Mi hanno chiesto un articolo sulle Winx, che è uscito ieri, sul Domenicale di Repubblica. Spunto, la partnership fra la Rainbow di Iginio Straffi e la Paramount, nonché l’apertura di un parco a tema, Rainbow Magicland, che si estenderà su una superficie di quasi seicentomila metri quadri a Valmontone, a pochi chilometri da Roma. Ecco il mio intervento.
Le Winx non sono personaggi di una fiaba: sono un prodotto. Vivono, è vero, nei cartoni animati, su un sito (dove dispensano consigli su come si usa la cipria e si stende il fondotinta), su una rivista, al cinema e a teatro: ma la loro forza è altrove. Ovvero, nelle confezioni degli happy meals e degli ovetti di cioccolato da cui spuntano, le lunghe gambe al vento, in forma di action figures. E poi nei videogame, nelle scarpe, felpe, zaini, tostapane, sveglie, asciugacapelli. Persino – come si conviene alle celebrities – sui calendari.
Le Winx sono una parola, e la parola è fashion. Non si chiama forse Fashion Book uno degli innumerevoli libri che insegnano alle piccole donne dai cinque ai dodici anni l´ecologia, l´inglese e il segreto per essere sempre alla moda? Non vengono definiti fashion i siti e i concorsi che si riferiscono alle fatine e gli articoli che si associano al marchio, inclusa la borsa rosa per il bowling che la bambina accorta deve chiedere a Babbo Natale?
Dunque, se ogni eroina raccoglie lo spirito del tempo (e contribuisce a rafforzarlo), le Winx hanno svolto il proprio ruolo con energia maggiore delle compite e solidali sorelle March di Piccole donne, della candida Heidi di Johanna Spyri e persino della sventatissima Barbie che andava a tutte le feste, conosceva almeno dieci modi per annodare un foulard e gestiva meravigliosamente la propria casa. Alle Winx una casa non serve: basta il look. Perché lo straordinario successo di Bloom, Flora, Stella, Aisha, Tecna e Musa si deve, a dispetto di ogni dichiarazione, al loro aspetto.
Quella che le sei creature magiche esportano, infatti, è una certa idea del femminile seduttivo e modaiolo che si assocerebbe all´Italia, terra di donne belle e sorridenti. Italian style con un vago accenno al Giappone, questa la formula: valida per il look, appunto, ma non per la scelta indiscriminata del pubblico, perché i target di manga e anime sono rigidamente differenziati. I bambini giapponesi intorno ai cinque anni guardano Hamtaro (incluso l´episodio dove si raccontava l´omosessualità fra criceti che in Italia è stato censurato) mentre le eroine maggiorate sono riservate ai fratelli e sorelle maggiori.
Le Winx sono invece icone dell´iperfemminilità venerate da bambine dell´asilo che ne ammirano i capelli fluenti, le bocche carnose, la vita strettissima e i fianchi ampi da giovani dee della fecondità. Su tutto, il soffio dello Zeitgeist: autoreggenti, french manicure, cellulare rosa, tutto quello che le rende amate per come sono, non per cosa fanno. Anche perché le loro avventure si limitano a rimescolare elementi preesistenti: la scuola di magia viene da Harry Potter, la sorellanza munita di superpoteri da Sailor Moon (e corre quanto meno parallela a quella delle disneyane Witch). Non è per raccontare una storia che le fatine sono state create, modellandole sulle dive del momento (Britney Spears, Cameron Diaz, Jennifer Lopez, Beyoncé, Pink). È per conquistare l´appetibilissimo mercato delle bambine, fornendo loro la stessa immagine del femminile della televisione adulta.
C´è una frase che riassume bene la filosofia delle sexy-fatine. La pronuncia Stella nel film Il segreto del regno perduto: il credo di Spider-Man, «a un grande potere corrisponde una grande responsabilità», viene ribaltato sostituendo «responsabilità» con «popolarità». Il motto di Pippi Calzelunghe, per intenderci, era: «Chi è forte deve essere buono».
