COME GLI ALTRI

Diversi anni fa, due studiose, Cécile Dauphin e Arlette Farge, curano uno studio intitolato La violence des femmes, premurandosi di dire, nella premessa,  che l’argomento sarebbe stato doloroso per il femminismo. All’interno dello studio, la violenza femminile viene però minimizzata, e la ferocia delle donne davanti alla ghigliottina, per esempio, ridotta a “barbara allegria”. E’ Dominique Godinau a sottolinearlo: ricordando però, solo alla fine del suo saggio, che in effetti le donne hanno dato la morte “come gli altri”.
Su questo “come gli altri” si è soffermata, lucidamente, Elisabeth Badinter ne La strada degli errori: “la violenza femminile – dice – è difficile da pensare perché mette in pericolo l’immagine che le donne hanno di se stesse”.  Dunque, desta stupore e orrore la kamikaze che fa esplodere il suo corpo, o la sequestratrice di bambini a Beslan.  Forse perchè, scriveva un’altra filosofa, Monique Canto-Sperber, “giudico le donne più realiste, meno soggette a diventare fanatiche, a inebriarsi della causa”.
Bene, non è così.  Le donne hanno preso parte attivamente agli stermini della Germania nazista e al genocidio in Ruanda (3564 accusate). Una donna, nel 2003, è stata condannata per il ruolo svolto nell’epurazione serba durante la guerra di Bosnia. Mi fermo qui.
Ora, quel che ho letto in questi due giorni mi ha turbato molto: come è stato ricordato nei commenti al post di ieri, “a scatenare l’apocalisse ieri nella Capitale durante il corteo degli Indignati sono stati, soprattutto, donne e minorenni: i 12 arrestati sono tutti sotto i trenta anni; tra gli otto denunciati i minorenni sono sei. Tra loro anche quattro donne”.
Anche.
Perché  quel che leggo è di questo tenore: se ci fossero state le sigle organizzate delle donne, se fossero state le donne stesse, anzi, a convocare la manifestazione di sabato non sarebbe accaduto nulla, o quasi. Non solo non è così, ma questo sguardo rischia di semplificare ulteriormente una situazione complessissima, davanti alla quale non ci si possono permettere le letture a spanne a cui stiamo assistendo. In secondo luogo, colpisce al cuore il movimento delle donne, ricacciandole per l’ennesima volta nel ruolo di Madri Amorevoli, in grado con una carezza di abbassare il livello di testosterone dei propri compagni.
Esistono le persone, non i maschi e le femmine. E se la questione femminile è la chiave privilegiata per cominciare ad affrontare il disastro in cui versa questo paese (intendo: lavoro, welfare, congedo parentale), separare i mondi non spiega, non aiuta, ghettizza, ci riporta indietro di decenni.
Le donne non sono fate. Non sono terapeute. Non sono madonne.  “Come gli altri”, vivono in una emergenza gravissima. Alcune cercano di fermare l’onda oscura che monta. Altre ne fanno parte. Non tappiamoci gli occhi.

56 pensieri su “COME GLI ALTRI

  1. Grazie per questo sguardo lucido, ci consoliamo troppo con i falsi miti e alla lunga questo induce a raccontarsi le favole consolatorie della buonanotte, mentre è il giorno che ci deve appartenere con le misure che dici tu e dico io e diciamo tutti e che occorrerà trovare il modo di prendersi.

  2. Dunque io sono d’accordo con tutto il post, che te lo dico a fa. L’unica cosa che non capisco, nel senso che temo tu dia per scontato un passaggio che almeno a me manca, un’informazione, non so, è perchè sei così sicura che dire che ci erano anche 4 donne sia un’allusione al movimento delle donne, e non la consueta matrice sessista che scatta sempre sempre sempre quando c’è una delinquente femmina. (che naturalmente fa molto incazzare, perchè è il ragionamento in base a cui non è che io non rubo per via di un’etica a cui aderisco, ma per via delle poppe).

  3. Ok, le donne non sono meno violente degli uomini. Cio’ non toglie che esistano differenze importanti. La violenza femmiinile si indirizza prevalentemente sulle relazioni personali (sono per esempio più violente in famiglia, anche se i maggiori danni vengono dall’ uomo). L’ uomo, per contro, sembra più portato verso la violenza astratta: per la causa ucciderebbe con meno problemi uno sconosciuto che non gli ha fatto nulla di male.
    Si parla in termini statistici (tocca precisarlo).

  4. leggete bene, allora perché Marina Terragni non ha detto:” se ci fossero state le donne eccetera.” ma ha parlato di un’altra convocazione, che non c’è stata.
    Le donne, intanto, c’erano ma non come movimento delle donne, non come snoq o altro.
    E prima di parlare di “vecchia storia” controllate la vostra di violenza quando parlate delle altre. Che le donne siano violente è un fatto, come si dimostra.

  5. Pina: il problema di Terragni è una sociologia semplicistica e spicciola della differenza di genere. Per cui a “Le Donne” serviva una piattaforma loro e boh sarebbe stato a posto. Ma le donne che frequentano se non ora quando non sono le stesse che danno fuoco ai cassonetti. Le donne hanno delle dannate differenze tra loro che procurano comportamenti diversi. Questa differenza Terragni che è ferma alla prospettiva di Genere di 50 anni fa – anche da un punto di vista scientifico credo – non le vede. Concordo quindi con Loredana.

  6. Bisognerebbe conoscere prima di parlare e, mi dispiace per te, ma tu non conosci (senza conoscere non si capisce). Terragni, per farti un esempio, non parla mai di “differenza di genere” ma di “differenza sessuale”. Si può non essere d’accordo ma prima di esprimersi bisogna non confondere fra i principi teorici. Queste approssimazioni possono indurre errori interpretativi dannosi, come quello di imputare a Terragni e ad altre pensieri propri, riduzioni proprie come quello di credere di essere le sole a pensare che fra le donne ci siano ingenti differenze. Ti saluto e ti chiedo di non diffondere informazioni sbagliate sul conto di altre.

