CITAZIONE (FAZIOSA) DEL LUNEDI'

” Ciò che voglio veramente illustrare è il potere positivo della narrazione. È il potere negativo della narrazione che, come la AUM Shinrikyō, mette sotto incantesimo le persone. Le spinge e le conduce a prendere decisioni sbagliate. Ciò che gli scrittori cercano di fare è offrire storie – nel senso più ampio del termine – e scuotere emotivamente ed intellettualmente i lettori, per illustrare loro ciò che è sbagliato. Io credo in questo potere positivo dei romanzi. Il motivo per cui scrivo un romanzo è perchè voglio cercare di raggiungere il maggior numero di persone possibile. Ad esser sinceri, credo che ci sia la necessità di raccontare una storia che possa competere con il fondamentalismo e il campanilismo”.
(intervista a Murakami Haruki)
“C’ è poco da stupirsi se Alfabeta nuova serie non è quella di una volta: non siamo più negli anni Ottanta e non ci sono più Antonio Porta, Maria Corti e Paolo Volponi. Resta però pur sempre un ottimo mensile «di intervento culturale». Qualcuno gli ha rimproverato di essere schierato (diciamo decisamente contro lo status quo politico-culturale): ma che rivista sarebbe se non fosse schierata? Sembra si sia persa memoria della tradizione novecentesca delle riviste militanti: esattamente il contrario dei diffusissimi lit-blog, che accolgono democraticamente tutte le voci, alte e basse, di destra di sinistra e di centro. La differenza tra un sito online e una rivista è che l’ uno è indifferenziato, democratico, popolare, populista, l’ altra no, è selettiva, tendenziosa, partigiana, elitaria, autorevole, piaccia o no. Sarà antiquato e/o antidemocratico dire che se ne sentiva il bisogno? Pazienza. Il primo numero di Alfabeta2, intitolato «Intellettuali senza», offre molti spunti di riflessione. Per esempio, quello di Silvia Ballestra, che si sofferma sui meccanismi di promozione editoriale, interessati (solo) agli incassi ignorando la qualità. È la tesi di Senza scrittori (sempre «senza»!), un bel documentario sul mondo dell’ editoria firmato da Andrea Cortellessa e Luca Archibugi: un video Rai Cinema che nel sito di Loredana Lipperini ha scatenato dure polemiche con Wu Ming. Cortellessa è stato qua e là deriso («un Michael Moore all’ italiana») per aver fatto il contropelo a un mercato monopolistico, che soffoca la cultura di ricerca, la piccola editoria e le librerie indipendenti, e che punta tutto su pochi titoli commercialmente sicuri, sacrificando il resto. In fondo, un’ ovvietà che diventa, chissà perché, scandalosa o ridicola. L’ ex direttore della Bollati Boringhieri, Francesco Cataluccio, intervistato in Senza scrittori, ha ragione quando afferma: «Società più cinica, editoria più cinica». L’ editor Mondadori Antonio Franchini, dopo aver detto che fare editoria è molto più «divertente» oggi che nel passato, ammette: «Il nostro lavoro è monitorato settimana per settimana, e questo ha un impatto sul sistema nervoso». Come divertimento, non c’ è male. Ma la questione è un’ altra: i soloni monitoranti del libro-marketing sostengono che l’ errore grave dei vecchi editori di cultura (tipo Einaudi, per intenderci) è stato quello di non aver mai monitorato un bel niente, trovandosi sempre a rischio fallimento. Bene, anzi male. Se però avessero controllato le vendite giorno per giorno, non avrebbero pubblicato capolavori che non promettevano cifre da bestseller ma che erano destinati (nel tempo!) a reggere buona parte del mercato letterario-editoriale. Non sarebbero mai usciti Pavese, Gadda, Primo Levi, Carlo Levi, Ginzburg, Morante, Parise, e avrebbe incontrato qualche difficoltà persino Calvino, che all’ inizio vendeva 1500 copie e su cui trent’ anni dopo si sono scatenate aste miliardarie. Ma chi lo pubblicò per primo negli anni Cinquanta? Un pazzo bancarottiere che lavorava non per il monitoraggio del giorno dopo ma per il futuro”.
(Paolo di Stefano, Corriere della Sera)

