Oh, quanto da dire. Perché a ben vedere ogni cosa, dalle laceranti discussioni di questi giorni (a proposito, su Colonia c’è l’ottimo articolo di Valigia Blu da leggere) fino alle non stupefacenti ma ugualmente terribili aggressioni alla legge sulle unioni civili, potrebbe rientrare nella stessa incapacità di andare oltre e più a fondo, e soprattutto di provare a capire le ragioni altrui. Oh, quanto è banale. E’ vero. Dunque, lascio che a parlare siano due poesie. Molto note: I giusti di Borges e Scavando (traduzione di Franco Buffoni) di Seamus Heaney. Hanno in comune una particolarità: furono lette ai funerali di Beniamino Placido, sei anni fa. E, se ci pensate, non poteva che essere così.
I giusti
di Jorge Luis Borges
Un uomo che coltiva il suo giardino, come voleva Voltaire.
Chi è contento che sulla terra esista la musica.
Chi scopre con piacere un’etimologia.
Due impiegati che in un caffè del Sud giocano in silenzio agli scacchi.
Il ceramista che intuisce un colore e una forma.
Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace.
Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto.
Chi accarezza un animale addormentato.
Chi giustifica o vuole giustificare un male che gli hanno fatto.
Chi è contento che sulla terra ci sia Stevenson.
Chi preferisce che abbiano ragione gli altri.
Tali persone, che si ignorano, stanno salvando il mondo.
Scavando
di Seamus Heaney
Tra l’indice e il pollice riposa
La mia penna tozza e comoda come una pistola.
Sotto la finestra il suono netto e stridulo
Della vanga che affonda nella terra ghiaiosa:
Mio padre, che scava. E guardo giù
Finché la schiena gli si abbassa fra le aiuole
E torna su come vent’anni di prima
Piegandosi a tempo tra le piante di patate
Dove stava scavando.
Con lo stivale rozzo annidato sul vangile
Spostava l’asta fermamente contro
La parte interna del ginocchio. Sradicava le piante
Affondando la lama lucida e noi raccoglievamo
Le nuove patate, ci piaceva
Sentirle fredde e dure fra le mani.
Per Dio, il vecchio sapeva maneggiare la vanga.
Proprio come il suo vecchio.
Tagliava più torba mio nonno in un giorno
Di ogni altro uomo nella torbiera di Toner.
Una volta scesi a portargli il latte
In una bottiglia col tappo di carta. Si alzò
Lo bevve, e si rimise subito al lavoro
Incidendo e tagliando nettamente, sollevando
Zolle sulla spalla, e scendendo sempre più giù
Per trovare quella buona. Scavando.
E mi torna in mente l’odore freddo della terra
Delle patate, lo scalpiccio sulla torba fradicia,
I colpi risoluti della vanga tra le radici vive.
Ma io non ho la vanga per seguire uomini così.
Tra l’indice e il pollice
Ho la penna.
Scaverò con quella.
Bellissime tutte e due. Io Faccio un piccolo giardino. E anche un orto e degli olivi, non ho tanto tempo perché lavoro come dipendente, assoldata, direi. ma capisco bene sia scavare che scrivere.
molto belle, grazie
Il mio buon amico ed ex allievo Borges con quel suo ” Una donna e un uomo che leggono le terzine finali di un certo canto ” dimostra quanto la sua poesia può esser sottile, considerato che Francesca da Rimini e Paolo Malatesta, leggendo di quei birichini della regina Ginevra e del prode Lancillotto, si amano commettendo adulterìo.
Un tradimento innescato da un libro. Un uscir di carreggiata x qualcosa che si è letto. Prima del Quixote e della Bovary. Nulla corrompe un uomo come scrivere un libro , sentenzia Nero Wolfe. Anche leggerli è pericoloso.
Una volta scesi a portare il latte in una bottiglia con il tappo di carta
al mio buon amico ed ex allievo che scriveva dall’alba al crepuscolo
con la penna che sembrava una pistola tra l’indice ed il pollice
Lo bevve e si rimise subito al lavoro
e da qualche parte, prima o poi, qualcuno avrebbe letto
e avrebbe scavato nel profondo fino alle proprie radici vive
come è giusto, come è dei giusti