  7. Appunto.
    Chi non vede che nella dimensione astratta rientra quella pubblica? Uno psicologo direbbe che siamo nell’ unica dimensione del “pensiero lontano”.
    Obiezione autorevole viene piuttosto da chi fa risalire la distinzione che ponevo alle motivazioni (cosa più che verosimile). In quel caso la “donna piazzaiola”, una volta nell’ arena, difficilmente si distinguerebbe dalla sua controparte di genere.

  8. Broncobilly io trovo antiscientifico il modo di Terragni di abusare del concetto di differenza sessuale, lo trovo anche arretrato rispetto al dibattito in atto su questi argomenti. Perchè Terragni chiama sesso ciò che è genere, imputa al corpo ciò che non è dimostrato provenga dal corpo. Donde la mia critica.

  9. Pina.
    Il post è qui:
    http://blog.leiweb.it/marinaterragni/2011/10/16/ecco-perche-toccava-alle-donne/
    E si sostiene proprio che quando scendono in piazza le donne non ci sono violenze, santi numi. Peraltro, non è l’unico intervento in questo senso. Sul gruppo Facebook di SNOQ molte donne intervengono parlando di una manifestazione “rovinata da quattro deficienti tutti maschi”. Tra i commenti di Leiweb, inoltre, si insiste sul fatto che i teppisti erano maschi. And so on.
    Non mi sembra che mettere in guardia da questa lettura sia “violenza”. Perchè a mio avviso sostenere “la bontà” delle donne è molto più distruttivo. Per le donne. E per gli uomini.

  10. @Zauberei
    Ora la tua è solo malfede. A meno che tu non riesca a dimostrare ciò che dici (Terragni chiama sesso ciò che è genere, imputa al corpo eccetera). Ho qualche motivo di ritenere che nemmeno tenterai, sappi, però e sappia Lipperini che così non si va da nessuna parte, o meglio, si finisce e si resta nella propria, con il massimo dell’autoreferenzialità. E dell’inutilità del dibattere così.
    Ho replicato solo perché per me è intollerabile questo modo bullesco di trattare non solo gli argomenti, ma di servirsi della distorsione delle posizioni altrui per evidenti, proprie, carenze. Peccato per un blog di livello.

  11. E dalli. Si è detto che erano tutti uomini perché quello si sapeva quando si è detto. Ma cambia poco, pensaci. Per la sostanza della questione intendo.

  12. Pina, testo e commenti, con relativa datazione, sono sotto gli occhi di tutti. Mi sembra che i toni “bulleschi” non mi appartengano. E, no, non è inutile dibattere (insultare, magari, sì) su questo punto: perchè, ribadisco, sostenere che le donne NON sono violente e che una piazza delle donne non avrebbe portato violenza è un errore mortale. Dove si rischia di scontare tutti gli equivoci che sono stati ingenerati dalle differenze. Ma cosa devo pensare quando si scrive:” se in Italia è successo questo e non altrove, è perché qui ci sono troppi maschi, sia nella politica delle istituzioni che in quell’altra politica”. Che devo pensare quando si sostiene: “il movimento collettivo delle donne, che si propone come soggetto politico, è nonviolento e soprattutto è (dovrebbe essere!) animato da quella visione che chiamiamo femminile perché più attenta alla conservazione e alla collaborazione che al dominio e alla guerra. Attitudini che scaturiscono dalla visione di insieme che (è un fatto!) appartiene più alla sfera femminile che a quella maschile”????
    Ora: se vuoi parlarne serenamente, benvenutissima. Se vuoi prenderci a sputi, grazie, no. E’ anche grazie a questi toni che si è arrivati dove siamo ora.

  13. Pina – perchè non dovrei farlo? Io mi occupo di gender studies, è il mio campo, e ho polemizzato apertamente con Terragni già in altre occasioni. Siamo su posizioni diverse e capita di discutere.
    Sul post dedicato al tema nel suo blog Terragni sostiene che una femminilizzazione della politica può far bene alla politica, e questo è coerente con l’idea di femminile che ha promosso in molti suoi libri e articoli. Non è un’idea insolita, è un’idea che si iscrive in una corrente culturale del femminismo europeo per cui si decide che la differenza sessuale, con i suoi emissari biologici – certi ormoni certi neurotrasmettitori – implichi delle differenze comportamentali relativamente rigide. Per cui siccome le donne non hanno tanto testosterone ma in compenso figliano sarebbero meno propense all’aggressività e più propense alla solidarietà. C’è un mondo culturale anche nobile perciò a cui è parente Terragni Irigaray immagino e tutta la neurobiologia che tende a lavorare sulle differenze stabili.
    Se non che oggi si ragiona di plasticità neurale e anche di una certa flessibilità nella produzione di ormoni e nerutrasmettitori, per cui quelle rigide differenze cominciano a rivelarsi meno rigide e meno affidabili, le donne sanno essere molto cattive quando incroci tra la loro struttura biologica e caratteriale, e la loro esperienza storica glielo suggeriscono e gli uomini di contro molto più pacifici. La differenza diventa allora un radicale molt più sottile delle costruzioni storiche del genere.
    Allora diventa un grande problema metodologico per la ricerca stabilire dove sta il genere e dove sta il sesso e addirittura diverse ricerche che sembravano serie sono state disconfermate per aver mal implementato il lavoro e aver scambiato un dato biologico per uno culturale. Se ci cadono i ricercatori, non vedono perchè non lo possa fare anche Terragni.

  14. Mah … c’è un condizionamento culturale forte, per il quale le donne devono essere dolci e passivi, e gli uomini attivi e “uomini veri”, chè più menano e più son amchi … tutto quello che è definito “naturale”, per il resto, mi insospettisce.
    Detto questo, ma qualcuno sa che fare, quando le manifestazioni non violente sono comunque inutili e rimbalzano contro un muro di gomma?
    Io trovo la violenza una malattia infettante, ma allora quale è la soluzione?