In effetti l’omeopatia ha qualcosa di non pensato prima ma inevitabile dopo. Se si riesce a evitare del tutto – a manetta per cui prima le barbie, e poi le winx e poi tutto quello che è la cultura popolare adesso, e che è spesso e volentieri tremebonda – vuol dire che si mette in scena una sorveglianza di tutti gli ingressi al mondo disponibili per i figli – perchè mica c’è solo la tivvù! – vuol dire che si sindaca sulla relazioni. E vuol dire pure che si scommette poco sull’intelligenza dei figli. Insomma meglio una winx per casa e un artocolo di loredana ben tradotto no? E damoje fiducia a ste creature! Bisogna far passare ai figli questa cosa “tipo Ciccio io mi fido del tuo cervello usalo”, anzichè “Ciccio siccome sei un povero verme dinnanzi alle fauci del mercato una cazzo di pippa (rispetto a me nevvero intellettuale illuminato io cazzo so tutto! Tu come me devi essere) niente, stai con me che ti racconto la vita de Agostino de Ippona e se rotolamo dalle risate”.
@zauberei: lol
ma non posso che darti ragione…. la mia bimba gia’ a 3 anni sapeva tutti i nomi delle winx e chi fossero…. e non aveva mai visto ne’ un cartone ne’ un giornalino…. tutto lo scibile winxiano glielo aveva trasmesso una sua compagna….. del nido….. detto questo mi vien da dire che “l’omeopatia” non e’ facoltativa ma necessaria…. io i cartoni di ste sciamannate li ho visti con lei….. tutti…. ad oltranza….. perche’ devo conoscere il nemico per combatterlo….. gettando i miei semini ad ogni visione….. ed ora del fanciullesco innamoramento e’ rimasta qualche copertina di quaderno….. insieme a qualche quaderno di ben ten perche’ quando quello e’ rimasto in cartoleria quello si compra……. e ringraziando il cielo la mia torna da scuola sporca e coperta di lividi…. sintomo di un’attivita’ motoria ben diversa da quella delle passerelle……
Vorrei chiarire una cosa riguardo alla TV: la scelta di non averla è stata molto sentita. Vivo senza TV da anni e da quando non c’è vivo meglio. A casa dei miei genitori c’è sempre stata e ho detestato con tutte le mie forze le cene con il TG in sottofondo. E’ anche per questo mio vissuto di invadenza televisiva nella mia vita familiare che ho scelto di buttarla fuori dalla mia vita. Il che non significa affatto che io sia fuori dal mondo: Internet, radio, giornali, DVD, cinema e libri a non finire esistono e li facciamo entrare in casa nostra con entusiasmo!
Ma perché devo acquistare una TV per mio figlio? E’ su questo che proprio non sono d’accordo con alcuni commentatori.
@elenaelle: conosco molti educatori e maestri che in fatto di tv sono rimasti agli anni di Pippo Baudo e della Cuccarini. Non per questo non sono al passo con i tempi!
ma a me non sembra che si stia dicendo che se non abbiamo la TV in casa di conseguenza i figli saranno disadattati: mi pare che un po’ tutti stiamo raccontando che grosso modo abbiamo fatto come Binaghi, che ci siamo messi lì con i figli e abbiamo scelto, guardato, commentato, giocato. Anche con quelle storie che non sono entrate in casa per via “diretta”, ma perchè il mondo in cui vivono i nostri figli è fatto anche di quelle cose lì, passate dai compagni, dagli amici, ecc. Stiamo dicendo, per esempio, che fin da piccolissimi l’abitudine di metterci di fianco al loro letto e leggere per loro ne ha fatto dei ragazzini con una capacità di attenzione e di concentrazione parecchio alta; che guardare insieme a loro Pippi Calzelunghe, o Sandokan, o La Freccia Nera (ah sti genitori passatisti e nostalgici della loro propria infanzia!) è stato un modo per attivare dei ponti tra noi e loro, per offrire tempi più distesi, racconti con cui coccolarsi a vicenda e dargli delle storie con cui inventare altre storie. E che a fianco di tutto questo c’è stato anche l’accogliere e il ragionare insieme su cose che arrivano dall’esterno. Sperando in questo modo di attivare un po’ di neuroni, e per quanto mi riguarda sperando di aiutarli ad essere non solo individui equilibrati ma anche cittadini- intendendo con questo individui non solo utili a se stessi, ma consapevoli di far parte del mondo. Cercare di inegnare loro ad usare gli strumenti, non a ignorarli, su questo Binaghi ha perfettamente ragione.