28 pensieri su “CITAZIONE (FAZIOSA) DEL LUNEDI'

  1. Ho seguito tutto il dibattito e confesso di aver compreso poco. Comunque, un dato. Non è che negli anni Cinquanta o Sessanta non si pubblicassero libri “monezza”, credo che Love Story abbia salvato il bilancio di Garzanti per almeno un anno. Noi, oggi, ci ricordiamo Calvino e gli altri ma a scorrere i cataloghi degli editori, i loro libri erano accompagnati anche da testi di cui si persa la memoria. Libri commerciali. Levi approdò a Einaudi con grande fatica perché Se questo è un uomo – in prima edizione Franco Angeli – non era considerato un testo in grado di vendere. Non sto sostenendo che il mercato editoriale sia sempre stato eguale a se stesso ma ho l’impressione che ci sia in giro un po’ troppa nostalgia del buon tempo andato. Uno dei nodi irrisolti è che in questo paese si legge poco. Non libri belli o brutti ma si legge poco e basta. Questo, alla lunga, condiziona il mercato. Almeno credo. Un bentornato ad Alfabeta.

  2. Om om om…. per chi è di orientamento buddista.
    Per chi è di orientamento cattolico: non possumus!
    Per tutti gli altri orientamenti le reazioni non sono riferibili.

  3. Eccolo qua, l’ottimo Di Stefano schierato, militante e anti-mercato, dalle pagine incendiarie di quel foglio anarchico e antagonista.
    Va tutto bene, è tutto giusto. Chissà quanto è contento l’autore del documentario di un tale emozionante endorsement, e di un così buon viatico per la ri-nata ri-vista.
    Hasta la victoria, companeros !
    L.
    P.S.
    Consiglio di titolo per future inchieste, video o cartacee, a chiudere trilogia o in vista di eptalogie:
    “Senza Vergogna”

  4. Luca, io suggerirei, inverce ‘Armageddon’ o per i più polemici ‘Endurig freedom’. Non ci vedi qualcosa di gnostico e (e)scatologico in tutto ciò?

  5. Cosa c’è che non va in questo articolo di Di Stefano?
    Forse questo: «La differenza tra un sito online e una rivista è che l’ uno è indifferenziato, democratico, popolare, populista, l’ altra no, è selettiva, tendenziosa, partigiana, elitaria, autorevole.» ?
    Ha ragione, «piaccia o no».
    Se è questo che non piace, non piace che ci siano sedi che offrono spunti di riflessione, direi, IMHO.
    Ma potrei non aver capito, triplo H.

  6. Esattamente, aldovrandi. E’ la parola autorevole a non trovarmi concorde. Perchè, messa così, sembra che la rete non possa in alcun modo essere autorevole. E la rivista, invece, lo sia sempre. Non è così.

  7. Dear Aldo,
    secondo te la sentenza che un sito è indifferenziato e populista e una rivista è autorevole, piaccia o no, la dobbiamo accettare come un dogma, come l’infallibilità del papa nonostante tutte le cazzate?
    E i liberisti di tutte le stagioni che ci fanno la lezione su quanto è cattivo il mercato, piaccia o no, una sana pernacchia assassina da parte di un esponente del branco dei linciatori, non se la meritano?
    E con questi qui che fanno la dura reprimenda “ai soloni monitoranti del libro-marketing”, e poi ci vanno a cena tutte le settimane, non sarebbe, come diceva la mia antichissima prof. di greco, ‘ora di bastarla’ ?
    L.

