COSA NE PENSEREBBE BENJAMIN?

Mi rendo conto, l’argomento non è nuovo. Però, forse, vale la pena tornarci. Perchè mi pare si stiano moltiplicando le storie fantastiche italiane che non vanno “in avanti” (non parlo solo di fantascienza classica, naturalmente), ma “di lato” o addirittura “indietro”.
Storie, per intenderci, steampunk.
Vorrà dire qualcosa? Secondo me, sì.

27 pensieri su “COSA NE PENSEREBBE BENJAMIN?

  1. Madonna, tutto per infilare di nuovo e di straforo il solito “what if” del new italian epic. What if se la piantaste, tu e la solita cricca, di spacciare per tendenza i soliti casi isolati che ci sono sempre stati e sempre ci saranno? Se mia nonna avesse le ruote, ebbene sì, forse sarebbe una carriola.

  2. Dieci anni fa i timori tecnologici erano rivolti ai rapporti tra reale e virtuale, vedi alla voce Matrix.
    Oggi stiamo tornando a timori post-apocalittici, degni della guerra fredda. La differenza è che questi non sono generati da conflitti globali, ma dal nostro lento e inesorabile stile di vita.
    A partire da questo, le storie steampunk, che ci riportano alla Londra del carbone, sono più che mai adatte.
    Lo steampunk è un crocevia delle nostre paure di ritorno al passato (e perdita dei privilegi della modernità) ma senza andare così indietro da dimenticare la tecnologia (come nel medioevo).
    Lo steampunk è riesce ad essere post-apocalittico e germinale allo stesso tempo. Si guarda contemporaneamente la fine e l’inizio.
    E Myazaki è stato un grande maestro in questa via.

  3. Non so cosa ne penserebbe il buon Benji.
    Di mio credo che la fantascienza, oggi in Italia e non solo, sia un problema.
    Sia un problema per lo scrittore, perché è – imho – diventata una questione principalmente di immaginario collettivo.
    Un esempio, il mal riuscito “Anteprima Nazionale”, qui già commentato.
    Il problema di immaginario collettivo cui penso è sempre l’incapacità oggi di poter leggere il presente.
    La fantascienza ha dato i suoi grandi e più pregevoli risultati quando abbaiava al futuro sbranando il presente.
    Questi mondi utopici o distopici della sci-fi parlano sempre di noi. Hic et nunc.
    E’ un caso che al Cinema il genere continui a sopravvivere grazie alle storie degli anni ’60-’70-’80?
    Ma oggi, che mondo è quello di oggi? Non può guardare a domani. Figuriamoci al dopodomani.
    Come si intuiscono le grandi allegorie osservando il nostro quotidiano?
    E allora il fantastico comunemente inteso viene a fornirci il cuscinetto di sostegno per raccontare una storia. Che sia ambientata nel passato o meno.
    L’alternativa è il “colpo di genio”, come in “Eudaemon” per esempio. E che comunque non si presenta come possibile nuovo mito fondativo per un genere.
    Vie d’uscita?
    Forse la fantascienza ha bisogno di ripensarsi. Di abbattere certi paletti, che pensava fossero il proprio DNA.
    Perché, questo lo reputo imprescindibile, c’è bisogno più che mai adesso della fantascienza.

  4. mah, a meno che qualcuno non ci salti fuori con un equivalente del nipponico “Strike Witches” (che Benjamin scommetto avrebbe preso a paradigma di almeno due epoche e mezza), per lo steampunk italiano la vedo nera

