CAMERINO LA BELLA, CAMERINO SVANITA: UNA STORIA, UNA PETIZIONE

Cosa ci ha portato fin qui? Cosa abbiamo dimenticato, sul nostro cammino? A quale modello ci siamo piegati? In un tempo non lontano, raccontavo questo:
“La via corre sempre senza fine, ed è incoronata come in tutti i pellegrinaggi da roverelle che fuggono verso la cima del monte, e sono oro rosso e nocciola dorato, ma sotto i monti e le roverelle ci sono finestre senza vetri vuote come orbite, e mattoni che si staccano e vendesi e vendesi e vendesi, e a Valcimarra, fra tutti quei cartelli, c’è solo una presenza, un uomo giovane con una cassetta di legna fra le braccia che esce dalla porta e sgrana gli occhi vedendoci passare, perché qui si guarda sempre all’interno delle macchine in quanto ci si conosce tutti, e se non ci si conosce ci si chiede chi è quella? Perché è qui?
Qui, sulla vecchia Statale 77 già inutile, non passa più nessuno, e dunque vado avanti fino a Bistocco, lascio la centrale elettrica sulla sinistra e seguo l’indicazione per l’Eremo, che si scopre essere un’osteria con le lucine di Natale accese. L’eremo vero dovrebbe essere sulla montagna, magari è quella costruzione di pietra grigia fra le roverelle d’argento. Non c’è nessuno vicino all’osteria, né vicino alle case. Non vedo fumo dai camini, che da queste parti funzionano sempre durante l’inverno. Fino a Campolarzo non incontriamo anima viva, solo una locandina scolorita del Circo Oscar Orfei, e i vecchi cartelli Visitate Camerino Città Ducale che da bambina vedevo sfilare dal sedile posteriore dell’Alfa sud verde bottiglia e poi della 128 color mare di mio padre, chiedendomi perché fosse così importante la parola Ducale e ignorando tutto di Cesare Borgia e del sangue dei Duchi di Varano in cui annegò la città mischiandolo idealmente con quello dei martiri e dei santi e degli eremiti uccisi o spiranti per consunzione e dei cartaginesi in marcia verso Colfiorito, e di chi attraversava la Via in cerca di sibille, di papi, di guerra o di avventura.
Il cartello Visitate Camerino non si rivolge a nessuno, perché nessuno passa di qui. Me ne viene in mente allora un altro, cui ho dato uno sguardo distratto salendo per il corso di Serravalle: era semicoperto da un annuncio funebre e pubblicizzava una sagra del tartufo, proprio a Camerino. All you can eat, tutto quel che puoi mangiare a venti euro. Proprio tutto, le tagliatelle e le bruschette e le uova e l’agnello e il coniglio, tanto non ce la fai a mangiare di più, come il giapponese che hanno aperto a Roma, a via Tiburtina, che mette la maionese nel sushi, ma l’importante non è la qualità di quel che mangi, ma che tu possa avere l’idea che puoi mangiare tutto quello che vuoi. La superstrada ti porta al mare mezz’ora prima: all you can eat, non pensare all’Islanda dove hanno fatto deviare una superstrada per salvaguardare quelle che chiamano le case degli elfi, suscitando l’ilarità dei giornali italiani. Altro che elfi, pensa alle opportunità, immagina le attività commerciali che possono sorgere al posto di quei capannoni vuoti. Pensa a quel che potresti fare, per esempio, a Montelago, dove ora c’è un piccolo ristorante che d’estate è sempre pieno perché i vincisgrassi sono proprio vincisgrassi, e davanti a te c’è un altopiano con tutte le gradazioni di verde e i canneti e le conifere, e pensa a quel che potresti farci. Pensa non a quello che hai davanti e sotto le dita ma a quello che potresti ottenere, la velocità e il successo, e dunque non essere dimenticata, mettiti in primo piano e lascia tutto il resto sullo sfondo, vaffanculo agli elfi, e all you can eat.”
Camerino la bella. Camerino l’antica.
“Quando scrivi di mondi che svaniscono significa che è il tuo che sta svanendo, che quello che hai concepito fin qui non c’è più e d’ora in poi ce ne sarà un altro che non è più quello e se hai vissuto proiettata in avanti, è tempo che tu ti renda conto che adesso devi cominciare a guardare indietro, che l’avanti è per gli altri. E’ bene che tu lo sappia, e va bene metterlo sulla carta per non dimenticartelo e perché quelli che hanno la tua età lo capiscano, e forse lo capiscano anche gli altri. E’ per questo che riprendo a girovagare in quel 1998, questo presagendo, ancora con i bambini nel sedile posteriore nella macchina. Salgo verso Camerino, che è quasi una città perché ha l’università e gli studenti e pure Ugo Betti, pensa, ne ha parlato come di un luogo che “esprime un destino di signoria”, e comunque ci sono i concerti e i campi sportivi e il pub e il mojito, e le pizzerie, e i colori delle case, la pietra rosa viene da Serrapetrona, da Morro viene quella rossastra, da Massaprofoglio, Valcimarra, Campolarzo quella bianca. E qui vennero da Kamars i camerti, che ai romani fornirono seicento guerrieri nella seconda guerra punica. Poi arrivarono gli apostoli, e poi i Longobardi e monaci ed eremiti e santi, infine nel 1259 le truppe imperiali di Manfredi la distrussero.
Manfredi  fece massacrare la maggior parte della popolazione, eccezion fatta per alcuni previdenti che si salvarono fuggendo da un buco nelle mura e portandosi via la cassettina d’argento contenente le reliquie di San Venanzio. Poi arrivarono i Varano, e costruirono case e torri e fossi e sbarramenti e la Rocca e il Palazzo Ducale e anche un monastero dove una figlia Varano divenne la Beata Battista. Ma su Camerino piombò Cesare Borgia, che fece piazza pulita dei Varano su cui riuscì a mettere le mani e fece costruire un’altra Rocca, finché non tornò il superstite Giovanni Maria da Varano e si riprese Camerino, e infine si arriva al terremoto di fine Settecento che distrugge tutto, e naturalmente si ricostruisce e persino si sperimenta la tranvia elettrica, una delle prime, che collega il centro della città con Castelraimondo, ed è addirittura il 1906 ed è straordinaria, la ferrovia con trazione elettrica a corrente continua, e tutto procede gioiosamente, con una sola interruzione dal 1930 al 1935 per un deragliamento che uccide il bigliettaio, fino alla soppressione, l’8 aprile 1956, otto mesi prima della mia nascita, perché il clima era cambiato e c’erano le autolinee. C’erano le strade.”
Camerino svanita.
Nel 2014 questo scrivevo in Questo trenino a molla che si chiama il cuore. Ma Camerino, allora, era in piedi, e nulla faceva presagire l’ammasso di macerie di oggi, la zona rossa spettrale, il silenzio delle strade abbandonate, la new town che sorge più in basso, con gli sbancamenti della collina. Un amico caro, l’architetto Giovanni Marucci, così ha scritto:
“Quella che segue è la più recente delle innumerevoli lettere scritte al Commissario per la ricostruzione, al Presidente della Regione Marche e ad altri amministratori pubblici interessati alla ricostruzione post-sisma.