Detto questo, non mi posso però nascondere dietro le buone intenzioni e far finta di non accorgermi che nel mondo i miei figli sono minoranza, e che devono essere parecchio ben corazzati per non sentirsi esclusi; non sto dicendo che sicuramente lo saranno, semplicemente segnalo che saper vivere con la “diversità” (molto tra virgolette) richiede un grande impegno, sperimentato direttamente sulla mia pelle- che non è vero che ah una volta era più facile.
Zaub, ah, bello quando dici: ‘…Tu come me devi essere’. Appunto.
Forse inevitabile, ovvio, e infatti molti bambini sono o diventano quel che sono i genitori! Nel profondo però, non quello che vorrebbero, si illudono, credono di essere i genitori.
Insomma, la reazione di ElenaElle verso l’overdose di tv, del tutto personale, se non trasportata in pedagogia, è quello che fanno in molti. Non vorrei però che si credesse che il messaggio è ‘ritengo la tv diseducativa’, perchè invece forse il messaggio è (anche) ‘posso, e quindi ti impongo quello in cui credo io’. Basta saperlo.
@paola signorino, hai ragione, anche binaghi ha ragione. Non so quanto sia giusto preoccuparsi dell’esclusione e della diversità: spesso la forza viene dal fatto che semplicemente non si può essere diversi da quel che si è, da quel che ci è stato trasmesso. Almeno se ci sono stati dati anche gli strumenti per metabolizzarlo!
@paola signorino e Paola Di Giulio Non rinnego nulla nell’aver insegnato e nel continuare a cercare di trasmettere, anche con l’esempio dei genitori, oltre che con il dialogo, l’indipendenza di pensiero e il lavoro di essere cittadini a figlio e figlie. Certo abbiamo sofferto, come quando, appena arrivati in Italia in terza elementare, nostro figlio è stato fatto oggetto di atti di bullismo perché si è rifiutato di farsi ‘integrare’ prendendo a calci in pancia le bambine che andavano in bagno (in una “buona” scuola). Naturalmente non si è creata un’alleanza degli altri bambini con lui, e il maestro, quando gli ho spiegato che il bambino non prendeva bene che gli si dicesse “Yankee tornatene a casa”, mi ha risposto che l’America è un posto bellissimo, non c’era da offendersi. Dopo una spiegazione sul fatto che non lo trovavo diverso dal dirgli di tornarsene in qualunque altro paese dal quale potesse provenire, abbiamo cambiato scuola, ma potrei raccontare tante storie sull’essere minoranza e averne coraggio, della bellezza ma anche della difficoltà di quel coraggio. Oggi lo vedo forte, sicuro, intelligente e tiro un respiro di sollievo, perché molte volte ho temuto che la solitudine lo schiacciasse. Nel suo caso, la mancanza dell’omeopatia del crescere in Italia, in mezzo agli stimoli anche negativi che influenzano molti altri, credo possa addirittura essere stato un punto di debolezza. Le figlie stanno facendo meno fatica di quella che ho visto fare a lui.
Preciso: tutto questo non per dire viva le Winx, per carità, ma per dire che il male che certi modelli fanno alla società in cui viviamo è bene che sia effettivamente conosciuto. In qualche modo, credo davvero che aiuti a difendersene. Chiaro, se ci si deve vivere in mezzo.
@Zauberei
Ciccio, anche se hai cinque anni famo finta che ne hai venticinque, ragioniamo democraticamente, confrontiamoci, che se magna stasera, Von Triers ce lo vediamo insieme? E le partite daa Roma?
