Su Repubblica di oggi esce una mia intervista a Roberto Santachiara. Eccola.
L’entusiasmo generale verso gli eBook non contagia necessariamente gli scrittori. E non solo quelli miliardari come J.K.Rowling, che non ha mai nascosto la propria diffidenza nei confronti del libro elettronico e che solo recentemente starebbe (ma, si dice, a carissimo prezzo) convertendosi al digitale. Anche in Italia c’è chi si dichiara prudente, almeno finché non si chiariscono le posizioni degli editori per quanto riguarda i compensi di chi scrive. Pochi giorni fa, l’invito alla prudenza è venuto da Roberto Santachiara, uno dei maggiori agenti letterari italiani: aspettiamo a cedere i diritti digitali dei testi, ha scritto ai propri autori (fra gli italiani, Wu Ming, Carlo Lucarelli, Roberto Saviano, Simona Vinci, Valeria Parrella, Letizia Muratori, Giordano Bruno Guerri, fra gli stranieri, Stephen King, Thomas Pynchon, James Ellroy, Jefferey Deaver, Ian McEwan, James Hillman). E gli autori si sono detti d’accordo. Perchè, in tanto tripudio per il sopravanzare dell’eBook, c’è qualcosa che ancora non è stato detto, e che penalizzerebbe proprio chi scrive. Cosa?
“E’ molto semplice – dice Santachiara – Ho ragionato sulla migliore offerta ricevuta per quanto riguarda i diritti d’autore sugli eBook. Un’offerta, peraltro, standard: perché quasi tutti gli editori, soprattutto i tre grandi gruppi italiani, si orientano sulla stessa ipotesi. Ovvero: nessun nuovo anticipo per l’autore, e una royalty attorno al 25%. Ma sul netto defiscalizzato, e non sul prezzo di download”.
Cosa significa esattamente?
“Faccio un esempio. Se un eBook viene venduto a 10 euro, il 20% va subito all’ufficio Iva. Da 10 passiamo a 8. Da cui si deve detrarre il 30% , ovvero 2,4 euro, per spese e sconti ai distributori di rete. Restano 5, 6 euro. Ovvero, la cifra su cui viene applicata la royalty proposta. All’autore, dunque, arrivano 1,4 euro lordi a download.. Se ne deduce che tutti guadagnerebbero molto più dell’autore: senza il quale non ci sarebbe l’eBook, perché bene o male la sostanza dell’ intero business è data dall’opera letteraria. In un accordo serio, l’autore dovrebbe prendere il cinquanta per cento e suddividere i proventi netti con l’editore. Altrimenti, bisognerebbe mettere in copertina il nome del maggior beneficiario dell’operazione, e scrivere che il romanzo in questione è firmato da Carlo Lucarelli e dall’Ufficio Iva”.
Dunque, l’autore vedrebbe diminuire le proprie royalties per l’eBook nonostante ci siano meno spese oggettive?
“Infatti. Non solo ci sono meno costi nel produrre il libro, ma soprattutto non ci sono le rese e non c’è la gestione di un magazzino. Un libro che vende bene nel complesso può diventare un affare negativo per un editore se ha un numero di rese eccessive. Con gli eBook, l’editore non corre praticamente alcun rischio. Un panorama come quello che si va delineando è sintomo di un’assoluta mancanza di progettualità. Ed è assurdo, perché gli editori italiani non sono né isolati, né sprovveduti, né privi di rappresentanza parlamentare. Solo che, invece di ragionare sull’Iva, si sono dedicati a campagne a favore della lettura di dubbia efficacia. Quanto all’Aie, ad oggi non mi e’ ancora ben chiaro di cosa si occupi , dato che neppure sono riusciti a far rientrare l’abolizione delle tariffe postali agevolate per gli editori”.
Quindi condivide l’operazione di Andrew Wylie, la cui agenzia letteraria ha chiuso un accordo con Amazon per distribuire in eBook i propri autori?
“Credo che il caso Wylie ponga un problema serio. Wylie è un agente, e come tale deve essere l’intermediario fra l’autore e l’editore. Con questa decisione, è come se avesse preso il posto dell’editore stesso, ponendosi come concorrente degli altri editori che pubblicano eBook. E questo non è corretto. Sia pure con l’arroganza del grande gruppo, diventa logica la presa di posizione di Random House, che non considera più Wylie come fornitore. Ma c’è un’altra considerazione da fare: Wylie si è accordato per la pubblicazione di una parte dei suoi autori e titoli: il ciclo del coniglio di Updike, Il lamento di Portnoy, Lolita. A ben vedere, non c’è nessun testo che non sia più che consolidato, e neanche un esordiente. Dunque, Wylie vende i diritti digitali di opere su cui un editore ha già investito, selezionando, editando e pubblicando. E su questa operazione sono in obiettivo disaccordo: bisogna garantire agli editori un’opzione sui diritti elettronici dei titoli che hanno già in catalogo, perché hanno lavorato e rischiato su quei testi. Dal mio punto di vista gli autori pubblicati dall’editore sono un patrimonio dell’editore, ed è giusto che lo restino. Il che non significa accettare qualunque offerta, naturalmente. Ma quando l’editore offre un accordo insoddisfacente per l’autore, al limite se ne cerca un altro, non ci si sostituisce a lui.
E dunque, se Amazon le offrisse 35.000 euro per un titolo?
Andrei dall’editore del testo cartaceo e gli renderei nota l’offerta, chiedendogli di adeguarsi.
E per quanto riguarda i diritti digitali accordati? Si vocifera che l’eBook di Gomorra sarà fatto comunque.
“Ci sono dei contratti che alcuni miei autori hanno firmato prima di essere rappresentati da me: e, come è noto, gli editori fanno firmare agli esordienti dei veri e propri patti leonini. Quindi, purtroppo, nel caso di Gomorra la Mondadori ha legalmente il diritto, nonostante possa esprimere un mio parere negativo, di pubblicarlo in eBook. Altra cosa è quando si parla, genericamente, di diritti validi per “tutti i supporti a venire”.
Questo non è sufficiente?