  5. La fantascienza è un metodo e come tale si lega bene sia al passato che al futuro, tanto sempre del presente deve parlare (quando non parla di temi universali, sconfinando in orizzonti escatologici o metafisici). Lo dimostrano gli esiti gemelli degli anni a cavallo tra gli ’80 e i ’90, con l’attestazione di correnti e sensibilità che già andavano montando da almeno 20 anni: il cyberpunk e lo steampunk, appunto.
    Per questo non mi trovo d’accordo quando parli di “storie fantastiche che vanno indietro”, in merito allo steampunk. Se uno torna indietro per cambiare le coordinate storiche e il contesto tecnologico e aprire uno squarcio nella storia, lo fa per guardare meglio il nostro presente. O almeno è così che hanno inteso lo steampunk Gibson & Sterling, Di Filippo, Jeter, Powers, Hideaki Anno, Miyazaki e tutti i migliori autori che se ne sono occupati.
    Inoltre, secondo me non c’entra affatto il timore del futuro, né una certa ansia millenarista richiamata nei precedenti commenti. E’ invece una questione di immaginario: stravolgere le coordinate del passato è più agevole che descriverne di completamente nuove guardando al futuro, soprattutto in tempi di cambiamento sempre più rapido (Accelerando docet) come questi. Lo steampunk si trova così a essere il veicolo più agile per portare una narrazione fantascientifica al lettore odierno. E per moltiplicare certe suggestioni.

  6. Attenzione: io non ho nulla contro lo steampunk. Anzi: mi interessa e mi piace molto. Sto riflettendo sui motivi, a livello sociale più che letterario. E credo che non guasti.

  7. X: amichevolmente, non sono d’accordo su quasi niente. Definire la fantascienza un metodo vuol dire impoverirla – non vorrei fare retorica tardoromantica, ma le storie non sono mai un ‘metodo’. Semmai è il ‘metodo’ che è una storia tra tante (vabbè, l’ha già detto Feyerabend, non sono originalissimo in questo). E non credo che un autore scelga un ‘veicolo per portare narrazioni fantascientifiche’ (meglio: io come autore non lo faccio, poi ognuno ha la sua via). Il punto è prima di tutto estetico, inconscio: mi viene in mente un certo tipo di storia, non è che scelgo di raccontare quella. E se in questo periodo ci sono storie che vengono in mente a tanti (storie steampunk, storie urban fantasy di un certo tipo), è perchè alcune cose stanno succedendo. Il mondo sta finendo, appunto – o almeno, ripeto, questa è la mia convinzione personale. Non sei tu a raccontare il cambiamento – è il cambiamento a raccontarsi, e avvenire, attraverso di te. Uno scrittore è un medium. Ribadisco: pareri personali, nient’altro!

  8. Francesco: perché credi che definire la fantascienza un metodo equivalga a impoverirla? Non stiamo parlando di storie, ma di un genere. E un genere è anche la serie degli strumenti e dei filtri (l’armamentario tecnico e immaginifico specifico) attraverso cui le storie vengono raccontate. In questo caso, l’immaginario diventa fondante, molto più che per tutti i generi limitrofi del fantastico e non.
    Quello che tu dici vale per uno scrittore non di fantascienza che si cimenti in una storia di fantascienza. Scrive fantascienza in maniera istintiva. E per me va bene, non posso darti torto: deve fare così per forza, perché è l’unico modo che ha di farlo. Ma uno scrittore di fantascienza si spinge un po’ più in là con i dubbi e gli scrupoli: è naturale che si chieda quale declinazione del genere possa riuscire più congeniale alla storia che ha da raccontare. Una storia steampunk non nasce come steampunk: è una storia che dopo le opportune valutazioni lui decide di inserire in un contesto steampunk, perché raccontata come cyberpunk o distopia non avrebbe avuto lo stesso impatto.

  9. X: posso parlare solo di me, ovviamente, e di quello che credo. Ma io non credo che un buono scrittore possa mai _decidere_ a tavolino di ‘inserire una storia in un contesto’. Viene tutto insieme. Poi l’istinto va affinato, richiede molta tecnica, strumenti, e sono d’accordo. Ma se si parte dalla tecnica, cercando filtri e strumenti e altro, si fanno libri da premio Strega…