Mamma di un bambino di prima elem, mi ferma alla fine del post-scuola per chiedermi se il figlio si comporta meglio a scuola: sa l’ho minacciato dicendo che lo mando in collegio (pensavo non esistessero più queste intimidazioni alla Candy-Candy) sono stanca di farmi riprendere da tutti. Alla riunione un papà mi ha detto che mi denuncia se mio figlio tocca ancora una volta sua figlia.. ma cosa devo fare io, lo so che è vivace ma non è cattivo… capisce mi ha proprio minacciato dicendo che se la scuola non risolve il problema lo risolve lui personalmente. tranquillizzo la madre e rifletto: il bambino in questione non è un bambino aggressivo è solo un pò vivace, essendo più grande di corporatura rispetto ai suoi coetanei se ti da per giocare una spintarella ti sposta per un paio di metri. La bambina che è stata “minacciata” più volte è una bambina sua coetanea che se per sbaglio gli tiri un graffio piange due settimane. lui viene a scuola per giocare, correre, sporcarsi di terra, lei viene a scuola con minigonna e scarpetta lucida. Lui gioca con bambini/e vivaci come lui, lei sempre con bambine di 4 anni più grandi. Questo solo per dire che è vero: essere madri di maschi a volte non è per niente facile!
fate Vobis!
il significato delle Winx si riassume in una frase pronunciata da una amichetta di Le Hero (4 anni) mentre mi spiegava il loro mondo: “I bambini giocano coi Gormiti, le bambine sono le Winx”. E a me ha molto consolato, perché, al di là di tutto, mi ricorda una cosa vecchia come il mondo, che abbiamo fatto tutti, e si chiama “make-believe”.
…ma al di là del soggettivo impatto che le Winx possono avere su una bambina (e dire che sia solo una fase e che non lasci impronta sul giudizio e sulla percezione di bellezza mi sembra un po’ riduttivo), è mai possibile che questi veicoli di vendita debbano avere queste forme, queste mosse, questa caratterizzazione minima? Le Winx hanno 20 anni, e non so voi ma io credo siano fin troppo distanti da chi le guarda.
C’è bisogno di proiettare le bambine così avanti? C’è proprio bisogno di dare loro modelli di bellezza irrealizzabile, ragazze che hanno più del doppio dei loro anni? E’ proprio necessario inculcare la moda e il fashion nelle loro anime fin dalla più tenera età?
Uolter – avvertimi quando somministri le onde del destino o Dogville a un bambino di 5 anni che chiamo er telefono azzurro:)
Per il resto – la salubrità dell’articolo di Loredana per me sta nell’infilare senso critico nei genitori – che porranno così degli argini che lo filtreranno nei figli, che ne so anche usando il demonio mercantile per utili negoziazioni (poche winx e conquistate carillo) ma anche per lavorare sulle proposte del mercato. Tutti qui pensiamo che il destinatario sia il genitore – ma il problema è anche un mercato che non riesce a creare nuovi bisogni un tantino più creativi.
L’articolo mi sembra apparentemente equilibrato, ma anche un po’ ambiguo nel finale e troppo morbido nel complesso, visto le posizioni pregresse. Ma forse sono io che lo leggo così, poichè per puro caso conosco parecchie persone che ci hanno lavorato, per codesto Straffi. E forse mi preme in gola la stizza di sapere che quel ‘benefattore’ che sbarca in America non è che uno dei tanti sfruttatori industriali che si prende il merito di dozzine di figure professionali che sfrutta e sottopaga con la perfetta sicumera del padròn. Che poi questo atteggiamento si concretizzi in un “prodotto”, furbo e manipolatore come erano le barbie, fa solo più paura. Ma da quel contesto, e da quel genere di personaggi, che cosa ci si potrebbe aspettare?
M.
