CREARE UN TAVOLO DOVE NON SI BARA

Dovrete aspettare ancora un po’ per il post libresco. Oggi segnalo, invece, quel che scrive Giovanna Cosenza sul suo blog e su zeroviolenzadonne.it. In particolare, l’ultima parte:

Dunque, come uscire da questa impasse? Credo che alle manifestazioni di protesta vada aggiunto un lavoro minuzioso e attento sulla comunicazione. Su tutti i media, in tutti gli ambienti, tutti i giorni. Il modo migliore per corrodere la comunicazione è usare le sue stesse regole. Specie se si vogliono raggiungere le masse e ottenere risultati duraturi.

Inventiamo campagne di contro-pubblicità, per esempio. Che siano davvero intelligenti e nuove. Originali. Non ripetitive fino alla noia, tutte seni e sederi. Un po’ quello che su altri fronti fanno gli Adbusters, ma in modo meno intellettualistico di loro, più mirato al grande pubblico.

Ancora più facile: inventiamo campagne che giochino sul corpo maschile. E non mi si obietti che la pubblicità già lo fa, perché esibisce pure corpi maschili. Attenzione: i bei ragazzi della pubblicità – comunque meno delle ragazze – alludono spesso al mondo gay. Ma nessuno gioca su quei corpi come fa TTTLines con le donne. Io invece penso a campagne rivolte a tutti, con questo obiettivo: scherzare col corpo maschile, metterlo alla berlina. Come da sempre si fa con quello delle donne.

Ma invertendo i ruoli, una buona volta.

 Cade a proposito: in una breve chiacchierata telefonica, ieri, Lorella Zanardo ed io ci stavamo appunto chiedendo cosa fare, in un momento in cui l’attenzione sull’argomento è alta, senza cadere nel frame altrui. E’ un ottimo suggerimento.

17 pensieri su “CREARE UN TAVOLO DOVE NON SI BARA

  1. “Senza cadere nel frame altrui” è difficile, però o si impara a fare questo – e non so come – o si rimane impantanate. Dobbiamo diventare furbe.

  2. Non lo so ci ho mille scetticismi.
    Non è che finisce a
    – faccia da carota
    – faccia da zucchina
    – facccia da cetriolo
    ….
    Cioè a una serie di insulti reciproci che non portano a un salto di consapevolezza?
    Mi chiedo

  3. Non mi convince l’idea che si giri la frittata, viva dio, non me ne può fregare di meno se qualche uomo viene messo alla berlina al pari delle donne, ma l’obiettivo da raggiungere dovrebbe secondo me eludere scene simili usate contro il mondo femminile. Oppure lo si faccia ad entrambi nella medesima pubblicità. O si trovi strade meno vituperanti.
    Va tanto di moda turlupinare eh?
    Mi sovviene un nome…

  4. ” scherzare col corpo maschile, metterlo alla berlina. Come da sempre si fa con quello delle donne. Ma invertendo i ruoli, una buona volta.”
    Neppure io su questa cosa sono d’accordo. La penso come Zauberei e Sulromanzo.

  5. Ovvero la pubblicità che utilizza il corpo, nel modo in cui la utlizza, è un frame.
    La specularità non è una soluzione.
    Scusate, oggi mi trovo a riformulare quello che leggo per capire bene le cose, spero sia solo l’effetto del caldo, e non un rincretinimento precoce.