  10. Ovvio, anch’io parlo per me. Ma mi sento di sostenere che La macchina della realtà è un libro sul cambiamento (rivolgimento sociale prodotto dalla tecnologia) che Gibson e Sterling hanno deciso di trasporre in un’epoca vittoriana alternativa, non perché volessero raccontarci di un’800 parallelo, ma perché cercavano il mezzo più immediato per veicolare la loro storia. Avrebbero potuto parlarci del cambiamento saltando 60 o 100 anni nel futuro, ma ne sarebbe venuta fuori un’operazione sicuramente meno accessibile (e qui riesce calzante il parallelo con Accelerando di Charles Stross, che menzionavo prima, che in sostanza tratta dello stesso argomento risultando però ostico a una fascia larghissima di pubblico, anche tra gli stessi appassionati di fantascienza, per via dell’altissima densità scientifica e tecnologica).
    Discorso opposto per Di Filippo e la sua Trilogia Steampunk. Qui in effetti solo le prime 2 novelle (Victoria e Il feticcio rubato) possono ricondursi allo steampunk così come lo conosciamo oggi, e la prima più della seconda (che già vira verso i territori di un weird aggiornato ai tempi). In entrambi i casi la sensazione è che l’autore avesse un universo (un’800 immaginario) e vi abbia voluto ambientare le sue storie per farcene esplorare i contorni. Da questi margini, confinanti con la nostra realtà e con la storia come noi la conosciamo (esemplare il caso di Agassiz nella seconda novella e della sua strenua e anacronistica – per noi! – opposizione all’evoluzionismo), deriva quel senso di disagio, spaesamento e – se vogliamo – meraviglioso, che ci consente di guardare al nostro mondo, alla nostra storia e agli eventi in essa registrati da una prospettiva inedita (che è sempre ciò a cui mira la fantascienza).
    La stessa operazione, a ben guardare, era già riuscita a Thomas Pynchon con il racconto Sotto la rosa, che qualche decennio prima ci mostra un agente cyborg in azione nel 1898, mentre un altro cambiamento epocale si profila all’orizzonte. La storia si può considerare anticipatrice per molti versi sia de La macchina della realtà che della Trilogia Steampunk (Di Filippo è forse il più postmoderno degli scrittori di fantascienza oggi in attività e sicuramente quella sensibilità non gli era estranea già agli inizi degli anni ’90, quando lasciava il suo zampino nello steampunk, e gli influssi di Pynchon sono stati largamente riconosciuti da Gibson). La differenza è che Pynchon non si poneva il problema di scrivere una storia di fantascienza, cosa che gli era concessa nel calderone dei generi in cui sguazzava. Di Filippo, Gibson e Sterling invece, hanno ben chiaro il loro immaginario di riferimento, che è lo stesso campo su cui si trovano a giocare con il lettore. E la fantascienza, da Alfred Bester in avanti, non ha mai smesso di interrogarsi ricorsivamente, auto-alimentando il proprio immaginario per incrementi successivi.
    PS: Scusate il commento-fiume. E per Loredana: non vorrei aver dato l’impressione di non aver apprezzato il tuo spunto. Anzi…

  11. X: sulla Macchina della Realtà sono d’accordo con te, e infatti lo trovo una noia mortale. Non dico che non si possano scrivere libri pensando a ‘mezzi per veicolare la storia’. Dico che non si possono scrivere _buoni_ libri – e se la Macchina fosse stata scritta da PincoPanco Show, ho il sospetto che sarebbe un libro già dimenticato. Diverso il discorso di Di Filippo, che però è selvaggio e visionario: la sua trilogia cavalca, più che esplorare. Su Pynchon non mi esprimo perchè è un altro di quelli che mi annoiano terribilmente: storie gelide scritte per chi già la pensa come lui. Non è la mia via, nè da lettore, nè da scrittore, nè da cazzeggiatore generico.

