritiene che siano i grandi scrittori odierni?
«Tra i poeti cito John Ashbery, tra i commediografi Toni Kushner, mentre tra i romanzieri Philip Roth, Thomas Pynchon, Don DeLillo e Cormac McCarthy, che forse ha scritto il libro più bello e importante: Meridiano di sangue è quasi al livello di Moby Dick».
Chi apprezza della nuova generazione?
«Non ce n´è nessuno che mi sembra paragonabile a questi nomi, e non riuscirò mai a capire l´entusiasmo per David Foster Wallace e Jonathan Franzen. Ho finito da poco Freedom e mi sembra Pynchon in versione annacquata».
Nel Ritratto di Dorian Gray, Oscar Wilde concludeva la sua introduzione dicendo che “l´arte è completamente inutile”.
«Intendeva l´opposto e lo diceva con ironia, forse disperata. Per Wilde l´arte è l´unica cosa che conta, ma quello che gli stava a cuore è che non avesse connotati sociali, morali o religiosi».
Nel libro, racconta un divertente incontro tra Proust e Joyce…
«Si incontrarono una sola volta, invitati da una ereditiera americana che voleva creare un cenacolo, mettendo insieme i più importanti artisti del momento. Insieme a loro c´erano anche Picasso e Stravinsky. Ma l´incontro non andò come sperava la signora: Picasso parlò di donne e la conversazione degli altri toccò principalmente argomenti quali l´insonnia e l´asma. Inoltre Proust non conosceva l´opera di Joyce e quest´ultimo aveva letto solo un capitolo della Recherche su sollecitazione del suo allievo Beckett, ma in seguito gli disse che lo trovava letterariamente piuttosto ordinario».
Lei afferma di dover molto, culturalmente, a Robert Penn Warren, ma scrive che molti dei “suoi amici erano miei nemici”.
«Robert Penn Warren era un eccellente poeta a scrittore, ed un uomo meraviglioso. La battuta che cito è relativa all´ostilità dell´ambiente anglosassone che io, ebreo, ho trovato nel mondo accademico negli anni Sessanta. Era fortissima l´influenza di Eliot, che era certamente un grande poeta, ma un antisemita».
Riesce ad apprezzare sinceramente un autore in casi del genere?
«Certo, e ho fatto di questo principio un cardine del mio insegnamento».
Paul Valery ha scritto che nessuna opera di poesia è mai finita, ma solo abbandonata.
«Considero Valery un grandissimo poeta, lo preferisco a Baudelaire e Mallarmé. Credo che abbia avuto su di me un´influenza superiore a quella di Borges. Quello che afferma è una grande verità: ogni autore crea per definire se stesso. E si tratta di una ricerca continua».
Lei afferma che “la poesia occidentale è incurabilmente agonistica”.
«Omero era in competizione con gli autori del passato, ma dopo di lui tutti sono entrati in competizione con lui: Esiodo, Platone, i tragici. La poesia della Bibbia è agonistica in maniera più sottile, ma rimane aperto il conflitto tra autorità e ispirazione. Dante trionfò su Virgilio e il latino medievale, dando all´Occidente l´unico possibile rivale di Shakespeare, il quale aveva dominato su Marlowe… È un po´ sempre stato così e credo che le cose non cambieranno mai».

9 pensieri su “BLOOM E L'OCEANO

  1. C’è una discreta pecca nella presentazione dell’articolo sul giornale: il nome Harold Bloom nella foto, e poi il sottotitolo: “perché non mi piacciono Foster Wallace e Franzen”.
    Sembra il tema principale dell’intervista, in realtà se ne fa appena cenno.
    E soprattutto non viene detto “perché non gli piace Foster Wallace”.
    Semplicemente non capisce l’entusiasmo. Per carità, ci può stare.
    Ma chi ha fatto i titoli non ha reso un buon servizio all’informazione letteraria, di cui – celebrando Bloom – si dovrebbe aver più rispetto.