“A mio parere no. Se incidessi un libro sul marmo, sia pure col rischio di ottenerne un tascabile piuttosto pesante, potrei parlare di supporto. Se lo trasportassi su cera. Se affidassi le parole all’acqua che scorre, per essere poetici. Ma nel caso degli eBook non si può parlare di supporto”.
E se un autore decide di fare a meno sia dell’editore che dell’agente? Prendiamo il caso dell’americano J.A. Konrath, che per gli eBook pubblicati attraverso il suo editore cartaceo, Hyperion, guadagna meno di 5000 dollari l’anno mentre, vendendoli direttamente su Amazon, ne guadagna quasi 30.000.
“Ma Konrath è stato pubblicato comunque, prima, da Hyperion. E’ molto facile stabilire di auto pubblicarsi tramite Amazon quando c’è già stato qualcuno che ti ha lanciato in cartaceo. Voglio vedere cosa succederebbe a un autore totalmente sconosciuto se decidesse di vendere il suo primo romanzo su Amazon”.
Diffida degli ebook?
“No. Ma bisogna ancora capire molte cose, soprattutto per quel che riguarda l’Italia. Siamo un paese di pochi lettori, e quei pochi sono lettori forti che hanno come caratteristica la passione per l’oggetto libro. Ammetto di non saper prevedere il futuro. Ma per quanto riguarda il presente abbiamo un problema, e grave, di diffusione della lettura”.
Qualcuno sostiene che abbiamo un problema di scrittura, e che le agenzie letterarie farebbero la loro parte nell’omologare il gusto dei lettori.
“Ma in Italia non c’è questo presupposto predominio delle agenzie letterarie. Il numero degli autori italiani rappresentati da un agente è minimo. Nell’ottantacinque per cento dei casi, gli editori fanno un offerta diretta all’autore, con tutti i problemi che possono derivarne a livello di contratti per i primi libri.”
Comunque la crisi del libro, da tutti negata, esiste, a suo parere?
“Le vendite sono in media basse. Ci sono alcuni libri che esplodono e altri che non vendono niente. Insomma, punte elevatissime, buchi profondi, e poche cose in mezzo. Il problema vero della scarsa diffusione della lettura è, non nascondiamoci dietro un dito, la scuola. Se la si distrugge, come sta avvenendo, è difficile avere future generazioni di lettori. Un paese civile si giudica delle scuole e dalle carceri. Ognuno può valutare il grado di civiltà del nostro”.
Ecco Wu Ming1, hai detto con molta più eleganza quello che maldestramente ho cercato di dire dall’inizio di quasta interessante discussione. Nel frattempo, passo e chiudo.
ps: bisognerebbe inserire nel blog due funzioni. Quella di associare un numero ai commenti (per riferirsi ad essi con più facilità) e/o la funzione “quote”. Non so se sia possibile.
“Non dimentichiamo che il pubblico di domani sarà un pubblico nato e cresciuto col naso dentro internet.”
ecco, era quello che, tra l’altro, cercavo di dire. forzare i processi è sbagliato, ma anche rallentare (parliamo dell’Italia, non del mondo…!) può essere una forzatura…
Perlomeno dalla parte dei lettori (che è uno, non l’unico, dei pdv possibili – e quello che in questo momento mi piace sostenere, anche se conosco, anche dall’interno, i meccanismi di possibili altri pdv, e capisco quindi le ragioni di tanto attesismo. però…. però. però).
OT. Pare che la Lipperini, dopo una notte di travagli paragonabile solo a quella dell’Innominato (cfr. “LA NOTTE DELLA BLOGGER”, Einaudi Editore), abbia deciso di sbloccare a ritroso tutti i miei commenti passati (magari in vista di qualche azione legale). E’ un’operazione ridicolissima, che svuota di senso la partecipazione a un dibattito in corso. E’ come se al post di oggi qualcuno rispondesse fra dieci mesi: chi se lo filerebbe più? E sì che la Lippa dovrebbe saperne qualcosa di come funzionano un blog, un post e i commenti ad esso legati. Ricordo che ho frequentato Lipperatura per ANNI senza problemi. Chissà perché sono stato estromesso da Lipperatura proprio a partire dal lancio della spernacchiatissima operazione NIE…
Mi ero sempre firmato con NOME E COGNOME, prima di venire costretto alla clandestinità dei nick di fantasia per sfuggire al filtro automatico. Voglio proprio vedere se – da questo momento in poi – dovrò di nuovo aspettare giorni o anni prima di vedere comparire i miei commenti. Pretendo che vengano pubblicati con la stessa velocità di chi commenta in puntuale perfetto accordo con la titolare di questo blog.
Anche se si sta discutendo di tutt’altro, vorrei mettere in evidenza la frase di chiusura di Santachiara, che trovo non del tutto condivisibile:
“Il problema vero della scarsa diffusione della lettura è, non nascondiamoci dietro un dito, la scuola. Se la si distrugge, come sta avvenendo, è difficile avere future generazioni di lettori.”
Se è vero che sulla scuola si sono abbattute le 10 piaghe di egitto e almeno altrettante sono in arrivo (tanto è vero che sono già partite controriforme regionali ancora peggiori di quella governativa, come la Dalmaso nella Provincia Autonoma di Trento), nella scuola indiscutibilmente devastata di oggi non è la lettura come attività a risultare penalizzata, bensì il trattamento degli insegnanti e degli studenti, da sempre separati negli intenti ma uniti oggi nel destino dell’istituzione, piegata dagli interessi di quattro miserabili.
L’invito alla lettura indipendente dai programmi ministeriali, però, come è sempre stato, è lasciata interamente alla perizia e alla passione del docente di lettere (ma anche delle altre materie). Spetta al docente invogliare i ragazzi a leggere, accompagnarli in uscite giornaliere verso biblioteche o incontri pubblici con gli autori, invitarli a fare domande, educarli al dialogo, cosa che si continua a fare nonostante tutto.
Forse la causa della scarsa diffusione della lettura è quello che i ragazzi importano in classe, cioè la loro incapacità di formulare un ragionamento informato e di porsi in maniera dialettica, causata dalla scarsa pratica nella società (non nella scuola, che della società costituisce solo una minima parte) e dal declino dei mezzi di informazione che non hanno più alcuna funzione se non quella dell’intrattenimento. Gli insegnanti di lettere, in assoluta economia, continuano a fare quanto hanno sempre fatto con la loro presenza in aula, indipendentemente da ciò che i ragazzi trovano quando escono dalla bolla spazio temporale che è divenuta la classe, e combattendo semmai contro l’azione tanto più malefica perché inconsapevole delle famiglie teledipendenti sulle capacità cognitive e critiche dei loro figli, e non dalla riforma di questo governo, che altro non è se non l’episodio finale di un processo di instupidimento generale di più lunga data.