  15. Mi dispiace ma i toni aggressivi sono partiti da qui nel momento in cui non ci si è posto il problema di cosa realmente si dice in altri spazi di discussione per annettere tutto al proprio punto di vista come un magma. Quanto ai toni che imputi a me, se ti pare civile dire : aaaaaaaaah Terragni solita storia e tutto il resto che Zauberei ha potuto dire!
    Io non prendo a sputi nessuno ma non sopporto le riduzioni e l’equivocare il pensiero altrui funzionalmente al proprio.
    Poi entro nel merito e dico che personalmente non penso che le donne non possano essere violente ma che bisogna capire in quale brodo di coltura nasce e si alimenta la loro violenza. Altrimenti non si fa un solo passo avanti. Io sono d’accordo con Terragni quando dice che tutti gli spazi della politica sono occupati dagli uomini e dalle donne gregarie a quella visione fondata sul dominio. Mi sento completamente distante da quella visione e dalle donne che vi aderiscono. Sono anche preoccupata della scarsa consapevolezza di coloro che sono a un passo dall’averla ma che non vi accedono perché troppo impegnate a sputare, appunto, sulle altre. Non si può ancora perdere tempo a a credere che tutto si risolva confondendo insieme sesso e genere senza porre un minimo di scientificità (della cui mancanza si accusa assrdamente proprio Terragni) su una distinzione teoricamente fondata in modo completamente diverso persino su discipline distinte (filosofia e sociologia) assemblando le quali, senza criterio si fa un danno enorme.
    Non parlavo di te sul tono bullesco ma di chi scorazza senza rispetto e spaccia per vero ciò che non approfondisce.

  16. Pina, non ho detto niente di particolarmente aggressivo, non leggo contro argomentazioni sensate nel tuo messaggio, solo allusioni un po’ confuse. Io però non ho il problema di dover persuadere gli altri delle mie opinioni, nè di consigliare delle letture eventuali che sarebbero auspicabili. Mi pareva che cercassi un parere e ho cercato di fornirtelo anche se in maniera molto sintetica e sbrigativa, ma appunto devo lavorare e quindi mi ritiro, almeno da questa tranche del dibattito.

  17. Pina, io ribadisco invece che in questa occasione ritirare fuori la differenza femminile come portatrice di positività contro quella maschile portatrice di dominio è sbagliato, fuorviante e ci porta lontanissime dal cuore del discorso su quanto sto avvenendo. Siamo in disaccordo, capita. Non è un mistero che io preferisca seguire il pensiero di Badinter e non di Irigaray, e che pensi che ritenere le donne elemento salvifico significhi reimprigionarle in schemi millenari. Anche in questo caso.

  18. Le donne nella storia hanno tanto volte agito la violenza. Ciascuno di noi, poi, considera l’agire violento – a seconda del contesto storico, come positivo o negativo. Per esempio valuto – nella mia personale visione del mondo – positiva l’esperienza militare delle donne nella guerra di Spagna e nella Resistenza. Si parva licet, spaccare il vetro di una banca durante un corteo mi pare, invece, assai controproducente. Detto questo, mi pare ci sia una certa tendenza di certo femminismo a dimenticare come lotte importantissime siano state condotte dalle donne e per le donne, diciamo con una certa energia. Le suffragette si incatenavano davanti ai parlamenti, tiravano oggetti, praticavano – con una scelta politicamente efficace – alcune azioni violente. Questo per le precisazioni storiche. Pensare poi che le donne in quanto tali siano più buone per biologia mi sembra un modo per deresponsabilizzare le persone delle loro scelte. Chi spacca un bancomat o incendia una macchina è responsabile; chi non la fa ha diritto a rivendicarlo come una scelta e non come un’impossibilità biologica o di genere.

  19. Loredana e Zaub, anch’io non concordo assolutamente con l’idea di donna come elemento salvifico, la differenza ecc. ecc. ma in questo caso, non si potrebbe dire che le donne sono effettivamente meno presenti nel tipo di violenza di cui si sta parlando, ma non per natura, per biologia, bensì proprio per condizionamento culturale, come dice Virginia? Come ci sono meno donne tra gli ingegneri meccanici e i camionisti (e non perchè le donne siano per natura meno portate per le scienze o per la guida) si può pensare che nello stesso modo quella della rivendicazione violenta sia una “carriera” più battuta dai maschi? Non che faccia differenza, nello specifico, le donne devono essere presenti in politica e in piazza perchè ne hanno il diritto e il bisogno e non perchè sono più pacate dei maschi, ma almeno per capirsi.

  20. Come ho già detto altrove, e mi scuso per la ripetizione, la gara a chi ce l’ha più lungo può decidere di giocarla anche una portatrice sana di vagina. Dico solo, unendo con un filo la critica culturale di Lonzi e quella dei generi di Butler: é non riconoscendoci in una cultura di dominio che le togliamo l’illusione dell’universalità – e *ci* è un pacchetto all inclusive, si riferisce a tutti i generi che ci attribuiamo, che ci vengono attribuiti e di cui subiamo l’attribuzione.
    Togliendo alla violenza agita dalle donne il valore della scelta e affibbiandole il carattere di eccezionalità, di eccentricità e di deroga al sesso, la si sottrae dal dibattito pubblico, le si toglie valenza politica. E’ una narrazione comune, è una narrazione sbagliata, è una narrazione monodimensionale. Abbiamo bisogno di narrazioni altre, le sole che svelano un altro agire politico.

