Ci preoccupiamo moltissimo quando pensiamo che un cambiamento possibile possa mettere in crisi le nostre abitudini. Non ci rendiamo conto, però, che le mutazioni sono già avvenute: quando una pubblicità invita a innamorarsi di un lettore di carte di credito, il mondo è andato parecchio avanti (e non nella direzione giusta).
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Ho usato solo una volta lo schwa in Danza macabra, e spiego perché, prendendola da lontano. Nel 2004, lo scrittore svedese John Ajvide Lindqvist scrive un romanzo di vampiri, Lasciami entrare. Al centro c’è Eli, dodicenne, né maschio né femmina. Al momento di scriverne in Danza macabra ho usato lo schwa: e trovo corretto, nel caso di Eli, usare il termine vampirə. Mi piacerebbe che si potesse ragionare pacatamente su questo: ovvero, avere una risorsa in più, quando serve: e nessuno me lo ha imposto. Neanche il politicamente corretto, posso giurarlo.
Sono una di quelle che spulcia fra i ricordi proposti da Facebook, e non solo. Diciamo che i social sono venuti incontro a una vecchia fissazione di quando ero ragazza, e in quel caso spulciavo le agende per vedere cosa…
La questione è semplice: non capisco perché tante persone, alcuni intellettuali inclusi, reagiscano in modo scomposto davanti alla questione schwa, o della lingua inclusiva in assoluto, come se qualcuno avesse introdotto l’obbligo di utilizzarlo, pena la sospensione dei diritti civili….