Non si attribuiscano alla scuola anche le colpe che non ha, per cortesia. Bastano quelle che da due decenni gli attribuiscono la P2 e i suoi derivati.
Ma non è “attesismo”, è la fase di una vertenza 🙂 Una vertenza collettiva che potrebbe essere complessa e accidentata, o che potrebbe risolversi prima del previsto. Vediamo.
Una domanda: ma a cosa si riferisce Santachiara quando dice che al prezzo di copertina dell’ebook
“si deve detrarre il 30% , ovvero 2,4 euro, per spese e sconti ai distributori di rete.”
Che distributori? Che rete? L’ebook, se e’ ebook, e’ scaricabile direttamente da un sito. Cosa copre questo 30%? Cos’e’ che non sto capendo?
@ Demonio pellegrino,
credo si riferisca a librerie on line come IBS, bol.it, Webster, Unilibro etc. E come Amazon negli USA. Ci saranno campagne coordinate di sconto sui download, offerte 3 x 2, buoni, coupon, abbonamenti, chennesò… E questo viene detratto prima di calcolare la percentuale dell’autore. Poi ci saranno anche altre cose, che al momento non saprei precisare.
Per ora c’è un grosso ostacolo rappresentato dall’assenza di un formato unico. Credo anche che la scolastica, la saggistica, dovrebbe svegliarsi e fare di più. Mi sarei risparmiato la scogliosi se da ragazzo avessi avuto un e-book reader invece di uno zaino sempre strapieno di libri.
Quel che però mi preoccupa è il lato, appunto, oscurantista di queste rivoluzioni tecnologiche: tendono a farci assumere comportamenti bulimici, e decisamente solipsistici.
L’abbondanza della Rete non è quella della retorica “coda lunga” – mito distrutto più volte e al quale continua a credere soltanto qualche guru per ottenere qualche conferenza strapagata – bensì quella della ridondanza. Si continuano a dire, cercare, produrre, sempre le stesse cose. Inoltre, la cultura free di Internet, più forte di qualunque riflessione e mediazione del consumatore, spingerà verso il deprezzamento. Esattamente come è accaduto con la musica e il cinema.
Solo che finché si tratta di veder chiudere un negozio di musica, la vecchia sala o il blockbuster… ancora ancora. Ma una libreria è un luogo enormemente migliore, e più suggestivo, per l’incontro e la scelta di un romanzo, di un libro.
Esisterà il corrispettivo virtuale di questi spazi? Ho paura di no. Esisterà un modo, online, di imbattersi nei libri come accade nelle librerie? Ho paura di no. L’utente dell’e-book utilizzerà le conoscenze dovute agli input che riceve – sostanzialmente televisivi o del Web medesimo – per “scegliere”.
E così, proprio come Lady Gaga e Britney Spears sono in cima a tutte le classifiche di popolarità del Web, nonostante la loro musica inascoltabile, credo dovremo aspettarci qualcosa del genere.
Prontissimo ad essere smentito. E pure contento… 😉
@ Wu Ming1, grazie. Se e’ come dici tu, vuol dire semplicemente che e’ un modo per inchiappettare l’autore. In perfetto stile pizza e mandolino.
Amazon da’ il 70% come diritti agli autori, calcolati al netto dei costi di consegna (6 centesimi a libro). Se un libro si vende a 9 dollari, all’autore vanno in tasca 6.25$ (ad alcune condizioni, ovviamente: il prezzo deve essere tra 2.99 e 9.99$, e in ogni caso di almeno il 20% inferiore al prezzo di copertina dell’edizione piu’ bassa).
Un po’ diverso, no?
http://www.cbsnews.com/stories/2010/06/30/tech/main6633422.shtml
Chiarimento: ai SUOI autori, ovviamente. A quelli che pubblicano con Amazon.
Scusa Demonio, se Amazon dà all’autore il 70%, significa che per sé si tiene il 30% (ovviamente). Amazon è un distributore, quindi la percentuale di distribuzione è la stessa di cui parla Santachiara nell’intervista.
Quindi lo stile pizza e mandolino è molto praticato anche all’estero. Inoltre, lo scopo di Amazon, bene o male, è di bypassare l’editore, cercando di renderlo una figura superflua. Quando invece finora l’editore è stato la figura che investiva i suoi soldi in un libro, pagando l’anticipo all’autore, fornendo l’editing e le traduzioni, eccetera…
Ok, messa come vertenza mi è un po’ più chiaro. E quindi mi metto in standby aspettando aggiornamenti. 🙂
Anche perché il mio discorso era più interessato a parare sulle ragioni della crisi della lettura nella quale la questione del costo è, lo ripeto, secondo me non fondamentale, ma di più. E si lega moltissimo – oltre a molte altre cose storicamente legate alla cultura dell’educazione dell’Italia bambina (in senso ottocentesco, critico, intendo) che qui non ha senso riprendere ora – alla questione della formazione ed educazione alla lettura. E dunque alla formazione-educazione tout court. Ed eccoci di nuovo alla scuola (e all’università) dove io non credo che ci voglia l’Hubble per rendersi conto un massiccio uso dell’e-book, sia come ‘formato’ dell’oggetto libro (la faccio spiccia), sia come potenziale prezzo contenuto renderebbe molto più semplice per tutti quei docenti che lo vogliono fare (che sono la grande maggioranza) educare seriamente alla lettura. Qualcosa che, piano piano, andrebbe a porsi in una via di mezzo tra biblioteche (sempre più che necessarie – btw, il fenomeno del libro digitale non a caso sta interessando, e non certo da oggi, ma da dieci anni, i maggiori tra i bibliologi) e acquisto del libro. La cultura del leggere molto a scuola passa anche attraverso il superamento di antologie, testi ‘adattati’, commentati, edizioni (aiuto) scolastiche, schedine di lettura. Alle quali più o meno spesso (anche chi si pone come obiettivi di cedervi raramente) si deve cedere per avere a) l’unica edizione possibile di un libro altrimenti introvabile in edizione ‘civile’; b) un prezzo accettabile se non contenuto. E il diritto di provare, scegliere, assaggiare, abbandonare? L’e-book (oltre a porsi in una forma assai più consona per una generazione che, piaccia o non piaccia, sarà nuova), a tutto questo verrebbe incontro con grande semplificazione… Ampliando le possibilità nelle grandi praterie delle parole scritte. E all’università (specie la nuova) il discorso e i vantaggi, con qualche distinguo, non sarebbero poi così diversi…
Ma su questo mi rendo conto che tracimo, più o meno consapevolmente, nell’OT, e taccio.