  21. Non riconoscersi in una cultura, in questo caso quella del dominio, significa prima identificarla come tale e poi non alimentarla. Certo, se si riduce tutto alla biologia sarà ben difficile uscire dai determinismi, ma tale riduzione è a carico di chi la compie non di chi al(la) quale la si attribuisce. E’ così, però, che si alimenta. Intanto chi ha detto che l’alternativa al dominio è la positività femminile? Non è sufficiente prendere le distanze dall’idea stessa del dominio per pensare e pensare se stesse in modo diverso da quello prescritto?Diverso vuol dire semplicemente altro da ciò che impera. E forse la non violenza ne potrà addirittura conseguire.
    Zauberei, non cercavo il tuo parere, insorgevo contro un atteggiamento che non mi è piaciuto e che vedo confermato dalle tue argomentazioni “ormonali”. Ma via, basta con questa storia! Se la differenza sessuale si riducesse agli ormoni, alla maternità e agli allattamenti staremmo fresche…
    Invece concordo molto con Barbara che ha descritto benissimo come l’energia femminile, nelle sue qualità più profonde, possa tramutarsi in forza propositiva. Aggiungo che non necessariamente dobbiamo pensarla in relazione alla violenza, trovo molto produttivo osservarla in generale nelle donne e che, sì, può diventare, in caso di necessità anche forza combattente, ma non trascurerei di vederla in azione nel lavoro di cura, ad esempio, nella resistenza quotidiana che non ci fa arretrare nemmeno di fronte alla ripetizione dei compiti e di quei prodotti del fare che la vita cancella quotidianamente, come il lavoro di cura, appunto. Da dove viene quella forza di ricominicare? Non certo dagli ormoni! Viene secondo me semplicemente dall’essere un sesso che ha a che fare con ciò dal quale gli uomini si sono tenuti lontani e che ora cominciano ad apprezzare sia come valore sociale che come occasione di confronto con una dimensione più piena dell’essere. Per questo sono contraria alla parola conciliazione: niente è conciliabile se non a forza, mentre come sostiene Michela Marzano, i tempi di vita vanno tenuti distinti e non confusi uno dentro l’altro. Cosa c’entra con la violenza femminile ciò che sto dicendo? Bé secondo me c’entra molto e provo a fare un esempio traendolo da un contesto maschile. Avete presente quanto protagonismo sentivano di guadagnare quei contadinelli chiamati a far la guerra mondiale? Ecco, mi viene in mente qualcosa del genere riguardo alle donne che si coinvolgono in certa, moderna e non solo, violenza. Penso che se il lavoro di cura si svalutasse meno, se quella forza rigeneratrice (di vita) non fosse costantemente umiliata, le donne troverebbbero ben altri modi di sentirsi protagoniste invece di aderire alla modalità maschile di ogni guerrra o guerriglia. Fatte salve tutte le fome di Resistenza, naturalmente che, però, se le vediamo nel passato siamo portati ad ammirarle, se le guardiamo nella contemporaneità siamo tutti pronti a gridare: ah, anche le donne sono violente!

  22. Allora, se decidiamo che il minor grado di adesione a modalità fisicamente violente nelle donne è un fatto culturale va bene? Perché io non posso che pensare così e mi fa piacere di sentirmi in compagnia di qualcuna. E magari che l’adesione a modalità fisicamente violente si verifica quando non si tratta di violenze a cavolo?

  23. Rileggere quanto scritto da Badinter: vero, si fa fatica a pensare le donne come violente. Detto questo, cercare una narrazione lucida non significa giustificare la violenza stessa. Quanto alla valenza positiva del lavoro di cura, d’accordissimo: ma estesa alle persone, e non a un solo sesso. Personalmente, preferisco parlare di cultura e molto poco di natura.

  24. Pina, sono molto vicina alle posizioni di Zauburei per questo avevo messo l’accento sull’aspetto storico, visto che è anche il mio mestiere. Capisco Loredana ma non ho particolare disagio a pensare le donne come violente. Non amo alcune pratiche violente tuttavia mi riservo il giudizio e non mi riconosco in quanti/e hanno una posizione non violenta sempre e comunque. Hanno comunque la mia stima. Sempre a titolo personale, della cura non se ne può più. Non che non se ne debba parlare ma mi impressiona molto l’idea di dover estendere la casalinghitudine al mondo intero.

  25. Ecco, le analisi alla Terragni sono proprio il genere di discorso che fa danno a chiunque cerchi di affrontare la questione di un certo identitarismo intruppato e bellicoso che emerge e viene rivendicato in eventi tipo il 15O. Sì perchè io penso che una certa tendenza ai “deliri identitari” (così li ho chiamati su Giap) maschili ci sia eccome all’interno di quei movimenti che vorrebbero una società di uguali. Li ho visti in azione dopo il 14 dicembre e li ho visti prima del 15O, nonché in un’infinità di altre occasioni.
    Il discorso “le donne sono più dolci, in una manifestazione di donne non sarebbe successo” non è per niente utile, perché non va a toccare la radice del problema: quel casino che si è visto a roma è frutto di un mondo in cui ci sono oppressi e oppressori, secondo linee di frattura che sono di classe e anche di genere. Il mondo in cui si cerca un’identità nell’unico corpo che combatte è un mondo di dominio capitalistico e maschile, c’è poco da fare. E sono convinta che in mezzo a tutte le questioni che stanno giustamente emergendo dopo il 15O debba esserci anche questa.

