Filippo Focardi, che sarà a Udine insieme a Chiara Volpato e Igiaba Scego per la tavola rotonda di domenica 8 maggio, ha scritto un libro imprescindibile, Il cattivo tedesco e il bravo italiano. Su Carmilla trovate una bella intervista di Anna Luisa Santinelli da cui traggo l’ultima riposta, qui sotto.
“…non è da trascurare che la contrapposizione fra “cattivi tedeschi” e ”bravi italiani” poggi su alcuni elementi oggettivi di distinzione. Essa si presta dunque a essere rilanciata.
Detto questo, secondo me dobbiamo tenere presenti altri due fattori che spiegano la longevità del mito. Il primo è rappresentato dalla costante vigilanza delle istituzioni italiane, attente a salvaguardare – anche dopo il 1947 – l’immagine positiva del “bravo italiano”. Ricordiamo ad esempio il processo intentato negli anni Cinquanta per vilipendio delle forze armate contro Renzo Renzi e Guido Aristarco accusati (e condannati!) per il progetto di film S’agapò sull’occupazione della Grecia, che metteva in evidenza l’organizzazione da parte italiana di un ramificato sistema di prostituzione. O ancora, ricordiamo che quando nel 1989 la BBC inglese mandò in onda il documentario Fascist Legacy il governo italiano reagì inoltrando immediatamente a Londra una nota diplomatica di protesta. Poi la RAI acquistò il documentario, ne fece una versione in italiano, che si guardò bene però dal trasmettere per ben noti veti politici. In anni più recenti, è emerso poi il problema della consultabilità dei documenti sui crimini italiani depositati presso gli archivi militari (vedi la questione del fondo H-8 presso l’Ufficio storico dello Stato Maggiore dell’Esercito). Solo nel 1996 questo sbarramento difensivo ha mostrato una crepa, quando il ministero della Difesa e quello degli Esteri, sollecitati da Montanelli e Del Boca e da varie interpellanze parlamentari, hanno ammesso – pur in forma reticente – l’impiego di agenti chimici da parte italiana nella guerra d’Etiopia. Negli anni dei governi di centro-destra di Berlusconi naturalmente lo “sbarramento” è stato prontamente ripristinato.
L’altro fattore da prendere in considerazione è l’atteggiamento dell’opinione pubblica internazionale. Mentre nel caso della Germania, giustamente vi è sempre stata dall’esterno un’attenzione e un allarme in presenza di segnali di un ritorno al passato (vedi episodi di antisemitismo), nel caso dell’Italia invece si può constatare un atteggiamento molto diverso, più incline cioè ad assecondare l’autoraffigurazione nazionale dell’italiano “buono”, magari solo un po’ cialtrone. È l’immagine, ad esempio, che prevale nel cinema americano di marca hollywoodiana. Si veda il film Il mandolino del capitano Corelli, interpretato da Nicolas Cage e Penelope Cruz, dove gli italiani a Cefalonia sono raffigurati in maniera stereotipata, tutti appunto “mandolini e maccaroni”. È un po’ anche l’immagine dell’”occupazione allegra” italiana diffusa nell’ ex-Jugoslavia, o degli “italiani, greci… una faccia, una razza”. È vero che se si vanno a scandagliare più a fondo le memorie nazionali, se ne ricava un quadro diverso: seppure la distinzione fra gli italiani e i “cattivi” tedeschi è presente ovunque, non certo unanime risulta infatti il riconoscimento della presunta “bontà” italiana. Non è così in Slovenia, non è così in Montenegro e nemmeno in Grecia, dove il giorno della festa nazionale, che ricorre il 28 ottobre anniversario dell’aggressione di Mussolini, non circolano affatto umori favorevoli al nostro paese. Per non dire dei ricordi dell’occupazione italiana in Etiopia. In generale, tuttavia, è prevalsa fino adesso la raffigurazione benevola di cui si diceva e questo certamente non ha spinto gli italiani ad affrontare il loro passato, come invece hanno fatto i tedeschi, anche perché sollecitati dalla pressione esterna.
Pure in questo caso, si sono visti negli ultimi quindici anni alcuni segnali di cambiamento nell’atteggiamento straniero nei confronti dell’Italia, e ciò dopo la nascita di governi di centro-destra che contavano sull’appoggio di forze provenienti dal neofascismo. Molti giornali europei e statunitensi hanno svolto inchieste sulla persitenza in Italia di legami politico-culturali col passato fascista e denunciato i rischi che questo comporta. Uno dei saggi di maggior successo sul mercato tedesco è stato ad esempio nel 2010 il volume dello storico svizzero Aram Mattioli intitolato «Viva Mussolini!». La guerra della memoria nell’Italia di Berlusconi, Bossi e Fini, pubblicato in italiano da Garzanti l’anno successivo. Si è cominciato cioè a guardare con allarme la mancata resa dei conti dell’Italia col fascismo. Allarme che dall’esterno è risuonato anche in occasione della costruzione del mausoleo a Graziani ad Affile, un comune del Lazio.
Tutto ciò è utile, ma non rappresenta ancora una definitiva inversione di tendenza. Spetterà innanzitutto agli italiani sviluppare una memoria non vittimistica e non reticente, capace di fare i conti con il retaggio del fascismo e dei suoi crimini, una memoria autocritica, una memoria europea, che dovrà essere necessariamente sorretta da una conoscenza della nostra storia molto più approfondita di quanto certi quiz televisivi non abbiano recentemente mostrato”.
A questo proposito – e proprio partendo dalla costruzione del mausoleo ad Affile – mi sento di segnalare il documentario di Valerio Ciriaci, “If Only I Were That Warrior”. Vale la pena vederlo e farlo circolare nelle scuole.
Qui il link: http://ifonlyiwerethatwarrior.com/
Grazie infinite, Loredana, per tutte le riflessioni che innesca…
A proposito: nessuna possibilità di streaming o video per Vicino/Lontano?