COSE CHE NON CAPISCO A PROPOSITO DELLA FOBIA LINGUISTICA

La questione è semplice: non capisco perché tante persone, alcuni intellettuali inclusi, reagiscano in modo scomposto davanti alla questione schwa, o della lingua inclusiva in assoluto, come se qualcuno avesse introdotto l’obbligo di utilizzarlo, pena la sospensione dei diritti civili. Non me ne capacito. Così come non mi capacito della campagna stampa martellante che ospita linguisti e scrittori, ma non chi sta studiando la questione, o chi nella questione è dentro.
Non capisco perché la riflessione sulla lingua venga interpretata come distogliente da battaglie e attivismi che nella maggior parte dei casi con la questione medesima vanno di pari passo (vi occupate di questo e intanto in Afghanistan: e poi vorrei tanto vedere cosa fa per le donne afgane chi scrive cose di questo tipo).
Non capisco perché la questione della lingua inclusiva, chiamiamola così, venga presa come il tentativo di modificare dall’alto la lingua italiana. Che peraltro si modifica e si è già modificata nel tempo, e sempre “dal basso”, mai per interventi del Front Man di Squid Game.
Non capisco perché molti intellettuali, scrittori e, da ultimo, poeti, invece di riflettere sul punto facciano gli spiritosi come al bar sport, salvo poi dirti: oh, non capisci l’ironia. L’ho già scritto, ma vorrei ricitare: l’ironia, diceva Foster Wallace, si spunta dopo un uso prolungato. E, citando Lewis Hyde, aggiungeva: “L’ironia è una modalità di emergenza. Portata avanti nel tempo diviene la voce del prigioniero che deve farsi piacere la propria gabbia”. E quindi, se fai notare a Ugo Cornia, che ha scritto un – oh – spiritosissimo articolo sul Domani, o a Luca Alvino, che ha scritto una poesia con la schwa, che da loro ci si aspetta altro, sei la rompiscatole politicamente corretta e, zacchete, ecco che il poeta ti disamica perché loro possono essere ironici. Tu no. Invece, quel che si chiede agli intellettuali è di comportarsi come tali, e non come i portabandiera del vecchio, triste, facciamocela una risata.
Non capisco perché, pur essendoci fior di articoli sulla questione (segnalo quello, definitivo, sulla famigerata vicenda delle professioni declinate al femminile, a firma di Vera Gheno su Valigia Blu), non c’è intellettuale fra quelli spiritosissimi di cui si parlava che abbia sentito il bisogno di leggerlo. Parlo di intellettuali perché è da loro che ci si aspetta che si alzi il livello del discorso: non che si abbassi.
Non capisco perché, dopo aver scritto tutto questo, entrerò dritta nella schiera delle politicamente corrette talebane: lasciate che vi dica una cosa, allora. Ho usato solo una volta il segno schwa. Per essere precisi, in Danza macabra: nel caso, l’ho attribuito a Eli di “Lasciami entrare”, che non è maschio né femmina e perlappunto non può che essere vampirə. Rispetto chi lo usa con continuità in libri e articoli e anche chi non lo usa. Credo che se chi è all’interno della questione ci chiede di usarlo, si debba fare.
A chi continua a usare il cachinno invece che la riflessione, dico soltanto che è un’occasione persa: e che l’ironia da social ha smesso di essere premiante e trendy almeno da cinque anni. Buona giornata.

7 pensieri su “COSE CHE NON CAPISCO A PROPOSITO DELLA FOBIA LINGUISTICA

  1. In primo luogo, io non volevo far ridere nessuno, ma semplicemente suggerire (mi sembra garbatamente) che questa soluzione linguistica per il problema dell’inclusività a me (e sottolineo “a me”) sembra inadeguata. L’ho fatto con lo strumento che mi è proprio, ovvero con la poesia. Dovevo riflettere sul punto? La mia era proprio una riflessione. Certo, c’era dell’ironia, ma usare l’ironia non significa “facciamocela una risata”. O lei ritiene che, per via di una frase di DFW, l’ironia non si possa più usare? Ma davvero? E perché mai? Ho peccato di lesa maestà? Siamo forse in un regime?