Adesso che i pochi cittadini rimasti sono sistemati nelle loro ‘casette temporanee-lunga degenza’ costruite a caro prezzo e con insanabili cicatrici inferte sulle pendici della collina, ora che anche le scarse attività produttive superstiti avranno il loro piccolo centro commerciale ‘temporaneo-permanente’, secondo l’italica attitudine ad aggirare i problemi, chi mai penserà alla Città storica!?
È incredibile come legislatori e amministratori di questo strano Paese e della Regione Marche non tengano conto della necessità di salvaguardare l’esistenza di una città plurimillenaria come CAMERINO: per questa città, a due anni dall’evento sismico, soltanto commemorazioni, fiumi di retorica, conferenze, pubbliche assemblee, fumose strategie d’intervento, bizzarri esercizi progettuali, imponenti e costose opere provvisionali … senza che un solo vano sia stato restituito alla sua funzionalità.
Si ponga rimedio a questa insensata distrazione e a questa dolorosa agonia.
Si revochi la ZONA ROSSA; si demolisca ciò che è da demolire; si risani quanto è da risanare ed è gran parte del tessuto urbano, a cominciare dagli edifici pubblici attrattori di interesse: il Polo museale, il Palazzo ducale, il Teatro comunale, il Palazzo della Musica …
Solo intervenendo direttamente nella ricostruzione con procedure opportune, senza interporre ulteriori ostacoli, si potranno arginare i danni procurati dalla negligenza con cui è stata abbandonata a se stessa la città, i suoi monumenti, le vie pubbliche.
Cordialmente, Giovanni Marucci”
Ps. C’è una petizione al presidente della Repubblica, e si può firmare qui.

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