Flash, stai scherzando, vero?
Amazon non paga nessun distributore, distribuisce direttamente lui. Cosa che la CE potrebbe fare benissimo sul suo sito, aggirando ogni altro intermediario. Smettiamo di ragionare sull’ebook con categorie cartacee: l’ebook e’ un file. Non c’e’ bisogno di intermediari, cribbio!
Amazon in questi casi fa sia da editore sia da distributore. E lascia all’autore il 70% del prezzo di copertina. Secondo te non c’e’ differenza tra un’offerta che ti lascia in tasca il 70% o il 15%?
Boh.
Non so, fai tu.
A proposito di Gomorra, ne esiste una edizione digitale (formato doc, pdf e prc) facilmente reperibile. L’ho appena convertita in epub e me lo rileggerò, per vedere che livello di qualità ha.
L’ebook è una opportunità per incontrare lettori: alcuni libri fortunati camminano addirittura da soli, spinti dall’amore dei loro lettori.
@ marco v
beh, sul fatto che i negozi di dischi non fossero dei posti suggestivi e/o formativi avrei molto da ridire (ovviamente non penso ai megastore).
Per quanto riguarda la possibilità che si formino dei luoghi virtuali equivalenti agli spazi fisici in via di sparizione, credo che qualcosa stia già succedendo. Anobii, per dire, o la pletora di blog musicali, letterari, cinematografici, sono tutti terreni fertilissimi per chi sia in cerca di suggestioni. Mi viene da pensare che siamo ancora in una fase “infantile”, cioè che siano prevalenti approcci esibizionistici (guarda quanti libri nella mia libreria! guarda quanti mix oscuri di brani afro anni ’70! guarda quanti film ho visto!…), mentre sull’aspetto collaborativo c’è probabilmente molto da lavorare. Forse, e sottolineo tre volte il forse, una fase più matura della rete potrà portare al superamento/ridisegno di quelle figure di mediazione culturale che sono gli editor, i produttori, i critici e quanti altri. In linea teorica mi sembrano possibili tanto una “casa editrice virtuale”, cioè un soggetto collettivo che acquisti nel tempo l’autorvolezza, le capacità redazionali e il livello di riconoscibilità pubblica per promuovere testi al di fuori del circuito mainstream, quanto una libreria virtuale nella quale il lettore a caccia di suggestioni possa trovarne a partire dai suggerimenti, le indicazioni, i consigli di una comunità di suoi pari.
[tra parentesi, quante sono le case editrici che fanno un vero lavoro di editing? nela pubblicistica scientifico-tecnica, che credo rappresenti una percentuale rilevante di quanto viene pubblicato in questo paese, è già tanto se viene usato il correttore ortografico, almeno nelle esperienze che sono capitate a me]
Non tutti gli scrittori possono fare gli aedi/menestrelli: c’è chi è noioso, chi ha una brutta voce, chi è timido e chi tartaglia. Quello che si potrà forse fare però è aggirare sempre più i filtri che si frappongono fra scrittore e lettore usando questa benedetta rete – e dunque invece di pagare la pubblicità, l’agente, la casa editrice, questo e quello, i soldi dell’e-book vanno direttamente allo scrittore (e allo stato, perché lo scrittore bravo paga pure le tasse :-)).
“La cultura del leggere molto a scuola passa anche attraverso il superamento di antologie, testi ‘adattati’, commentati, edizioni (aiuto) scolastiche, schedine di lettura.” Questo chi lo vuole fare a scuola lo fa già. Con ciò non voglio dire che l’e-book non sia uno strumento in più per superare lo scoglio libro-mattone (quello che ci si sente dire dai ragazzi di solito è: “ma prof ha troppe pagine!”), a favore dei contenuti. Tuttavia altri felici ritrovati della tecnica come la LIM non stanno avendo il successo che si crede che abbiano. Ci sono ragazzi che amano prendere in prestito il libro dalla biblioteca di istituto, altri che preferiscono ascoltarsi l’audio-libro con l’ipod. Dipende dal carattere, e non ha senso imporre nulla a nessuno, semmai dare a tutti la possibilità di integrare vari tipi di lettura, senza criticare troppo gli strumenti che ci sono già, che spesso sono di qualità ottima.
L’intervista offre molti spunti di riflessione, così come gli ottimi commenti. Io credo nell’ebook, è un’opportunità. Per me non è soltanto un testo che dal cartaceo diventa digitale, ma un altro modo di stare insieme. Come è accaduto e accade tuttora con la musica, dove la bellezza dell’ascolto del brano passa dalla fruizione-condivisione su internet (legale e non) e dal supporto, in molti casi l’iPod (ma che può essere anche un banale cellulare) che trasforma il tutto in evento-appartenenza. Con mio enorme stupore posso dire, ultimamente, di aver fatto molte più conoscenze con l’iPod nel microcosmo Metro (in cui tutto sembra in pausa) che senza, in una sorta di trasmissione-condivisione di pensiero che scavalca le parole che entrano, sì, in gioco, ma solo in un secondo momento per raccontare una storia o il suo banale contrario. La musica evoca un sentimento e le parole lo raccontano in una storia. Per questo potrebbe essere importante l’ebook, perchè in grado di raccontare una storia anche con poche parole. Un po’ come avviene nei social network (a me piace molto twitter), dove ogni apparente banalità può assume il contorno-contenuto di una storia, proprio perché in “condivisione”. «Mi sento come la notte», è una storia se scritta su twitter rispetto allo scrivere la stessa frase su un diario che rimarrà chiuso in un cassetto. E se fatta girare in un tam tam digitale potrebbe risultare emotivamente coinvolgente come un brano musicale. Chissà, potrebbe essere proprio l’ebook a scavalcare quel problema “scuola” di cui parla Santachiara e che meriterebbe tuttavia il giusto approfondimento. Concludo scrivendo che per un autore quello che conta è essere letto. Il compito dell’agente è sicuramente quello di difendere il lavoro dello scrittore ma anche di trovare e provare tutte le strade per consentirgli di raggiungere il maggior numero di lettori.