  8. Anche questa frase:
    “un video Rai Cinema che nel sito di Loredana Lipperini ha scatenato dure polemiche con Wu Ming. Cortellessa è stato qua e là deriso («un Michael Moore all’ italiana») per aver fatto il contropelo a un mercato monopolistico, che soffoca la cultura di ricerca, la piccola editoria e le librerie indipendenti, e che punta tutto su pochi titoli commercialmente sicuri, sacrificando il resto. In fondo, un’ ovvietà che diventa, chissà perché, scandalosa o ridicola”.
    Possibile che sia stato qua e là deriso, e me ne dispiace, ma sicuramente non ‘per questo’.
    Poi, ognuno la racconta come vuole, ma sulla carta, che diamine, un po’ più di rigore uno se lo aspetta. Mica stiamo sul web!
    E comunque a me è questa lotta titanica tra critici di carta e critici del web che mi affascina, mi lascia senza parole, questa resa dei conti finale.
    Altro titolo: “Alexander Newski due”, con le due schiere dei bianchi contro i neri, gli uni contro gli altri armate.
    Grandioso, anzi epico. ‘Old epic’, naturalmente, ‘new’ manco a pensarlo.

  9. La rete è un ottima cosa, è democratica, mi piace.
    Ma proprio il fatto di essere così capillarmente democratica la rende poco autorevole perché tutto può essere – e spesso è – uguale a tutto.
    Scegliere è sempre importante, la natura della rete invece è di essere poco selettiva.
    Più che sull’autorevolezza della rete io punterei sulla sua capacità di coinvolgimento collettivo, non dimenticando che accanto ai suoi punti di forza ha, proprio per questo, forti debolezze.
    Per rendere la rete più autorevole queste debolezze andrebbero riconosciute e magari affrontate.
    E non dimentichiamo che ancora oggi l’autorevolezza in rete viene puntellata dall’autorevolezza che chi ci opera ha acquisito fuori rete, indipendentemente dal momento in cui l’ha fatto.

  10. Ha ragione valeria.
    Se l’articolo di G.Policastro uscito sul Manifesto conteneva asserzioni visibilmente false, questo di Di Stefano è più accorto, più ammiccante, ma tende a confermare la stessa rappresentazione non vera.
    Se uno fa riferimento alla discussione qui su Lipperatura e alle “dure polemiche con Wu Ming” e subito di seguito aggiunge che “Cortellessa è stato qua e là deriso («un Michael Moore all’italiana») per aver fatto il contropelo a un mercato monopolistico, che soffoca la cultura di ricerca, la piccola editoria e le librerie indipendenti, e che punta tutto su pochi titoli commercialmente sicuri, sacrificando il resto”, è chiaro che è agli unici autori citati che si finisce per attribuire implicitamente tale posizione.
    Ora, non solo, nella discussione sulla letterarietà l’esempio e le parole di Michael Moore sono state usate proprio “contro” le argomentazioni portate da Cortellessa, ma soprattutto nessuno ha sottovalutato o deriso il problema del monopolismo in editoria. Proprio perché è “un’ovvietà” nessuno si è scandalizzato o ha preteso di ridicolizzare una tale constatazione. Ciò contro cui si è polemizzato è un’impostazione manichea che sembrava emergere da certe asserzioni di Cortellessa nel merito della discussione stessa, NON NEL DOCUMENTARIO DI CUI IN QUEL THREAD NON SI E’ DISCUSSO (perché quasi nessuno dei partecipanti aveva avuto modo di visionario).
    Qui il problema è lo stesso che sottolineava Davide nel thread sull’articolo del Manifesto: “Perche’ tanta energia spesa a falsificare la posizione altrui (…)?”. Risposta: perché entrare nel merito delle discussioni e delle argomentazioni costa più fatica. Non è una questione di livello della critica, ma del giornalismo.