  26. Infatti gli uomini privati del lavoro di cura si privano di molto e gravano noi di ciò che loro si perdono. Chissà che la violenza di tutti si possa ridurre partecipando insieme a tutti gli ambiti della vita. E chissà che non si ritrovi o, se non c’è mai stato, si determini un equilibrio nel rapporto con ciò che è natura e con ciò che è cultura.
    Davvero io penso che la gestione finanziaria dell’economia affidata esclusivamente agli uomini che si sono tenuti lontani da quella parte dell’economia stessa con la quale, invece, le donne hanno a che fare, abbia determinato ciò sul quale anche la manifestazione del 15 è stata convocata. Io non vorrei perdere la possibilità di pensare un mondo nel quale si è in due, uomini e donne, ad occuparsi di tutti gli aspetti del vivere e del gestire il bene comune. Voglio dire che la necessità della violenza, semmai questa necessità ci sia, nasce da questo squilibrio e così andrebbe letta anche la violenza femminile che c’è stata alla manifestazione. Ma teniamo conto, come qualcuno ha già detto, che si tratta di ragazzine e ragazzini, gestiti da chi ragazzino non è.
    Per quanto riguarda la violenza femminile in generale a me sembra che se guardiamo le cause ci accorgiamo che esse sono differenti per uomini e donne. Dovremmo guardarla con le lenti sociologiche, storiche e psicolgiche sapendo che la filosofia può aiutarci molto per inquadrare la natura del problema. Io dico che se c’è stato un tentativo di abbattere la Differenza, è stato proprio quello di vederla come manifestazione naturale dell’essere donne e uomini perché questa visione ci porta a dimenticare il peso della divisione dei compiti, determinante per osservare ciò che è accaduto e che non è bene continui ad accadere.

  27. Barbara, non fraintendermi: quando parlo di lavoro di cura non penso affatto alla casalinghitutdine ma all’economia, come ho cercato di dire nel mio ultimo commento.

  28. Non so – non sottovaluterei le vicende che attraversa la ricerca scientifica, perchè è la prima, – non di rado dalla stessa Terragni in diversi suoi articoli – a essere chiamata in ballo secondo le tesi che si vogliono dimostrare. A me questa cosa interessa e preoccupa, perchè da una parte so che c’è uno zoccolo duro di veridicità e di non ritorno- gli ormoni esistono, il corpo esiste e produce cultura e significati, dall’altra so che anche le ricerche sono soggette alle regole della narrazione, e hanno una parte molle e duttile che le narrazioni regolarmente utilizzano quelle femministe come quelle maschiliste. Questo un po’ è ot, ma un po’ no, perché è da quel corpo che noi partiamo per argomentare e su quel corpo ciclicamente veniamo schiacciate.
    Quello che io credo sia importante capire, è che la differenza di sesso compenetra l’esistenza insieme ad altre cose, a cui reagiamo tutti in maniera piuttosto simile, nei contesti sociale dove le donne lavorano e per esempio sono esposte alle dinamiche psichiche e sociali dei contesti di lavoro, tirano fuori comportamenti tradizionalmente identificati come maschili, e se sono persone di qualità dubbia comportamenti negativi come quelli di molti maschi. Aggressive, competitive fanno le scarpe ai colleghi e quant’altro. Allora tornando a bomba, è illusorio pensare che il patrimonio culturale tradizionale della differenza di genere nella polarizzazione dei significati e dei simboli attribuiti al maschile e al femminile resista alla capacità i determinazione del contesto sociale delle condizioni storiche e di quello che accade. Perchè è nel diritto psichico di tutti come dire, nella democrazia cerebrale della Natura che tutti si reagisca a quelle condizioni, e tutti si sia capaci di diventare peggiori o migliori.

  29. Adesso che ho un po’ di tempo posso rispondere meglio. A Barbara, anzitutto: neanche io ho affatto difficoltà a immaginare la violenza delle donne. Ma capisco che il “frame” di cui parla Badinter sia estesissimo: decine, se non centinaia, di commenti e di blog si sono espressi in questi termini, da sabato a oggi. La donna accudente, non in grado di concepire e praticare la violenza, è rassicurante per chi formula l’immagine stessa. Ed è l’immagine, anche, imprigionante: perchè, come è stato giustamente detto nel commentarium, espelle la scelta.
    Quanto alla cura. Io non so se sia la parola giusta: personalmente, ho sempre preferito “comunità”, dove attenzione, rispetto e anche cura sono reciproci. Sicuramente, però – e qui concordo mille volte con Adrianaaaa – riproporre il discorso OGGI è sbagliato. Il tentativo è di ragionare su cosa sta avvenendo non solo all’interno dei movimenti – e Pina, ti assicuro, dire che sono “ragazzini” è tremendamente semplificatorio e non reale – e del paese.
    Certo che la filosofia può aiutarci: se ragiona sui fatti, non riproponendo il mantra salvifico della Differenza che, ad oggi, tanto salvifico non si è rivelato. Dopodiche: se vogliamo discutere della medesima, molto bene. Ma il frangente è sbagliato. Qui, e adesso, sono altre le urgenze.

  30. è un po’ come quando dicono di noi omosessuali che siamo tutti carini, simpatici e dolcissimi. Se non parliamo per schemi mentali non riusciamo a dare un senso alle cose. purtroppo.
    Marino

  31. Nella semplicità del mio cervello alla winnie pooh io ci leggo “guardate che in linea di massima le donne tendono ad essere meno violente, ma se si arrabbiano si incazzano davvero”. Niente da eccepire. Analisi perfetta.

  32. Loredana, perdona, avevo frainteso: anch’io penso che la filosofa francese scuota moltissime anime belle convinte della non esistenza della violenza femminile. Come sottolinei la stessa rete è piena di lamenti “se ci fossero state più donne questo non sarebbe accaduto”.
    Pina – mi spiace – ma non mi convince affatto il ragionamento da te sostenuto. Per di più – documenti alla mano – i contadini erano piuttosto seccati di essere richiamati alle armi – sia nella prima sia nella seconda guerra mondiale. Ci sono dovuti andare. E – qualora non ne fossi informata – l’archivio centrale dello Stato conta svariate richieste di donne di poter entrare nell’esercito per poter combattere contro la perfida Albione. Ti parrà strano ma ci sono state centinaia di fascistissime donne pronte a morire per la “patria e per il duce”. Non mi fanno alcuna simpatia ma non vedo perché vadano disconosciute, relegando la loro scelta a una sottomissione. Non siamo tutte uguali solo perché abbiamo le mestruazioni, le tette e possiamo procreare. La testa ci rende diverse le une dalle altre.