Giacomo.
@ Paolo Z
“tra parentesi, quante sono le case editrici che fanno un vero lavoro di editing? nela pubblicistica scientifico-tecnica, che credo rappresenti una percentuale rilevante di quanto viene pubblicato in questo paese, è già tanto se viene usato il correttore ortografico, almeno nelle esperienze che sono capitate a me”
non so quanto possa consolarti, ma nella casa editrice per cui lavoro (e che fa prevalentemente saggistica) noi redattrici/redattori lottiamo ogni giorno per fare “un vero lavoro di editing”: è una gran fatica, hai proprio ragione, proprio perché gli altri (i cosiddetti nostri “competitor”) sì e no usano la correzione automatica e quindi hanno meno problemi con gli autori (mi dispiace moltissimo dirlo, ma molti autori non amano particolarmente essere “redatti”…), meno costi fissi (sì, si chiama proprio così il compenso per il mio lavoro intellettuale…), più velocità di produzione.
E’ una battaglia pesante e dura, ma continuiamo a combatterla!
Forse mi sono spiegato male…
Quello che intendevo dire è che la “fregatura” non è italiana, ma internazionale.
Amazon è un distributore che fa pagare molto cari i suoi servizi (30% senza bisogno di spendere in camion, magazzini eccetera). Amazon non è in nessun modo un editore: infatti non paga anticipi, non paga uno o più editor, non traduce il libro in altre lingue eccetera. Però “gioca” cercando di convincere gli autori che il suo ruolo, di distributore, è importante mentre dell’editore si può fare a meno.
Posto che sono d’accordo con Santachiara e spero vivamente che le percentuali finali all’autore siano il più alte possibile (anche perché, beh, ci vivo), io non credo che si possa rinunciare né al distributore né all’editore. Fanno lavori diversi, e servono tutti e due. Sarebbe scomodissimo che ogni editore metta in vendita gli ebook sul suo sito: ti immagini dover visitare X siti per comprare X libri di editori diversi? E se io voglio un libro ma non so che CE lo ha pubblicato? Molto più comoda una “libreria” unica.
E d’altra parte anche il lavoro dell’editore è importante, e diverso.
Uscendo dalle logiche “cartacee”, però, sia distributore che editore dovrebbero probabilmente riflettere un po’ sulle percentuali che chiedono e che offrono. Perché se l’autore alla fine della fiera è quello a cui restano solo le briciole, si ingegnerà il più possibile per trovare altre strade, e alla fine ci perdono tutti.
@claudia b.: “Questo chi lo vuole fare a scuola lo fa già”.
certo che lo fa già! a scuola come all’università… ma proprio per questo non si capisce perché non lo si possa aiutare a farlo meglio…! Nessuno critica gli strumenti che già ci sono come metodo, ma nel merito di molti (anche se non tutti, certo, però… sappiamo bene che nella scelta ci sono dei vincoli che l’e-book, insieme a tante altre cose, certo, può aiutare a bypassare – penso per esempio, nel caso della scuola, a libri in adozione uguali per tutte le sezioni e le classi, e al vincolo di cinque anni, beh, puoi avere anche la sfiga che il libro che ti ritrovi adottato non è né buono, né, nel migliore dei casi, quello che avresti voluto tu -) beh, quello sì… Non nel senso che una cosa sostituisce l’altra, ma si affianca, aiuta, dà altre possibilità… (pensa al sito di liberliber, tanto per dire…: non conosco scuola, università, docenti e – quel che più importa – alunni e studenti autenticamente interessati che non lo abbiano tra le loro priorità…). E’ come per la propaganda politica: medium dopo medium, si sono aggregati e sovrapposti, e convivono ancora tutti, dal leaflet all’email… (il paragone è solo di mezzo, non di metodo, e non sto dicendo che la lettura sia propaganda, sia chiaro! 😉 )
Flash, perdonami allora, avevo frainteso.
Si’ e no su quello che dici. Nel senso che per me il distributore nella fiera ebook non dovrebbe proprio esistere. Mi spiego: io CE dedico un prezzo per il mio ebook. Se IBS o altri decidono di metterlo in vendita sul loro sito, devono LORO abbassare il prezzo per fare concorrenza al sito della CE. Ma questo NON DEVE incidere sui diritti dell’autore. Stiamo scherzando?
E’ vero, e’ scomodo dover andare a cercare un libro sui vari siti delle CE. Ma per questo c’e’ Amazon. Se mai decidesse di sbarcare in Italia, ovviamente, e vendere libri italiani.
Se io fossi un autore, non ci penserei molto per decidere cosa fare con i miei diritti ebook: Amazon. Subito. Perche’ e’ vero che devo fare editing dei miei libri, ma posso pagare questo servizio a parte. Non ho bisogno della CE. E se anche il servizio di editing mi costasse il 10% dei miei guadagni, bene, sarei sempre LARGAMENTE al di sopra di quello che gli attuali editori italiano stanno offrendo.
Sul prezzo dell’ebook poi. Io lo so che alcuni autori dicono “no, ma, eh, pero’, tu non consideri”, ma il sistema per trovarlo e’ davvero molto semplice: si prende il prezzo di un libro fisico. Si tolgono i costi di distribuzione, i costi di stoccaggio, la carta, l’invenduto. Si includono editing, e riformattazione, e soprattutto i diritti degli autori, che non dovrebbero cambiare (se prendi 3 euri su il prezzo di un rilegato, devi prendere 3 euri su un ebook). Et vois-la il nostro prezzo, che non sara’ mai al di sopra del 30% di un libro fisico.
Tutto il resto e’ un furto.