  2. Gli è che secondo me Forster Wallace è ficherrimo, mentre Frenzen mi pare fighetto. Mi pare che ci sia un abisso di profondità concettuale e di potenzialità tra i due, e mi stupisce che Bloom, che trovo adorabile nella sua paradossale sintesi tra antico acume e corbelleria reazionaria (comunque è superficiale dirlo grandissimo cervello) – insomma nun ci ariva. Mi chiedo in cosa li associ – reagendo alla mitizzazione culturale anzichè ai testi? reagendo alla distanza di linguaggio? Non so – non riesco proprio a vederli sullo stesso piano.

  3. Zauberei, Bloom non sovrappone Frenzen a Wallace, credo che più di noi sappia distinguere il loro linguaggio narrativo. Considera, semplicemente, i due non all’altezza dei migliori; valutazione che condivido pienamente. Qualche dubbio, umilmente, esprimo su Meridiano di sangue che sto rileggendo proprio in questi giorni, non sono convinto che sia il miglior libro di Mc Carthy.

  4. Mai letto Frenzen, quindi mi astengo. Ho passato circa due anni a leggere quasi solo David Foster Wallace intervallato da Cormack McCarthy (ciascuno dei due serviva a interrompere la dipendenza dall’altro), e non capisco come Bloom non capisca l’entusiasmo per DFW. Però c’è posto anche per Bloom, ci mancherebbe.

  5. LIBERTA’ di Franzen è una Rolls Royce senza motore, così come LE CORREZIONI; e di lui non leggerò altro. Foster Wallace è incomparabilmente migliore di Franzen, ma nonostante il mio entusiasmo nei suoi confronti nutro anch’io qualche dubbio sulla sua reale grandezza.
    Mi sembra cioè che in larga parte la sua opera sia, come dire, “gratuita”; non possiede quella “necessità” che posseggono invece le opere migliori di McCarthy o DeLillo o Pynchon (Roth secondo me è su un livello inferiore).
    Credo invece che il romanziere davvero “nuovo” e rivoluzionario sia Bolano, e m’interesserebbe sapere cosa ne pensa Bloom, se lo conosce.
    Così come m’interesserebbe sapere perchè Bloom non cita mai, ma davvero mai fra i romanzieri Robert Musil, lo ignora sia nelle interviste che nei libri, neppure si dà la pena di stroncarlo.

  6. @Zauberei: Foster Wallace è stato, dichiaratamente, uno dei modelli del giovane Franzen, e credo che sia a questo che faceva criptico riferimento Bloom. Detto questo, beati quei tempi in cui Bloom scriveva Il canone occidentale e L’angoscia dell’influenza; oppure, con altro taglio, usava il suo acume paradossale su “Rovinare le sacre verità” e “Il libro di J”. E’ da parecchio che mi dice veramente ma veramente poco, sia come critico (pseudo)militante, sia come critico tout court. I nomi che cita del New Deal americano sono quelli da aggiornamento di Wikipedia, e che Franzen ma anche, per certi versi, Foster Wallace stiano subendo una bolla di marketing da speculazione libraria è un’altra verità sotto gli occhi di tutti (che è poi l’unica cosa su cui Bloom si sofferma, schierandosi in curva ma senza uno straccio di analisi). La contrapposizione “intellettuale/lettore da turris eburnea” vs “lettori della Rowling”, poi… che tristezza. (E, su quest’ultimo punto, quanto è invece assai più incisivo lui: http://www.ew.com/ew/article/0,,20431232_20050689,00.html)

  7. Sembra che ci sia solo l’America, solo da quella parte guardiamo, come poveri provinciali. Sempre Don De Lillo, Roth, Frenzen e compagnia bella. Come mai? A mio parere Coetzee è lo scrittore più profondo di questi ultimi anni, eppure non mi pare che tocchi il cuore e la mente della nostra generazione TQ, quella che più partecipa ai dibattiti in rete. Un saluto.

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