  11. Utterly dear Aldo,
    e se provassimo a smettere con ormai improponibili semplificazioni?
    Un sito non è la Rete. Come UN giornale non è la Stampa.
    Guarda che non se ne può davvero più di queste minchiate, altro che buone maniere e toni civili.
    E’ imbarazzante, deprimente, arrotolarci ancora su questa roba.
    L.

  12. Un’altra cosa, e poi chiudo sul serio.
    E’ vero, come è stato a volte ricordato nelle discussioni recenti, sul web c’è la spinosa questione dei nick name. La cosa la vivo con un certo imbarazzo perché, se è sempre vero che sul web è la coerenza interna al discorso che va verificata (e questa, secondo me, è la sua forza), non è verificabile invece la congruenza tra le cose dette e il soggetto che le dice, ovvero tra le parole e i suoi comportamenti.
    E questo è un fatto, che si verifica pure nella realtà ‘vera’, ma sul web acquista un peso maggiore.
    La famosa lettera di Celli al figlio, infatti, è stata giudicata negativamente perché tra le cose scritte (condivisibili) e chi le scriveva, noto per il suo ruolo pubblico, non sembrava esserci congruenza alcuna.
    .
    Ora mi chiedo, facendo eco a Luca, e me lo chiedo senza retorica alcuna: c’è congruenza tra le cose che dicono tutti costoro che si lanciano come paladini immacolati contro il mercato e le cose che fanno?
    E’ una vera domanda.

  13. Mah, aldo, sulla rete dipende chi ci scrive e cosa, mi pare un’ovvietà ma evidentemente non è così…Non so in letteratura, ma in altri campi ci sono siti, riviste online, blog molto stimati perchè redatti/curati da persone, gruppi, think-tank, preparati e autorevoli, che semplicemente hanno scelto di servirsi di un mezzo più flessibile e a basso costo della distribuzione cartacea. Addirittura queste caratteristiche, che permettono anche una grande indipendenza da influenze economiche esterne (inserzionisti, editori…), potrebbero esere viste come presupposti per una maggiore autonomia dei contenuti. Penso a aggregatori come Huffington Post, per dire (in Italia mi viene in mente lavoce.ifo).

  14. Se dobbiamo parlare di autorità, per quanto riguarda le riviste, ci si riferisce solitamente alle redazioni, e questo può valere sia per una rivista cartacea che per una su web. La rete è un universo complesso e stratificato, che non si può ridurre ricorrendo a paragoni così semplificatori.
    @Valeria:
    il tuo riferimento alla lotta tra “critici di carta” e “critici del web” è purtroppo reale, come si può evincere anche da qui, ma sarebbe auspicabile trovare un terreno di confronto, anziché continuare col muro contro muro.

  15. @ Francesca Violi
    hai assolutamente ragione, ma siti, riviste online, blog di ottima qualita affondano in un numero enorme di siti, riviste online, blog di pessima qualità o meglio ancora, galleggiano tutti insieme in un mare dove non è così semplice e facile scegliere, cosa molto più semplice, a tutt’ora, per il cartaceo.
    Inoltre la rete è interessante (e credo che nella percezione di chi non la frequenta dall’interno, come Di Stefano, sia questo il dato prevalente) perché molto spesso vive anche dei suoi commentatori, sono loro a renderla vitale, e al tempo stesso la rendono spesso cialtrona (mi ci metto, perciò nessuno si offenda).