PS: e poi scusate, ma quali sono i costi di “distribuzione” per un sito internet che venda ebook? A parte gestire un sito e mettere dei file online?
Scusa Demonio, io non capisco una cosa: perché IBS no e Amazon sì? Sono esattamente la stessa cosa, distributori. Applicano le stesse percentuali. Solo che uno è italiano e uno americano.
Per quanto riguarda l’editore, tu non consideri una cosa. A parte gli autori da vetta delle classifiche (Stephen King, la Rowling, eccetera), uno scrittore ha bisogno di soldi. Gli serve un anticipo con cui pagare l’affitto e le altre spese, durante i mesi di lavoro per finire un libro. Poi bisogna pagare l’illustratore, l’editor, l’ufficio stampa, e tutti gli altri.
Il primo ruolo dell’editore è proprio questo, aprire il portafoglio e investire, finanziando il gruppo.
Se uno scrittore ha abbastanza soldi per non preoccuparsi di dover sopravvivere, e in più ha i mezzi per pagare di tasca sua l’editor e l’illustratore e tutti gli altri… e se ovviamente questo scrittore è disposto a trascorrere numerose ore al giorno per gestire queste attività invece di scrivere… allora appunto dovrebbe cambiare mestiere e fare l’editore.
@’povna
d’accordissimo, era anche quello che dicevo io 🙂
Però l’e-book ha un costo, e se bypassare il vincolo del libro di testo significa suggerire ai ragazzi di comprarne un altro, che sia in formato e-book o in cartaceo che differenza fa? Agli studenti non può essere chiesto di spendere oltre il budget stabilito l’anno precedente, firmato e controfirmato dal dirigente scolastico, per cui se il materiale è scaricabile gratis va benissimo, ma se ha un costo il problema persiste. Più rimane economico confezionare artigianalmente mini-dispense e fotocopiarle a spese della scuola (dove te lo permettono, nella mia sì) che chiedere alla scuola di comprare un tot di kindle o riservare ai ragazzi che se lo possono permettere il privilegio di leggere libri digitali. Ora parlandone mi viene il sospetto che potrebbe essere un ulteriore strumento di differenziazione sociale, come se non ce ne fossero abbastanza.
Ti faccio un esempio praticissimo: lo scorso anno scolastico ai ragazzi di prima è stato affidato il compito di presentare una ricerca, con massima libertà di mezzi a scelta fra ricerca tradizionale, LIM, powerpoint, addirittura scritta a mano sul foglio protocollo, insomma, ognuno secondo le proprie inclinazioni personali e attitudini, con massima collaborazione dell’insegnante. Risultato: chi aveva il papà cool ha presentato una ricerca in powerpoint usando la lavagna interattiva facendo un figurone, chi invece per condizioni famigliari (stiamo parlando di ragazzi di 14 anni di un piccolo comune montano) non poteva essere aiutato, non ha magari sfigurato e la ricerca l’ha esposta lo stesso, ma di sicuro ha fatto meno impressione (ciò non ha influenzato il voto ma certamente ha prodotto una sensazione di diseguaglianza sociale). Sono discorsi magari un po’ complessi da fare qui, ma è imporante che la tecnologia non diventi fattore di esclusione sociale, più che inclusione, in una istituzione ancora così tradizionale come la scuola italiana. Dopodiché, nel mio privato sto in rete tutto il giorno, leggo e scrivo sull’iPad, ecc, per cui non è una questione di pregiudizio, ma di piedi ben piantati in terra e soprattutto di consapevolezza dei limiti di una scuola, che fra l’altro cerca davvero di fare del suo meglio, almeno secondo la mia esperienza.
Flash: IBS va benissimo. Ma IBS non sta facendo l’amazon de noantri, mi pare. Se abbiamo interpretato bene le parole di Santachiara quando parla di sconti e distribuzione, IBS si limita a mettere dei link sul suo sito a file preparati altrove, facendoli pagare meno grazie a uno sconto praticato dalla CE. E a farne le spese e’ l’autore.
Se IBS facesse come amazon, pubblicherebbe/distribuirebbe con esclusiva sul proprio sito gli autori italiani, dando loro il 70%.
No, IBS non e’ Amazon, al momento. Non dico che non lo possa diventare, ma di sicuro non lo e’ adesso.
Ecco, la questione anticipo e’ piu’ spinosa. Ma anche quella e’ facilmente superabile se nascessero editori dedicati agli ebook, esattamente con lo stesso ruolo. E’ quello che il Wylie citato nell’intervista sta cominciando a fare.
A quel punto, si potrebbe prospettare una scelta:
1) CE tradizionale, con il sistema da furto delineato da Santachiara.
2) CE solo online, che dia anticipi, ma che dia il 50% dei diritti all’autore.
E’ davvero cosi’ impossibile da immaginarsi?
Avendo sottomano in questi giorni il libro “Crowdsourcing” http://is.gd/dN2GX di Jeff Howe, in particolare il capitolo che riguarda la musica, per puro interesse personale – e se non è troppo fuori tema – volevo chiedere a chi è più addentro alla questione fino a che punto questo modello potrebbe farsi strada anche nel mondo dei libri, se è ancora presto per dirlo, se consumi musicali e letterari non sono affatto paragonabili o se in realtà le analogie sono già più di quanto si potrebbe pensare. Se può servire da termine di confronto, riporto un passo appena tradotto:
«[…] band come gli Hawthorne Heights tengono i costi di produzione e promozione i più bassi possibile. Rendono le loro due o tre canzoni migliori accessibili al download o all’ascolto in streaming e usano i social network e le email di aggiornamento per raggiungere un pubblico affamato di nuova musica. I convertiti diventano dei fanatici, che scaricano le ultime novità della band appena compaiono sulle reti peer-to-peer. Il risultante calo delle vendite è più che compensato dai biglietti per i concerti, dalle T-shirt, le felpe, le tracolle, i poster e gli adesivi. Il passaparola elettronico diventa una strategia di marketing che fa anche da strategia di distribuzione, perché sempre più potenziali acquirenti scaricano le canzoni del gruppo e – così spera la band – a loro volta le condividono con gli amici.