  33. Condivido dalla prima all’ultima riga, e se possibile perfino di più. In realtà sono anni ormai che sento riaffiorare questo discorso nei circoli femminili e lo trovo sempre più urticante.
    Come scrivevo qui (http://lagallina.splinder.com/post/23168724/della-superiorita-morale-delle-donne) dire che le donne sono naturalmente “migliori” in quanto naturalmente miti, generose, resistenti al dolore è il travestimento moderno della retorica misogina per cui la donna onesta è dolce e mite, e sopporta con pazienza, e in silenzio, le prove della vita.

  34. Lo stereotipo della donna “angelo del focolare” (dove sottolineo sia angelo sia focolare) è in effetti talmente pernicioso da avere in alcuni casi impedito persino di vedere e riconoscere la violenza delle donne, addirittura escludendola come possibilità tecnica nel caso della violenza sessuale sugli uomini. Prendendo spunto da questo post, sono andata a rileggermi il capitolo “Donne che violentano e maschi vittime” del libro sullo stupro di Joanna Bourke, dove, in un contesto più specifico, ma per questo forse ancor più significativo, non solo si dichiara che “affermare che ‘anche le donne lo fanno’ … è un impegno, all’interno del femminismo, a studiare la natura della violenza sessuale” (e la violenza in generale, aggiungo io), ma si legge anche che “l’idea che le donne che commettono abusi non stanno semplicemente imitando gli uomini, ma mettono in pratica le loro fantasie femminili di potere e sessualità, va presa sul serio”. Scrive Bourke che “il numero delle donne violente è più alto di quanto creda la maggioranza delle persone. E nelle statistiche è in aumento”, in alcuni casi con percentuali doppie rispetto a quelle degli uomini. Nel caso della violenza sessuale, però, “le donne che molestano sessualmente uomini o altre donne vengono solitamente accusate di condotta oscena o immorale piuttosto che di violenza carnale, e questo confonde il confronto statistico tra i reati commessi da maschi e da femmine”. Un pregiudizio sul genere e le sue presunte “caratteristiche” sarebbe insomma all’opera (quello della passività della donna e dell’uomo come partner attivo, e dunque il pregiudizio che l’uomo non possa essere stuprato dalla donna), e impedirebbe di percepire e misurare la violenza sessuale delle donne.
    Tutto questo per dire che, come l’autrice, non ritengo soddisfacenti e accettabili nemmeno le spiegazioni che attribuiscono alle donne violente l’imitazione della cultura maschile, perché anche questo sarebbe un modo di naturalizzare implicitamente certe caratteristiche attribuite all’idea di virilità. Mi piace e condivido la sua conclusione: “tradotto nel linguaggio della filosofa Judith Butler, le prestazioni del corpo sono reiterate: con la ripetizione emerge il corpo sessuato. … Gli stereotipi di genere attuati ripetutamente conferiscono al sesso i suoi significati dominanti. Ma queste prestazioni iterative possono essere sovvertite.” Le cose, immagino, sono ancora più complicate, come è stato anche detto, ma dall’altra parte penso anche che occorrerebbe non attribuire affrettatamente la difesa dello stereotipo di cui sopra a chi ha scritto un post senz’altro discutibile per alcune affermazioni, ma che altrettanto certamente non stava naturalizzando alcune caratteristiche come femminili. Poi le sfumature, ne sono altrettanto certa, sono diverse, anche molto diverse, ma io sarei curiosa di sentire in proposito una risposta da parte della diretta interessata. E penso, con Bourke, che un dibattito su questi temi, per quanto politicamente rischioso, sarebbe senz’altro utile.
    Per quel che mi riguarda, visto che anche questo argomento è stato sollevato, non ho problemi a sostituire la parola comunità alla parola cura, ma ritengo che per entrambe valga il discorso della necessità di una valorizzazione affinché si possa arrivare a renderle pratiche più largamente condivise. Voglio dire, banalizzando, ma tanto per fare un esempio, che non arriveremo ad avere più padri convinti e contenti di usufruire del congedo genitoriale senza un maggiore riconoscimento del valore della cura nella società.

  35. Molto bella davvero, e mi spinge a precisare che il mio allargare il contesto era dettato dalla discussione dello stereotipo e dei suoi danni, non da una volontà di spostare il discorso su temi che sono stati e continuano ad essere strumentalizzati dalla destra (e anche sinistra) moralista e dal maschilismo.
    Mi fa pensare anche a un commento di qualcuna di SNOQ che in quel post di Marina (che io ho ampiamente frainteso in molte parti e nel complesso non condiviso) scrive che aderire alla manifestazione sarebbe stato aderire a una piazza neutra o essere conniventi con la cultura neutra che l’ha pensata, e parla di assenza delle donne come soggetto politico. Ecco, io invece concordo con FaS, e l’ho anche scritto, che le donne che erano alla manifestazione erano soggetto politico eccome, e come tale si sono espresse in modi differenti. E per quel che sono riuscita a vedere ieri sera da Lerner, contro la rabbia e la violenza di alcuni e alcune non c’è stato nessun giudizio da parte delle persone che sono rimaste accampate (uomini e donne) a Roma a continuare in modo programmaticamente non violento la lotta.
    Ma credo anche che Marina sia stata almeno in parte fraintesa, e che un chiarimento sarebbe utile a tutte/i. A partire dal fatto che il post a equivoci e fraintendimenti molto ben si presta, chiaro.