  16. Non c’è da stupirsi. Di Stefano è tutto fuorché nuovo a questo genere di “riassunti”. Certo, ha più savoir faire di altri/e, ma vuole andare a parare nello stesso posto.
    Vorrei ricordare che questa deriva, questa sequela di: reazioni stizzite, critiche indistinte e superficiali, dichiarazioni di guerra firmate a occhi bendati, articoletti scomposti etc. dura in realtà da un pezzo.
    Vorrei ricordare la cura “olio di ricino” che una strana “santa alleanza” ha cercato di propinarci nel 2008-2009, solo perché avevamo osato dire questo: negli ultimi 15 anni sono usciti molti libri che secondo noi hanno in comune certi tratti e un’impostazione di fondo.
    Non solo: abbiamo osato farlo fuori dai canali tradizionali di legittimazione del discorso critico. “Smentiscono l’assioma che non succede niente, e per di più osano farlo… in rete! Senza chiedere il permesso a nessuno! E’ un oltraggio! Vanno massacrati con tutti i mezzi che abbiamo a disposizione!
    E ci hanno provato eccome.
    Vorrei ricordare la sfilza di insulti, le paginate di giornale usate come sbarramenti di artiglieria, le accuse allucinate, l’uso delle immagini e dei titoli per “rimetterci al nostro posto”… Gli interventi sbavanti a convegni e conferenze, con insulti a chi ci aveva nominato nel modo “sbagliato” (cioè non premettendo che siamo dei venduti e dei truffatori)… Gli sfondoni impressionanti… I mille tentativi di liquidarci in due righe…
    “[Quella di Wu Ming è] una versione (postmoderna) dello zdanovismo, o una declinazione letteraria della battaglia ratzingeriana contro il relativismo culturale” (F. Rondolino, su “La Stampa”).
    Non si è mai vista una simile levata di scudi né un simile sbraitare per un testo che era dichiaratamente un insieme di appunti e formulazioni provvisorie, con tanto di invito a discuterne e modificarle insieme.
    Poi ci si stupisce quando dico che per certe dinamiche provo “ribrezzo”.
    Non c’è niente di nuovo nelle falsificazioni delle ultime settimane. E nemmeno nell’alleanza apparentemente “contronatura” tra pagine culturali del “Manifesto” e pagine culturali dei giornali conservatori o di destra.
    Evidentemente c’è qualcuno che si sente scavalcato, bypassato, ignorato, spostato da un ipotetico “centro del discorso” in cui credeva di trovarsi, e non riesce ad accettarlo. Da qui l’interdizione a discutere: “di questo non si deve parlare perché i Wu Ming sono dei cialtroni”.
    Beh, tutto questo non è servito, mi sembra. Nessuno si è lasciato intimidire. Col risultato che le reazioni si fanno ancora più stizzite, ancora più generalizzanti e “fondamentaliste” (il problema adesso è la rete tout court), ancorà più “ex cathedra”, ancor più esplicitamente aristocratoidi (si veda l’uso scorretto e passepartout della parola “populismo”, sempre usata per etichettare discussioni che non si approvano, dove ci si esprime senza alcun rispetto aprioristico e obbligatorio per il “rango”, i titoli, la “posizione” etc.)

  17. L’opposizione tra rete e cartaceo come tra pop e non pop tra parziale e imparziale l’ho trovata come quasi tutti superficiale. Non per una questione di diverse qualità autoriali, ma per questioni diciamo di psicologia sociale, che anzi in rete saltano all’occhio. I simili vanno coi simili e si cristallizzano in gruppi, linguaggi livelli e orientamenti mentali. Qui ci si scannerà anche su questioni editoriali, ma l’opposizione di prospettive è ingigantita per il fatto che ci stiamo in mezzo – ma rimane il dibattito interno di un gruppo di persone piuttosto omogeneo per interessi attuali, estrazione politica, spesso anche se non sempre per occupazione professionale. Gli interventi si assestano – con le debite variazioni per carità – tutti su un certo livello. Altri siti e altri blog e altri portali, attirano altri orientamenti professioni modi di scrivere e livelli di competenza. Ma le grandi mescolanze – specie politiche – cui allude Di Stefano, mi sembra che non ci siano. Esistano siti belli e molto approfonditi con bei dibattiti e siti invece abbacinanti. Sul Cartaceo – che non pubblica solo Nuovi Argomenti ma anche Gente Motori le dinamiche mi paiono le stesse. Non manca la carta straccia. Le proporzioni cui allude Aldovrandi sono credo analoghe. Perchè alla fine entrambi sono specchi dell’umano. Non è che l’umano della rete sia un umano diverso, migliore o peggiore.
    Per il resto – sulla domanda di Valeria. Io Valerissima sono sempre perplessa per questa cosa del nick name. Un po’ perchè anni di bivacco in rete mi hanno insegnato che la simulazione mia e altrui è pressocchè nulla – simulare stanca, e alla gente non va – Un po’ perchè a me nelle discussioni del codice di provenienza me ne fotte relativamente. In maniera abissale in questi contesti: se rubare è peccato, che lo dica un ladro o meno, è problema del ladro. PEr me rimane peccato, se ho bisogno della sua incoerenza per le mie argomentazioni, vuol dire che sono piuttosto deboli. L’incoerenza è problema suo. Quando ci si comincia a occupare troppo di chi dice cosa, e non del cosa – abbiamo avuto qui nei giorni scorsi lampanti dimostrazione – la discussione si sta impoverendo, e la degenerazione arriva in un attimo.