Questo è il primo serio modello dell’industria musicale nel dopo Napster. Con poco clamore, gruppi come gli Hawthorne Heights si stanno guadagnando da vivere con la musica vendendo un numero modesto di dischi: da cinquantamila a cinquecentomila a uscita. Mentre il commercio musicale è travolto dal crowdsourcing, le funzioni cruciali un tempo svolte dalle etichette vengono assorbite dai fan. In un ecosistema digitale, la musica diventa un articolo civetta il cui scopo è solo creare più fan, più evangelisti, più acquirenti di biglietti. La maggior parte delle band emergenti non considera la condivisione illegale di file peer-to-peer un atto di pirateria; la vedono come un canale di promozione e distribuzione. E anche se le vendite di cd costituiscono ancora il grosso dei ricavi del settore, rivenditori digitali come iTunes, Rhapsody ed eMusic guadagnano quote di mercato. I costi per realizzare e distribuire un prodotto digitale sono trascurabili.
Come xxx, gli Hawthorne Heights hanno concepito la loro strategia in risposta alle circostanze. […]»
E’ stato detto tantissimo ma vorrei sottolineare qualche punto.
Il libro di carta ha una sua economia d’uso che difficilmente un mezzo elettronico potrà eguagliare del tutto. Leggero, resistente e inerte. Lo puoi buttare dalla finestra e andarlo a riprendere.
Ti cade dagli scogli mentre vai al mare, smadonni ma lui è li che ti aspetta, un’asciugata e alè. Se si rompe un pezzo il resto è fruibile, lo puoi sottolineare scorrere con due dita velocemente e disegnarci sopra, puoi piantarci un chiodo dentro, poi lo metti li e con un gesto lo hai pronto di nuovo. Non necessita alimentazione.
Detto questo veramente ci mi sembra che manchi un tassello.
Abbiamo scoperto, anche grazie agli ottimi wu ming, che è il rapporto con l’autore e l’opera che ci fa cacciare il soldo e comprare e non l’obbligo di dover acquistare.
Vi ricordate quando c’erano gli lp in vinile? Avevamo decine di cassette ma il mercato tirava alla grande, se ti piaceva il mio disco, pero’, te lo registravo mica andavi per forza a comprarlo, ti compravi quello del tuo artista preferito quando usciva…
Il problema è quando il digitale fa disamorare dall’autore e dall’oggetto acquistato.
Per me la forma è sostanza, ho delle edizioni dei newton 1000 lire di racconti belli e introvabili; testi strani e rari, ma sono oggetti terribili e restano impilati in un angolo della libreria, il posto d’onore sta ai testi amati davvero e ai buoni ma belli, oggetti curati su cui qualcuno ha speso tempo e voglia per renderli oggetti particolari, come era con gli lp.
Quindi l’importante è coltivare un rapporto con i lettori, coltivare stima e partecipazione. Non fare i piacioni dentro le opere ma nella amare il pubblico nella gestione delle opere. Questo ripagherà sempre.
Poi, se non c’è una edizione, a che serve l’editore?
Se l’editore serve solo a scegliere la roba buona dalle fetecchie, per quello e meglio di loro bastano gli autori o i lettori (anche critici).
Secondo me l’editoria digitale potrebbe con poco essere l’autostrada dei nuovi autori.
Scrivo il mio libro d’avventura, lo mando per mail ad un autore, giornalista, curatore, critico stimati, quello lo apprezza e lo segnala presso di sé, oppure mi risponde che fa schifo.
Se Lucarelli dice “leggete tizio o caio che sono giallisti bravi e giovani” la gente fa la fila a scaricare a due o tre euro i libri di tizio e caio, e visto che non sono famosi non sono piratabili.
Che si creino delle piattaforme serie di avvistamento di talenti garantiti da chi sa il fatto suo, e con paypal il gioco è fatto. Altro che percentuali, basterebbe un sito curato bene, o anche un blog, dove gli autori affermati che ci capitano linkino ebooks di esordienti bravi a pagamento a uno due o tre euro. fine.
Se la Lipperini ci consigliasse, che ne so, una canzone su itunes a 99 cent, quanti andremmo di corsa a sentire di cosa si tratta?
Lasciamo perdere i lunghi periodi, se vogliamo il futuro è già qui.
Poi html o kindle è uguale, non ci riempiamo la bocca con l’evoluzione.
Basta cambiare modo di fare per la visibilità e la fruibilità, perchè quello che sta cambiando rispetto a prima è la condivisione e la partecipazione, e
noi qui ne siamo la prova, basta attaccare la narrazione a questa partecipazione.
D.
aggiungo due cose:
una pacca a nazzareno perchè abbiamo detto cose simili quasi contemporaneamente.
e la seconda è che: certo, nelle scuole si dovrebbero inserire e-reader per legge e dire agli editori, :signori siamo lo stato e da questo anno scolastico x tutti i libri dovranno essere digitali. punto.
notte a tutti.
d.
Dopo aver ricevuto velate minacce di azione legale per l’irriverenza del mio blog, penso che riparerò in Islanda:
http://www.repubblica.it/esteri/2010/07/26/news/islanda_paese_senza_bavaglio-5830551/?ref=HREC1-1
@ Daniele: un parere ai ragazzi chiederglielo no, eh? La scuola non è né degli editori e neppure dei dirigenti scolastici, e men che meno dei ministri, ma degli studenti. Quando i ragazzi vorranno davvero i libri digitali troveranno il modo di farlo sapere, non dubitarne.
@daniele(2): esattamente, anche secondo me… anche quelli di testo (o la parte più specificicamente di studio ‘manualistica’ etc) – e (mutatis mutandis) anche per i corsi universitari…
@claudia b: ma infatti ai ragazzi piacerebbe molto… può darsi che sia solo una percezione distorta dell’ordine di scuola (superiori) e delle regioni (Lombardia, Toscana, Emilia) dove ho potuto consultare dati e (appunto) domande sul campo: i ragazzi non aspettano altro, e spesso bombardano gli insegnanti, se appena appena si rivelano ‘informaticamente affidabili’ di domande su se e dove “posso acquistare [sì, acquistate, non scaricare] il libro online?
“Se l’editore serve solo a scegliere la roba buona dalle fetecchie, per quello e meglio di loro bastano gli autori o i lettori (anche critici).”