  36. COncordo molto con entrambi i messaggi di Ilaria.
    E mi pare che emerga di nuovo un problema – al quale io ho già accennato altre volte – ma una donna, può essere qualcos’altro oltre che donna, può essere soggetto politico ed esistenziale che in certi contesti si qualifica prima per quel che richiedono quei contesti e poi come essere sessuato?
    Per dire, io NON sono andata alla manifestazione perchè NON ero d’accordo con la manifestazione. Scelta fatta come soggetto politico a prescindere dal genere valutando piattaforme, opportunità e circostanze. Potevo decidere di andare se alla stessa disamina compiuta totalmente fuori dal genere ma nella preoccupazione di tutti i generi avessi deciso di andare. In virtù di questa parte della questione sono stata contenta che SNOQ non sia stata presente come etichetta, e non vorrei che si pretendesse da me che un’appartenenza di genere debba sposarsi con questa o quella linea politica. Quello che voglio dire è che la democrazia della natura che il femminismo sta cercando di far rispettare è che esistano per esempio anche donne di destra, libere di pensare cazzate e fare cazzate, e che le donne di sinistra le chiamino per dire cazzate, litigando sulla piattaforma politica e non su idiozie come, ah ma sei sei donna come fai a volere l’esercito stanziale?
    Non so se mi sono spiegata.

  37. “non ritengo soddisfacenti e accettabili nemmeno le spiegazioni che attribuiscono alle donne violente l’imitazione della cultura maschile, perché anche questo sarebbe un modo di naturalizzare implicitamente certe caratteristiche attribuite all’idea di virilità”
    .
    Perfettamente d’accordo. In molta letteratura alle donne è stata attribuita la caratteristica della “perfidia”, che – mi pare – altro non è che un modo di veicolare aggressività in forma indiretta, non potendo essere aggressive apertamente. Il discorso del “naturale pacifismo femminile” cancella dal quadro l’aggressività femminile, di fatto facendo propria la verità misogina per cui una donna deve sempre essere mite, buona, non alzare mai la voce. Quest’immagine parziale, venduta come prova della superiorità femminile sui maschi, la riscontro moooooooooolto insistente nei circoli di lettura di stampo femminista.

  38. Vorrei fare un paragone spero non troppo tirato per i capelli sulle cosiddette “self-fulfilling prophecies”.
    Giulio Cesare ed Alessandro Magno avevano due cose in comune: hanno conquistato il mondo e soffrivano di epilessia. Oggi si risente della cultura giudeo-cristiana per cui l’epilessia era possessione demoniaca, e chi ne soffre nasconde per quanto possibile loro malattia. Nella società greco-romana, l’epilessia era segno di possessione divina. Perciò penso, quando tutto intorno a te ti comunica la certezza di essere destinato ad un grande avvenire finisci con il realizzarla.
    Quando da una persona ci si aspetta NATURALMENTE la mitezza e la sopportazione, difficilmente l’aggressività e la crudeltà troveranno canali di sfogo diretti. Oggi, il discorso sulla superiorità morale delle donne recepisce parte della retorica misogina e la fa propria. Ma basta guardare le foto di Guantanamo per vedere che quando una donna viene messa in situazione di esercitare il potere e la violenza fisica, gli esiti sono – drammaticamente – sorprendenti.

  39. Io non ho problemi a riconoscere la negatività femminile comunque si presenti, tutt’altro. Forse dipende dalla possibilità che ho avuto di sperimentarla abbastanza presto nella mia vita , sia per averla subita, sia per averla individuata dentro di me. Non ho letto Badinter né ho al momento la possibilità di farlo ma credo abbia ragione nel dire che in genere si fa fatica ad ammettere la violenza femminile e credo anche che ciò sia da attribuire ad una sorta di incredulità indotta e ben diffusa nelle coscienze delle donne e degli uomini: gli stereotipi, appunto. Questo, come dicevo, non vale per me, io ne ho paura. Tanta quella che mi fa quella maschile ma con contenuti emotivi diversi. Non so se sarebbe interessante parlare di questo, magari lo sarebbe se ne condividessimo l’opportunità di farlo, vedremo come e se si svilupperà ancora questa discussione, per ora mi limito a parlarvi della mia paura.
    Comunque sia, so che dalle donne si tende ad aspettarsi il bene e non so se ciò sia del tutto riconducibile agli stereotipi o se il fatto di avere avuto tutte e tutti una madre possa influire su tale aspettativa. Anche nel caso in cui si abbia ricevuto il male, da una madre, intendo. E la madre non è uno stereotipo, è un dato di realtà pur essendo la sua figura a sua volta gravata dagli stereotipi. Credo che ciò che ci aspettiamo da lei sia solo in parte frutto di stereotipi. Forse sbaglio e non sono in grado al momento di argomentare diversamente il mio pensiero, me ne scuso e spero di essere compresa comunque in ciò che a me appare sufficientemente intuitivo, ma , ripeto, posso sbagliare.
    Dunque io faccio i conti con la violenza femminile senza farmi preventivamente problemi di tipo etico in ciascuna delle sue possibili manifestazioni: conosco alla perfezione la violenza morale femminile e sarei in grado di declinarla in moltissimi particolari anche per il fatto di aver lavorato e lavorare in contesti prevalentemente costituiti da donne, al servizio e non, delle stesse, ma comunque con tante donne. La mia formazione professionale è avvenuta in questi contesti e anche quella politica. Ho lavorato e lavoro anche con uomini e questo mi permette di distinguere le differenze ad ogni livello, oltre ad averne esperienza nei miei legami personali, ma se dovessi quantificare direi senza dubbio di aver incontrato molte più donne che uomini, nel lavoro e in politica. Dico questo per rendere comprensibile il fatto che la mia esperienza di violenza femminile è in qualche modo significativa per la quantità, se non altro, delle esperienze che ne ho avuto. Continua a farmi paura, non mi abituo anche nei casi in cui si mostra simile alle volte precedenti. Non voglio continuare a precisare che quella maschile me ne fa altrettanta, sto al focus del post e dico questo perché il soffermarsi sulla negatività femminile è sottoposto al rischio dell’indugio misogino, ma spero capirete il mio intento e il mio sforzo di portare un’esperienza e una visione che vuole essere molto autentica e, mi auguro, utile a ciò sul quale andiamo riflettendo.
    Il tratto che in me la contraddistingue da quella maschile è quello poco sopra menzionato: non mi abituo. Mentre nei confronti di quella maschile conservo una sorta di rassegnazione (anche qui gli stereotipi, io credo)e sempre di meno mi stupisce (mi può allarmare ma me l’aspetto), quella femminile io l’ammetto senza difficoltà ma non me l’aspetto mai. Più si ripete, più mi stupisce. La trovo storta. Non voglio dire che io la trovi innaturale (non amo questo approccio, sono d’accordo con Paola), la trovo un’esagerazione circa la sua necessità. La trovo uno spreco. La trovo tanto dolorosa. Se solo immaginassi di ricevere la stessa violenza da un uomo, io so che ne soffrirei di meno, ma anche pescando nei ricordi, posso garantire di aver sofferto di meno per l’inflizione di uno stesso tipo di violenza morale da parte di un uomo. Penso al mobbing, ad esempio. Si tratta di una sofferenza che con un uomo sa concludersi, con una donna sembra continuare alla prossima occasione, una sorta di continuum che sembra tramandarsi e che si deposita in accumuli di grande dispiacere.
    Non so se questo che sto dicendo ci può aiutare a comprendere cosa hanno inteso le donne che in questi giorni si sono esposte a dire che se la manifestazione fosse stata convocata dalle nostre simili, sarebbe andata diversamente. Mi viene in mente un’assurdità che però voglio condividere anche nella speranza di essere ripresa e contraddetta da voi che mi state leggendo. Mi viene in mente che alle donne sembra competere un controllo particolare della violenza in sé proprio perché ne possono controllare le espressioni e la durata. Mi direte che considero le donne onnipotenti, ma non è così che la nostra cultura considera un po’ le donne per via della potenza materna che viene loro attribuita? E non potrebbe essere che in seno a questo macro-stereoptipo si sia creata la convinzione comune che le donne possano avere il controllo di tutta la violenza, anche di quella maschile, potenziale, in atto e sperimentata? Non è forse a questo che si appellano certi uomini, che a noi appaiono in malafede, quando dicono che la violenza maschile è spesso provocata dalle donne stesse? Cosa intendono in realtà con il verbo provocare? Non potrebbe voler dire che si attribuisce alle donne la facoltà di impedire che la violenza si manifesti? Può sembrare molto reazionario quel che sto dicendo, me ne rendo conto, e anche pericoloso perché può apparire che io stia giustificando la violenza degli uomini sulle donne. Non è così, vi assicuro, sto cercando di capire a mia volta e mi è necessario farlo in compagnia di chi sta ragionando sullo stesso problema.
    Qualche sera fa si è svolta una rissa tra adolescenti davanti casa mia. Per motivi futili, una birra, mi pare. Una delle loro madri si è affacciata alla finestra e li ha dispersi semplicemente urlando loro: cosa fate? Siete sempre insieme! Siete amici! Hanno immediatamente cessato di darsi botte e spintoni, immediatamente. Eppure ha detto soltanto una verità, che sono amici. Mi ha molto impressionata. Come spegnere una radio con un semplice tac. Possibile una tale potenza nel solo ricordare l’amicizia che lega questi ragazzi? E avrebbe sortito lo stesso effetto un padre? E, soprattutto, cosa avrebbe detto un padre?