  2. Già usare la parola regime e il termine lesa maestà denota un’aggressività che lei vuole dissimulare, mi spiace. Lei è libero di scrivere quel che vuole, ma quando si scrive qualcosa si accettano anche le critiche. A meno che il regime non sia il suo. Cordiali saluti
    Ps. Non ho alcun problema a essere tolta dalle sue amicizie: ma anche la reazione a una critica denota che, evidentemente, esiste un vulnus nei confronti di questa questione, tutto qui.

  3. Mi sembrano americanate.
    In inglese, effettivamente, si possono usare i generi solo su enti che hanno un sesso. Altrimenti e’ tutto neutro. Quindi gli inglesi hanno un dibattito aperto sul come indicare persone di genere diverso dal sesso.
    Ma le altre lingue europee sono diverse. Noi abbiamo “la forchetta”, che non ha un sesso (almeno, a casa mia), abbiamo la sedia, diciamo “la luna” e “il sole” ad oggetti che NON hanno un sesso. E quindi gli affibbiamo un genere, che non e’ solo grammaticale: usare il femminile ingentilisce perche’ si attribuiva la gentilezza alle donne.
    E sappiamo bene, a differenza degli anglofoni, quanto sia arbitrario assegnare il genere alle cose: anche i francesi, che il neutro lo hanno, usano il femminile per la luna e la casa. Non hanno giustificazioni, semplicemente usano un genere per oggetti che NON hanno un sesso, quando hanno il neutro.
    Anche i tedeschi, quando dicono “der mond” , la luna e’ un maschio in Germania, o “die sonne”, il sole e’ una femmina, assegnano arbitrariamente un genere a cose che NON hanno un sesso, e come se non bastasse dicono “das Mädchen”, che si dice SOLO alle ragazze, ma e’ neutro (das).
    In definitiva, dopo aver detto che la mia bicicletta e la mia giacca sono femmine, non ho alcun problema ad assegnare alle persone il sesso che chiedono.
    E allora perche’ usare un segno che non appartiene al nostro alfabeto? Solo perche’ vogliamo importare la difficolta’ anglosassone di disgiungere genere grammaticale da quello biologico?
    Americanate. Le solite americanate. Parliamo una lingua ove il neutro e’ stato assorbito dal maschile. Lo sappiamo bene.
    Sarebbe ora di ricordarselo, invece di importare problemi stupidi dagli stati uniti.

  4. Un problema talmente stupido che le persone che non si identificano con il maschile o il femminile si sono chiesti “Perché devo necessariamente finire in un genere che non mi appartiene?”.

  5. …diciamo pure che lo Schwa, assomiglia un po’ al Greenpass, oppure anche alla “temporanea sospensione del diritto a manifestare, sono tutte cose necessarie e certo con diversi aspetti positivi.. per es Anche se imposto dall’alto con corsi obbligatori nelle scuole avremo un linguaggio più inclusivo, sarà piu difficile la circolazione del virus e senz’altro avremo dei fine settimana più tranquilli e senza inutili assembramenti ma…. magari può succedere che anche chi non ha mai letto Orwell o Nolan cominci ad avere qualche retropensiero qualche spazietto anche nella mente dove piano piano si insinua
    ciao,k.

  6. …solo che i linguaggi di cui hanno raccontato Orwell o Nolan sottraevano parole per escludere intere parti di realtà e costruirne un’altra. Qui si tenterebbe di fare l’esatto contrario.

  7. …giusto Luca, oggi vogliamo e dobbiamo essere “inclusivi. includiamo tutto, peccato che a restarne fuori è la ragione.. e il sonno della ragione genera mostri e anche tanti sogni fantasiosi
    ciao,k.

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