  18. sì, la massa di roba di poca qualità che affolla la rete e la cialtroneria diffusa sono un dato di fatto e ben percepito comunemente.
    Ritengo però che chi vuole scrivere in modo professionale (=giornalista) di un fenomeno dovrebbe (ri)conoscerne e restituirne i vari aspetti, non fermarsi a quello più immediato, dell’uomo della strada (in questo caso, della rete). Se poi la superificalità fosse dovuta alla non frequentazione del web, ancora peggio, non vedo come si possa scrivere di una cosa che non si conosce…è come scrivere di calcio non seguendo le partite. Però ripeto, non conosco nel dettaglio e con cognizione sufficiente le riviste online di letteratura in italia, frequentno con continuità solo questo blog. Il mio è un giudizio sulla frase”La differenza tra un sito online e una rivista è che l’ uno è indifferenziato, democratico, popolare, populista, l’ altra no, è selettiva, tendenziosa, partigiana, elitaria, autorevole” perchè sembra voler dire che se gli stessi redattori di Alfabeta avessero deciso di realizzare una rivista online e non sul cartaceo, la rivista sarebbe stata automaticamente indifferenziata ecc. e implicare che tutte le realtà del web corrispondano a questa descrizione.

  19. Zaub, torno perché mi hai nominata, o magari sarei tornata lo stesso, non lo so.
    Sul fatto del nick name credo di avere scambiato con te già qualche battuta. Secondo me, la forza di un discorso sta nella sua coerenza interna. Per me su questo non ci piove, e il web è un bel banco di prova per le argomentazioni e le controargomentazioni. Per chi vuole, ovviamente.
    L’efficacia di un discorso, però, l’effetto che provoca sta anche nella congruenza tra le parole e i comportamenti di chi pronuncia quel discorso.
    Se a parlarmi di legalità è un branco di malfattori io dico ‘che bello che bello’ poi però non mi smuovono di un’enticchia per quello che riguarda le mie azioni. Magari non mi smuoverebbero nemmeno se le sentissi pronunciate da san Legale martire, ma forse l’effetto sarebbe un po’ diverso.
    Ora, però, per me la questione dell’autorità sul web si sposta su un altro piano, quello di cui parlava Francesca Violi.
    Ieri, ‘rimestando’ nel web, nel sito che ho linkato, ho trovato anche una intervista di Coltellessa a Ottonieri.
    Allora: Cortellessa (critico autorevolissimo) + Ottonieri (scrittore autorevolissimo) + web (trogolo immondo) = ?
    Non lo so, ammesso che il trogolo possa rendere evangelicamente le perle identiche alle ghiande, perché mai Cortellessa e Ottonieri decidono di gettare le loro perle ai porci? Chi glielo impone? Mah…
    E poi, perché una malcapitata lettrice che, dopo aver ricevuto una indicazione di un nome di un autorevolissimo scrittore da una autorevolissima critica, se lo va a cercare ‘rimestando’ nel web, si becca una strigliata dalla suddetta autorevolissima critica? Mah…
    .
    @Simona Ghelli. Prendevo atto di una situazione piuttosto grottesca e surreale che sembra esistere nei fatti. Certo non sono io ad auspicare i muri contro muri. Ripeto: mi pare grottesco.