Non sono d’accordo…
Innanzitutto l’editore non fa solo questo, ma si spera che abbia un piano editoriale, un’idea precisa sul “discorso” culturale che vuole fare. Per curare e pubblicare collane di narrativa italiana, straniera con realtive traduzioni, riedizioni di classici, critica, saggistica, poesia…serve personale competente, che abbia presente il panorama nazionale e internazionale, quanto è stato scritto e pubblicato nel passato e che viene pubblicato al momento, che faccia editing, magari scouting, ecc.
E poi secondo me la selezione dei manoscritti che si fa a monte è fondamentale: i “lettori” delle CE concordano sul fatto che 99 manoscritti su 100 finiscono nel cestino. Chi ha voglia, quale lettore o critico, di investire gratis tanto del suo tempo a vagliare tra centinaia di autopubblicazioni, per imbattersi nell’1% decente, e poi consigliarlo, sempre gratis, a tutti gli altri? E poi un lettore che conosce già una certa CE può in qualche modo valutare la sua serietà, la sua qualità ecc. e immaginare che se ha investito su una certa opera un po’ ci crede.
Infatti a me nel discorso di Santachiara piace anche che riconosce il ruolo dell’editore, ed è contro il collega americano.
@ francesca violi
sono d’accordo! Il lavoro editoriale è soprattutto, e a monte, un discorso culturale da portare avanti e attorno al quale costruire tutto il resto.
Anche a me l’intervista a Santachiara è piaciuta molto proprio perché riconosce l’importanza e la specificità dei differenti ruoli e chiede che vengano riconosciuti (anche economicamente).
@’povna
“i ragazzi non aspettano altro, e spesso bombardano gli insegnanti, se appena appena si rivelano ‘informaticamente affidabili’ di domande su se e dove “posso acquistare [sì, acquistate, non scaricare] il libro online?”
A me sembra una cosa ottima, posto che non si riveli una fregatura per gli autori, come si sta discutendo qui e nell’altro thread. Per quanto riguarda la mia esperienza (Trentino), i ragazzi sono ancora molto legati a forme tradizionali di trasmissione del sapere (dev’essere l’aria buona, e le poche pretese dei genitori che a volte combinano in maniera davvero sorprendente cultura alta e senso pratico). Per come stanno le cose nelle scuole del Nord, personalmente da insegnante inviterei gli studenti smanettoni a dedicarsi senza dubbio a Internet e all’editoria digitale, senza però che gli altri si sentano per forza arretrati, cioè senza creare ulteriori forme di antagonismo socio-economico, di cui non si sente proprio il bisogno. In fondo ciò che conta è il testo, cioè il contenuto, e non il supporto, che può essere anche una fotocopia su carta riciclata per non parlare della parola (scusate l’inghippo) che a scuola è ancora più incisiva del testo.
Quello che volevo sottolineare io, è che visto che l’editoria tradizionale continuerà certamente ad esistere anche con materiale digitale, perchè non creare delle alternative?
Adesso con l’editoria di carta l’editore è essenziale anche per la stampa, lo stoccaggio e la distribuzione delle copie.
Con il digitale, invece questo aspetto viene a cadere, e si possono immaginare scenari diversi, certamente paralleli, visto che il futuro vedrà certamente posto per una frammentazione di realtà contigue anziché la sostituzione di qualcosa con qualcos’altro.
Certo che ci sarà sempre una massa che avrà voglia di sapere solo quello che gli viene sparato addosso passivamente da qualche media di fiducia, e una minoranza che si andrà a cercare attivamente qualcosa di diverso.
Io non credo assolutamente che venga pubblicato solo l’1% delle opere proposte perchè il restante 99 non meriti la pubblicazione, ma perché l’editore ha una sua linea, deve rientrare nei costi, si deve sobbarcare un investimento ecc.
Quando le idee nuove,vengono messe su e avviate, poi forse, vanno da qualche parte.
Se, grazie alla rete, si creassero dei luoghi letterari dove ebooks di esordienti e non, vengono presentati da persone competenti o imposti a furor di popolo, il tutto pagando due o tre euro agli autori tramite paypal o simili per ogni download, allora si, che si sfrutterebbe realmente la tecnologia per cambiare approccio, poi parallelamente che esistano pure gli editori con i loro piani editoriali e le loro collane.
Sono certo che in rete, romanzi scartati da vari editori potrebbero diventare certamente dei casi letterari.
D.
@ Claudia B.
Se gli studenti delle scuole avessero la minima coscienza ed autorevolezza per chiedere di cambiare qualcosa, ci saremmo risparmiati decenni di professori psicopatici e zaini da quindici chili.
D.
@daniele: secondo me il problema è selezionare questi libri da imporre “a furor di popolo” per poi offrirli all’attenzione delle masse. In rete circolano infatti migliaia di libri autopubblicati, disponibili a basso costo o anche gratis, la maggioraprte scartati immagino da editori tradizionali. Ma chi si mette, gratis, a leggerseli per trovare quelli buoni? Per esempio Vibrisse lo faceva (non so se è ancora attivo): visionava manoscritti e pubblicava online (scaricabili gratuitamente), quelli che riteneva meritevoli, per poi propoli a un editore cartaceo. C’era tutta una squadra di lettori volontari che leggevano e redigevano schede di valutazione, e poi immagino un comitato che decideva quali libri selezionare. Insomma un lavorone, con un ruolo intermedio tra CE e agente letterario. E pochi sono stati i testi da loro ritenuti validi per la pubblicazione online…
http://www.vibrisselibri.net/?page_id=13
per dire che secondo me non è che in rete circoli poi tutto questo ben di dio di capolavori misconosciuti.
Io sono un autore in passato pubblicato e spero anche in futuro. E secondo me e’ gıusto che prima o poi quelli come me sı autopubblichino i loro nuovi ebook senza edıtore e senza agente. tutti i soldi all’autore mi sembra l’unica cosa giusta.
Ho letto abbastanza distrattamente i commenti peraltro pregevoli. Trovo che l’e-book trovi resistenze inconsce abbastanza forti. Ci sono delle resistenze massime tra lettori e editori e la matassa è dura da sbrogliare.
Ci vorrà lo psicoterapeuta ad hoc? Saluti.