In realtà le Winx sono un apprezzabile byproduct dei giochi di ruolo giapponesi: l’idea del team di eroi è vecchia quanto il Signore degli Anelli ma è interpretata in quel modo esteriore, spettacolare e basato su evoluzione di attacchi, mosse segrete, magie sempre più potenti proprio a partire dalla serie Final Fantasy, a cui Winx ammicca abbondantemente, specie al numero 8. Poi, certo, correva parallela con cartoni come Yu degli Spettri, Sailor Moon e oggi Naruto, One Piece, ecc. A parte notare come il tema e l’ambientazione siano decisamente più adatti agli adolescenti, come già i modelli giapponesi di partenza, ci tengo a precisare che i suddetti giochi e anime non disdegnino di dare allo spettatore begli esempi d’umanità, interrogativi e temi interessanti e ovviamente un senso di grandezza, di valore dell’impegno, del sogno, ecc. senza i quali qualunque epica, anche quella più pop, mancherebbe di sostanza perchè abdicherebbe dal suo ruolo: dare un senso alto agli avvenimenti spesso accidentali dell’uomo. Ma Winx lo fa solo in modo superficiale, ricorrendo a trame epiche per lo più di facciata. Ogni tanto in effetti sembra che, persino nella graduale importanza che il privato si è guadagnato anche nelle rappresentazione di cavalieri in armatura e supereroi, qui davvero tutto reggerebbe persino senza il mitico mondo da salvare e fra una festa scolastica e l’altra, una quotidianità e l’altra (cosa che già accadeva in Final Fantasy VIII, secondo me vero stampino del prodotto per quanto non così noto come le Sailor il che è la sua particolarità ma anche il limite che lo rende antiepico e abbastanza terra-terra.) Che questo ripiegamento nel piccolo giardinetto di ciascuno sia anch’esso tristemente italiano? Che preluda addirittura al nichilismo? Non è detto ma potrebbe essere, specie se la stilosità delle nostre eroine predominerà su tutto. Il motto poi è agghiacciante: la società vissuta in modo individualista, il servizio pubblico inteso come successo personale, ovvero come sabotare una qualunque etica in una qualunque comunità che si pensi ancora come tale. Per intenderci, lontano persino dalla logica di “comunità limitata” che avrebbe espresso un semplice inno all’amicizia o all’amore per la propria classe/scuola/villaggio/castello fatato/chipiunehapiùnemetta. Bastava anche, insomma, il vecchio “uno per tutti e tutti per uno”, cento volte declinato anche dagli omologhi giapponesi recenti. Ma neanche quello.
Buongiorno a tutti.
I miei hanno fatto di me una parziale “disadattata”.
Per dirne una, a casa mia Barbie non era la benvenuta, nè potevo iscrivermi al suo fanclub: le mie amichette ricevevano il giornalino con allegati i gadjet (rosa e luccicanti ovviamente), e a casa loro si giocava con barbies di ogni nazionalità dotate di cavalli, guardaroba da urlo, auto, casa con piscina e fidanzato.
Non mi era permesso accendere la tv: potevo seguire solo un paio di cartoni animati e sempre sotto la supervisione di qualcuno. A scuola (le elementari) compagne e compagni chiaccheravano di telefilm come College o I ragazzi della terza C.. Eppure non mi è mancata la compagnia, perchè gli altri bambini si stupivano si, del fatto che non vedessi la tv, ma un minuto dopo si era fuori a rincorrersi o fare palle di fango. A volte si ragiona in termini da adulti sui bambini.
Ho sofferto della mancata condivisione di alcuni interessi? Certo. Mi sono sentita un’aliena? Spesse volte. Ho pianto, fatto un mare di capricci, gridato all’ingiustizia; ho anche minacciato di accoltellarmi perchè non volevano comprarmi i vestiti alla moda per il campeggio (che sciocchina)! La reazione dei miei? Una risata e l’invito a farlo, come tutte le volte che pianificavo le mie fughe di casa alla ricerca dei miei VERI genitori -quelli tanto condiscendenti che meritavo nella mie fantasia -ben consapevoli che di li’ a cinque minuti mi sarei distratta in qualche altra occupazione.
Oggi voglio RINGRAZIARLI di avermi dato altri stimoli, di avermi fatto accostare alla lettura sin da piccolissima, di avermi insegnato a usare il cervello, la fantasia e non aver paura di essere diversa.
Non avrò timore di rendere i miei figli dei “disadattati”, se adattati significa piccoli citrulli bardati a festa con la mente assopita.
My penny.