  20. p.s. la distinzione tra coerenza e congruenze attiene al piano logico, l’una, ed etico, l’altra.
    Ma l’autorevolezza di un discorso dipende dalla prima, ed è su questo piano che si rivela la competenza di chi parla sulla materia di cui si sta trattando.

  21. Se si vuole procedere ancora su questa strada di contrapposizioni carta/rete, di queste pratiche sociali, va però fatta maggiore chiarezza:
    – Di Stefano, scrivendo al Corriere della Sera, viene letto indistintamente dalla cima della piramide padronale fino al quarto stato acculturato. Non è un incendiario ma si mantiene sostanzialmente aperto alle novità, anche telematiche; è in questo caso un cronista, lettore attivo con un suo legittimo pre-giudizio;
    – Wu Ming & Cortellessa vantano buona eco sia su carta che in rete e le loro argomentazioni sono spesso rimbalzate fra i due ambiti. Sono su posizioni tattiche simili (fare il meglio nei modi a loro possibili, cartacei o su rete o su altri media); i Wu Ming sintetizzano e rappresentano persone a partire dal basso orizzontale della rete, Cortellessa invece scendendo dall’elite puramente cartacea;
    – gli Ansuini telematici, dal basso, e i Pulcinoelefante cartacei, dall’alto, quelli che per scelta si mettono fuori dal mercato, sono gli estremi. Mancano spesso di un riscontro fondamentale, chiamiamolo di “qualità”, che si matura solo nell’agone del dibattito. Posizione in genere possibile alla sola poesia, che non consente a priori di farci un mestiere e dunque si fonda su altre aspettative e altre realizzazioni.
    Quello che realmente costituisce discrimine è dunque il genere letterario: la narrativa ha un fondo di vendibilità che la rende soggetta a tutte queste polemiche (basso/alto, genere/mainstream, pop/letterario, dentro einaudi / fuori da einaudi), che comunque non centrano il bersaglio grosso, che è ancora quello della rappresentatività artistica (e soprattuto della possibile funzione di opposizione reale) detenuta tuttoggi dalla poesia.
    D’altro canto, è improponibile a chi della scrittura voglia fare un mestiere il farlo nella poesia. Questo paradosso, il dover cioè rinunciare al mestiere in favore della rappresentatività artistica/politica, o viceversa in favore di un compromesso di vendibilità e mercatabilità, è la base di tutte le polemiche di questa estate 2010.
    Senza possibile soluzione per chi sta nel mezzo, perché la rappresentatività artistica è per sua natura inutile, non circostanziabile, avulsa dalle pratiche sociali e dunque sia dal numero di download & copie vendute, che dalla presunta/presumibile letterarietà della forma quando intesa funzionale ad un discorso.
    L’opposizione a questo momento storico molto sbilanciato sul mercato è rappresentata dagli Ansuini e dai Pulcinoelefante, ai quali occorrerebbe reale attenzione critica che distingua -all’interno della loro pratica fuori mercato- il materiale di qualità da quello meno riuscito.

