L'ASTICELLA DELLA CULTURA E DEATH NOTE

Dunque. Ieri sera ho scritto questa cosa qui su Facebook (buffo, eh? Man mano è il blog che diventa secondario rispetto al social, ma ci sta). Non è nulla di particolarmente nuovo, ed è anzi il rimarcare di un fenomeno che tocchiamo con mano da anni: la perdita dei riferimenti, degli intrecci, anche nella narrativa, o nel teatro, o nel cinema, popolari. Certo, da ultimo il fenomeno è più evidente. Certo, se negli anni Ottanta dibattevamo se il coro dei pellegrini del Tannhäuser potesse essere utilizzato per pubblicizzare l’olio d’oliva senza sbriciolare l’aura dell’opera d’arte, oggi nessuno userebbe il coro dei pellegrini. Il duetto tra Papageno e Papagena c’è ancora: e vorrei dire per fortuna, perché non si sa mai da quale porta si possa accedere alla bellezza. O non accedere, non è questo il punto.
Però vorrei fare una precisazione: molti commentatori di quel post hanno pensato che questa perdita di conoscenze e questo abbassare la famigerata asticella sia una faccenda che riguarda i giovani. Ebbene, no, no e ancora una volta no. Se, anzi, ho un motivo di speranza  risiede esattamente nei giovani. Sono giovani donne intorno ai trent’anni quelle che, per fare un esempio, stanno lavorando sulle scrittrici meno note o ignote del Novecento: penso a Giulia Caminito, Viola Lo Moro e Nadia Terranova che hanno ideato la collana Le mosche d’oro per Perrone. Penso a Marta Barone e all’amorosa opera di recupero e diffusione dei testi di Marina Jarre. Penso a tutte e tutti coloro che creano connessioni fra la cultura del passato e quella contemporanea, e non sono pochi.
Ma ancora. Visto che – ehm – parlare di manga sembra essere diventato di moda (è sarcasmo, meglio specificare), faccio un solo esempio: tra il 2006 e il 2008 è uscito in Italia Death Note, scritto da Tsugumi Ōba e illustrato da Takeshi Obata, letto all’epoca da non pochi preadolescenti. Parliamo di sedicenni. L’età in cui, come scrivevo ieri, affrontavo Sartre. Un abbassamento? Neanche un po’. Sfido qualsiasi lettore forte a leggere quel manga senza saltare alcun passaggio, perché il livello di complessità (e insieme di popolarità) è altissimo. E non è un esempio isolato (comunque, tenetevi lontani dal film, e forse anche dall’anime, ma ci sta).
Quel che voglio dire è che, mediamente e generalizzando, le giovani persone quella famigerata asticella l’hanno già più alta di quanto non l’avessimo noi alla loro età. Le competenze culturali, in loro, sono più vaste: anche perché alle nostre hanno unito quelle digitali, che sono – se ben usate – un arricchimento e non un impoverimento.
Poi, certo, il digitale, in particolare quello dei social, impoverisce anche: e non vorrei ripetere qui le mie pregresse lamentazioni su quanto alcune battaglie vengono semplificate quando condotte con la logica del tondino di Instagram, per altri versi preziosissimo, peraltro.
Per farla breve: il problema è di noi adulti e più che adulti. Di chi detiene il potere nei media (che certo giovane non è) e decide di inseguire il livello più basso perché così si fan più clic e forse più lettori. Di chi trascina il linguaggio culturale e politico verso il basso per far più numeri. Il problema è dei numeri, anche, vorrei dire. Perché è un Ouroboros, un drago che si morde la coda: ti inseguo, pubblico dei social, e uso il tuo linguaggio medio, così ti conquisto. E, per i media tradizionali, on e off line, la frase shock di questo o quell’influencer diventa notiziona, quando lo stesso o stessa influencer, magari, la considera trascurabile. Questo significa abbassare l’asticella, secondo me. Significa essersi arresi. Significa aver pensato per un bel pezzo del proprio cammino che conoscere, scoprire, desiderare era importantissimo e poi essersi accoccolati nella logica del mugugno e dei grandi numeri, che quasi sempre, poi, diventano piccoli o piccolissimi in una manciata di settimane.
Ma io sono ottimista. Perché le persone che ieri mi dicevano (non in ambito radiofonico, sgombriamo ogni equivoco possibile) di avvicinarmi di più a un pubblico che respinge il difficile erano mie coetanee. Credo, e spero, che le cose saranno molto migliori, invece, andando avanti.

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