Fra le centinaia di commenti del post di giovedì, ce ne sono tre, a firma Wu Ming 1, che riguardano la scrittura e il genere. Dal momento che ritengo il tema decisamente, centrale, li riporto qui, di fila.
Non ci suona mai strano che quando si parla di scrittori si facciano quasi sempre elenchi di autori maschi, mentre gli elenchi di autrici, nove volte su dieci, si fanno solo se si sta parlando di “scrittura femminile”. Fuori da quella cornice specifica, elencare solo autrici suona strano, e se qualcuno lo fa (come Alfonso Berardinelli in una puntata recente di Fahrenheit), gli viene subito chiesto: “Come mai ha elencato solo donne?” (Berardinelli ha risposto, più o meno: “Mi è venuto così. Se avessi elencato solo uomini, me l’avrebbe fatto notare?”)
Noi maschi abbiamo abitudini, espressioni del nostro carattere, rituali quotidiani che si sono sviluppati grazie alla disparità tra i generi. Per forza tendiamo a non vederla, e ce la devono far notare le donne. Noi siamo totalmente immersi nella disparità. Quindi la nostra percezione, in sé, vale poco o nulla. Quando un maschio mi dice che non gli sembra che in giro ci sia tutta questa discriminazione della donna, io gli rispondo: “Appunto: non ti sembra”. Tu dici che “non osservi” disparità. No, Giuseppe, tu (come me) la disparità non la vedi. E’ diverso. Noi non la vediamo, non ce ne accorgiamo nell’immediatezza, dobbiamo ogni volta “pensarci”, arrivarci con il ragionamento, sforzandoci di guardare da fuori la nostra posizione di predominio.
Tutto è sessuato: esiste eccome una scrittura maschile, un cinema maschile, un’arte maschile, solo che quella “mascolinità” è interpretata come la normalità, la natura delle cose, perché il punto di vista maschile sul mondo è quello dominante, è quello “di default”. Quindi tale “sessuazione” viene notata e fatta notare molto più di rado. Noi maschi nemmeno ce ne accorgiamo che il mondo è sessuato a nostra immagine e somiglianza, devono sempre farcelo notare coloro che ci vivono in modo …meno comodo. Invece lo sguardo delle donne (che, s’intenda, è uno sguardo plurale, molteplice; non vorrei essere frainteso e accusato di considerare le donne tutte uguali!) è considerato l’eccezione, “l’altro” punto di vista, da tenere in considerazione per “contentino”, e in ogni caso è la cornice minore, il sotto-insieme.
Per questo si parla di autrici prevalentemente in dibattiti a tema specifico (”il ruolo delle scrittrici” etc.), mentre si parla di autori maschi sempre. Appunto: noi siamo “l’impostazione di default”: accendi un qualunque terminale della macchina sociale, e parte la modalità maschile; per tener conto delle donne, un maschio deve sempre andare sulla barra degli strumenti, cliccare “Opzioni” e cambiare l’impostazione.
Quello che fa intuire la “sessuazione” di un’opera è soprattutto ciò che nell’opera viene rimosso. E’ dall’assenza, dalla mancanza, dall’esclusione di aspetti della vita fondamentali ma ritenuti automaticamente “pertinenti” al solo mondo femminile che si capisce quanto un autore maschio rimanga confinato nel proprio punto di vista o in che misura riesca a uscirne, o almeno problematizzarlo.
Faccio l’esempio dell’Autobiografia di Benjamin Franklin. Da sempre Franklin è visto, descritto e ammirato come l’epitome dell’inventore poliedrico, del “self made man”, del genio-a-tutto-tondo: scienziato, filosofo, politico, scrittore, editore, affarista, imprenditore, diplomatico, educatore… Un autentico prodigio. E l’autobiografia racconta questa parabola umana caratterizzata da versatilità, quasi-ubiquità, vulcanica verve e volontà di potenza creatrice. Il libro è uno dei grandi classici della letteratura (e dell’ideologia) americana.
Ora: Franklin ebbe tre figli e una plètora di nipoti.
Franklin ebbe sempre tutto il tempo che voleva per dedicarsi alle sue numerose imprese per un motivo molto semplice e banale. Talmente banale che nessuno ci pensa mai, e questo vale per *tutti* i Grandi Uomini della Storia (artisti, politici etc.)
Il motivo molto banale è che dei suoi figli se ne occupò esclusivamente la moglie. Come tante, innumerevoli mogli e compagne, quella donna si occupò dell’ambito domestico e parentale, lasciando libero l’uomo di “estroflettersi” verso il mondo e l’Imperitura Memoria.
E questo è il grande rimosso dell’opera che ho preso ad esempio. Questo mondo in ombra che permetteva lo svilupparsi del mondo baciato dal sole, nel libro di Franklin è presente solo in sporadici, vaghissimi incisi e parentesi, e sempre come pretesto per rafforzare ulteriormente l’immagine del Franklin “saggio uomo pubblico”. Un esempio?
“Nel 1736 persi uno dei miei figli, un bel fanciullo di quattro anni, a causa del vaiolo contratto nella maniera solita. Ho rimpianto a lungo amaramente e tuttora rimpiango di non averglielo fatto iniettare come vaccino. Ne parlo nell’interesse di quei genitori che trascurano questa operazione […]” etc. etc.
“Un bel fanciullo di quattro anni” è tutto ciò che veniamo a sapere di quel bambino. Suo figlio. Un fantasma. Un’ombra passeggera.
Ecco, questa per me è l’apoteosi della scrittura sessuata maschile.
E, attenzione, non è solo un problema del XVIII secolo: persiste ancora oggi, raramente messo in discussione.
In quanti, leggendo un libro scritto da un uomo, si accorgono della suddetta esclusione?
In quanti romanzi scritti da uomini si tiene conto dell’immensa mole di lavoro femminile sovente non riconosciuto come tale (lavoro domestico, mestiere di madre, di moglie etc) che, se non venisse svolto, eliminerebbe la possibilità di vedere i personaggi maschili scorrazzare sulle pagine, saltando da un’impresa all’altra?
Forse anche perchè a ing. meccanica l’ambiente per una ragazza non era dei più accoglienti…una mia amica che appunto è ingegnere meccanico, mentre studiava, forse 10-15 aanni fa, al Politecnico di Milano, un giorno arrivò tardi a lezione, in una della aule a gradoni, e fu accolta dai suoi compagni di corso (circa un centinaio di maschi) con cori di “nuda nuda”. Questo davanti al professore ridacchiante.
che bel blog e quanto sono stata pigra fino ad oggi: ho ritrovato uno sguardo che viene da lontano -ho 62 anni – , che condivido con poche amiche -ex alunne ed alunne, qualche sporadica collega con cui ho in comune un lungo percorso di genere – e che mi appare più diffuso e soprattutto vivo di quanto supponessi, abitando nel profondo sud e avendo a che fare ogni giorno con adolescenti la cui vacuità ,ovviamente culturale, e il cui disinteresse profondo a se stesse/i mi angoscia.
Oggi mi avete dato motivo e forza per continuare e cercare di migliorare nei miei instancabili tentativi di far affiorare le capacità di ragazzi e ragazze abbrutiti/e dal deserto devastante di idee, di proposte, di senso.
Ragionare per stereotipi —-> stereotipo della vacuità culturale dei giovani.