  22. Credo che la contrapposizione carta / rete non porti da nessuna parte, nemmeno come premessa per un discorso “positivo”. Aggiungo che tra le persone che seguo e stimo non ho mai riscontrato la credenza in una simile contrapposizione. E’ invece diffuso il tentativo di creare e alimentare “circoli virtuosi” tra carta e rete. Tenendo comunque conto che:
    – su un foglio di carta non puoi cliccarci, mentre una schermata la puoi stampare;
    – oggi un libro cartaceo lo fai quasi sempre usando la rete: ormai tutti i contratti richiedono esplicitamente che l’opera venga consegnata in formato elettronico, le case editrici funzionano grazie all’e-mail e alla spedizione di allegati, le tipografie non usano più i caratteri a piombo etc.
    L’editoria si avvia a essere un “sottoinsieme” della rete, che non è un medium bensì un mondo che contiene media (radio, tv, riviste etc.).
    Dopodiché, questo processo di digitalizzazione non è affatto tutto rose e fiori. E’ contraddittorio, per certi versi troppo veloce e per certi versi troppo lento, è ancora affetto da disparità, è un campo di battaglia. Ma vederlo solo come livellante e corruttore, uno “schiacciasassi” mercantile nemico della Cultura e dell’Arte etc. sarebbe una vertiginosa manifestazione di stupidità, per motivi già ampiamente esposti.
    Vogliamo tornare in un mondo di rarefazione della cultura, rarefazione dell’informazione, limitato accesso allo scibile, limitata presa di parola? E anche fosse possibile: chi decide chi dovrà accedere e chi restare fuori, chi dovrà parlare e chi invece tacere? E in base a cosa? Ovvio, lo decidono i soldi. Senza il videopodcast gratuito dei corsi che si tengono a Yale, potrà assistere a quelle lezioni solo chi ha i soldi per frequentare quel college.
    E così la lamentazione anti-Internet, gratta gratta, rivela il peggior privilegio classista.

  23. Ma che palle. Non ho voglia di replicare di nuovo altrimenti sembra che ce l’abbia con lui, ma porca miseria, come si fa a dire quello che DiSt. dice quando metà dei redattori di Alfabeta2 opera attivamente nel web, quando Alfabeta2 ha un blog sul web, quando a noi di NI ci viene detto che siamo elitari, partigiani, etc. echecazzo!
    Ma lo sapevate che fino all’all’anno scorso l’esame di giornalismo si faceva ancora sulle macchine da scrivere? (giuro!)

  24. per illustrare loro ciò che è sbagliato….
    buffo inciso quello del tizio, e credonel fondo comune a tanti generatori di parole (probabilmente a maggior agio nei vocabolari) sovente molto compresi dalla stupidaggine di aver un qualcosa da dire, e perdipiù di “giusto”…:-(
    faccenda improba, il dire e dire “giusto”, stante l’immensità del detto (e ripetuto) e dunque prossime allo zero per implacabiltà statitistica e la possibilità del nuovo e la calda follia del giusto.
    ma vabbé, d’altro s’occupano in genere gli umani, e gli affanni nel succitato merito sono sì scarsi da non esistere. fortunatamente.
    salutando
    mario ardenti

  25. Certamente, con buona pace dei giornalisti del ‘manifesto’ di cui si è parlato recentemente, rete ed editoria elettronica aiuteranno certo l’arte pura.
    Tutti stanno investendo nell’e-book specialmente col boom dei vari pad.
    Io resto sempre dell’avviso che in linea di massima l’editore è un lettore tipo, se nessun editore ti pubblica un manoscritto, magari il libro non funziona così bene, e non è solo colpa del mercato, ma tant’è. Considerato che in Italia si scrive, praticamente più di quanto si legga vuol dire che ci sono frotte di editori che pubblicano la qualunque.
    In ogni caso, caro buon scrittore duro e puro che nessuno considera perché troppo più bravo ed elevato, oggi ti puoi fare il pdf del tuo libello metterlo in rete e donarlo aggratis all’umanità o ad un prezzo simbolico, promuoverlo, e sentire i pareri dei lettori puri, che non avendo pagato, certamente, recensiranno anche loro puramente.
    D.

  26. Visto che nel commentarium è passato “indarno”…
    Volevo ringraziare la Boss per il passo di Murakami.
    Oramai è certo che siamo stati compagni di esistenza in una delle vite precedenti.

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