  12. anch’io concordo con Francesco sulla Macchina della realtà: è una pizza bestiale. è un libro troppo costruito a tavolino, troppo pensato e, credo, anche se non ho nulla su cui basarmi per dirlo, che si senta troppo la mano di Sterling rispetto a quella di Gibson (lo dico perché mi ha ricordato altre cose di Sterling che ho trovato indigeste). detto questo, faccio il mio commentino democristiano: secondo me, e senza voglia di far teorie, si possono fare buone storie in ogni maniera. scegliere il mezzo e poi il messaggio, scegliere il messaggio e adattarci il mezzo, andare un po’ alla cazzo ecc. basta non improvvisare tecniche che non si dominano, per un verso, e per l’altro non farsi castrare dalla (troppa) tecnica, non farsi pipponi mental-intellettualistici prima di partire (aspetta aspetta, cosa voglio dire con questa mia storia, nel profondo, cosa voglio far passare, e questo personaggio di donna che cesello sarà abbastanza credibile? sarà abbastanza donna donna? piacerà alle femministe? e se sì è un bene o un male? come lo scriverebbe una donna al mio posto… ecco ecco… e questo personaggio di operaio? non sarà troppo pulitino? non è che poi mi dicono che ho rifatto Metello? se ci sta che l’operaio puzza è cattivo e sanguinario devo dirlo, giusto? oppure no per non diventare strumento inconsapevole del capitale?)
    Insomma fate un po’ come vi pare 🙂

  13. Il fatto che a molti in questo momento vengano in mente storie ‘steampunk’ probabilmente dipende dall’esistenza di agili manuali come GURPS Steampunk e ad un crescente corpus di film cui ispirarsi.
    L’idea che si tratti di qualcosa ‘nell’aria del tempo’ personalmente non mi convince: o vogliamo credere che le migliaia di romanzi pseudostorici a basi di manoscritti segreti e cospirazioni millenarie siano dovuti ad altro che al successo del Codice da Vinci e dal desiderio di centinaia di manovali delle lettere di ottenere un facile (e minuscolo) successo?
    A volerlo interpretare lo steampunk si può interpretare come debolezza di nervi di fronte al futuro e desiderio di recuperare tutto il macchinario pesante che animava il futuro della SF classica mentre il progresso tecnologico si indirizza sempre più verso le tecnologie soft e micro e ‘intelligenti’…
    Non per niente la SF classica mancò in pieno Internet con l’eccezione di autori marginali ed eccentrici (non libertari ne’ americani, per intenderci) come John Brunner.

  14. Guglielmo: in sostanza sono d’accordo con te (diciamo svizzero, più che democristiano). Penso percò che esistano strade più o meno pericolose – e trovo che la strada del ‘messaggio’, per così dire, porti più facilmente alla rovinosa china della pizza mostruosa.
    Sascha: i manuali di Gurps sono in giro da tanti di quegli anni da essere ingialliti… e lo steampunk nipponico, idem. Quindi no, credo ci sia altro.

  15. Appunto: la possibilità di fare qualcosa che assomiglia alla ‘fantascienza’ ma a cui è stato strappato il cuore e in cui non c’è nulla che possa impensierire o disturbare il lettore, nulla che possa fargli pensare che si parla di lui, nulla nel ‘genere’ che assomigli all’odiata ‘letteratura’.

  16. Sono libero di dissentire sia su Pynchon che su The Difference Engine? 😉
    @ Sascha: in quale accezione Brunner sarebbe un “non libertario”? Inoltre: non avrà mai raggiunto la statura di maestri a lui contemporanei come Dick, Silverberg, Ballard oppure Moorcock, ma definirlo marginale è comunque riduttivo. E sul mito che la SF classica abbia mancato Internet ci sarebbe da dilungarsi… 😉

  17. Sascha: Ma, tipo, di quale steampunk Italiano stai parlando, di preciso? Lo chiedo senza polemica- hai idee molto nette e vorrei capire da dove vengono.
    X: ovviamente puoi dissentire da me. Poi dovrò ucciderti, ma tu intanto puoi dissentire…

  18. Ammetto che mi riferivo al genere steampunk in generale, soprattutto inglese e americano, e non a quello italiano (di cui francamente sarei curioso di conoscere degli esempi – l’unico esempio che mi venga in mente al momento è il film ‘Natale a Casa Deejay’…)

  19. X, Francesco e Guglielmo nello stesso spazio… caro Sascha dovrai aspettare ancora un po’ per conoscere gli esempi ma qualche indizio lo potresti indurre partendo da qui…

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