  40. Donatella credo che un padre avrebbe detto le stesse cose, sortendo il medesimo effetto. Principio d’autorità in senso buono. Cerco di essere più delicata possibile perché ti sei molto esposta – almeno questa è stata la mia sensazione – e mi scuso in anticipo se qualcosa dovesse urtare una tua sensibilità. Dal mio punto di vista c’è una differenza tra la violenza privata e quella politica. Dansi il caso di maschi e femmine praticanti violenza pubblica (lotta armata e dintorni) e persone squisite in private, come il suo contrario persone non violente nella prassi politica e usi ad abusi nelle relazioni personali. Credo sia interessante ragionare sull’agire politico violento delle donne, anche quando riteniamo non sia necessario.

  41. Certo Barbara che è importante ragionare sulla violenza pubblica anche se era appunto di questo che cercavo di parlare quando accennavo ad una sorta di impreparazione generale ad affrontarla, come dice Badinter, ad ammetterla. Forse è importante capire perché non si riesce ad ammetterla ed io mettevo a disposizione l’esperienza di una, io, che invece l’ammette eccome, e che testimonia direttamente che il problema non si esaurisce lì. Voglio dire che una volta ammessa, come nel mio caso, sorge il problema sia delle sua gestione, che delle sue radici. Mi dirai che delle radici abbiamo parlato tanto, come donne, in psicoanalisi e non solo, ma mi premeva sottolineare una sorta di circolo continuo che io cercavo di mostrare parlando dello stupore che in me che l’ammetto, si genera ogni volta e che dovrebbe essere sintomo di un nodo che è un intreccio di psicologia, di simbolico, di sociale, di immaginario… oppure non ho capito cosa intendi?
    E comunque, come si diceva una volta, ci tocca partire riconoscendo in noi ciò che vediamo negli altri per comprenderlo e io, guardandomi (dici che mi senti esposta, grazie per la delicatezza, ma l’ho fatto con tutta l’intenzione di farlo, a questo sì che sono abituata!) ho visto che potenzialmente potrei far convergere in forme collettive quelle certe rabbie che in me ci sono e che un super-io esagerato tiene a bada 🙂

  42. Di rimbalzo questo discorso, che condivido appieno, aggredisce anche il nesso, troppo spesso dato per scontato, violenza_maschile.
    Sottolineo anch’io però che una certa retorica del femminile dolce/maschile violento è circolata e circola tuttora anche in ambienti femminili, e le accuse all’uomo violento in quanto uomo sono moneta spicciola in molte discussioni.
    E che varie forme di violenza, e le loro cause scatenanti sono invece iscritte nelle società in modelli culturali prevalentemente associati al maschile o al femminile: modelli culturali che possono saltare in determinati casi e contesti, casi e contesti interessanti da analizzare, proprio perché mettono in questione i luoghi comuni.

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