  6. Be’, che dire?
    Forse vi sembrerà strano, ma sono d’accordo sia con Zauberei che con Sulromanzo e Valeria.
    Certo, la specularità NON è una soluzione. Fare agli altri quello che non vorremmo fosse fatto a noi stesse NON è una soluzione. Diciamo piuttosto che può essere una leva per pensare, per provocare. Per attirare l’attenzione.
    Proporre di fare ai corpi maschili una piccola parte di ciò che di solito si fa a quelli femminili (una piccola parte, eh, niente volgarità!) può servire, dal mio punto di vista, a queste cose:
    (1) innanzi tutto a riflettere per benino su quanto ciò sia difficile: come si fa ridicolizzare il corpo maschile in modi che non finiscano a carote e zucchine? E’ un problema, appunto. (E perché con le donne è invece facile? E perché non si dovrebbero trovare modi inteligenti e “di massa” per farlo con i corpi maschili, senza strizzare l’occhiolino al mondo gay?);
    (2) questa rilfessione dovrebbe servire a cercare ruoli alternativi per tutti, non solo a ridicolizzare i corpi maschili: maschi femmine omosessuali e tutto il variegato mondo del gender;
    (3) se smuovi in una direzione, cominci a smuovere tutto il sistema: non ce la facciamo a smuovere la rappresentazione del corpo femminile? tentiamo con quello maschile;
    (4) se smuovi giocando alto, tiri in alto anche il resto.
    Non è per rimandarvi al mio blog, scusatemi, ma Annamaria Testa ha fatto oggi un commento lucidissimo e utilissimo – da grande professionista della comunicazione e della pubblicità quale lei è.
    Vi invito a leggerlo. E’ un complemento indispensabile alle riflessioni che stiamo facendo qui.
    Grazie per l’inteligenza e la passione che ci mettete parlando di queste cose, grazie davvero a tutte e tutti.
    Ciao
    Giovanna

  7. Penso che quando un’azienda utilizza il corpo delle donne come ha fatto la TTTlines debba essere investita da un mare di proteste (mail, lettere, telefonate) da parte di donne e (perchè no) uomini, che promettono di non utilizzare più i loro prodotti. Cosa ci costa mandare una mail per dire la tua ultima pubblicità mi offende e cercherò di non comprare più i tuoi prodotti fino a quando non smetterai di ricorrere a questi trucchi per attirare clienti?
    Ciao
    Ale

  8. Ho lasciato da Giovanna Cosenza questo commento:
    I punti 5) e 6) del contributo di Annamaria Testa sono illuminanti. Non si modifica la percezione del corpo femminile tette-e-culi se non si modifica l’immaginario all’interno del quale il corpo viene mercificato. Non sto parlando dell’immaginario del corpo: parlo dell’immaginario tout court. È un lavoro di lunga durata, per il quale è fondamentale costruire reti e alleanze trasversali. Prima o poi (più prima che poi) bisognerebbe cartografare le realtà già impegnate in questo lavoro, per avere una visione più precisa e consapevole delle strategie, dei risultati, degli spostamenti. E, al tempo stesso, cartografare le strategie di questo “friendly fascism” (rubo l’espressione ai Consolidated, sperando che qualcuno se li ricordi ancora) che si spande senza apparenti legami dal Grande Fratello ad Arisa, fino alle poppe in alto mare.

  9. Mi si è piantata in testa una canzone leggendo questo post è stato:
    “gli spermatozoi, l’unica forza tutto ciò che hai”…
    E’ difficile ridicolizzare il corpo maschile ma bisogna tentare. Sono d’ccordo con Giovanna nei tre punti spiegati prima.

  10. Sono molto d’accordo con Anna Maria Testa, e proprio per questo mi trovo poco d’accordo con Giovanna Cosenza, anche se ne capisco le intenzioni.
    Riformulo e magari forse tradisco quello che ha scritto Anna Maria Testa, ma per me il discorso è questo.
    L’immaginario femminile, per quanto possa sembra settoriale e specifico, fa parte di un immaginario più ampio, culturale sociale e politico, entro il quale diventa accettabile, anzi gradevole, la mostra di cosce tette e culi così come vengono esposti in quantità industriale sui media.
    Da quello che sembra a me, questo immaginario si serve di un linguaggio molto semplificato, sia a livello verbale che iconico. Poche le figure retoriche, quella principale mi pare essere la sineddoche, ovvero nominare o esibire una parte per significare il tutto.
    Capita poi, inevitabilmente, che a furia di sineddoche si finisce per identificare il tutto solo con quella parte.
    E questo non accade solo con le donne, ovviamente.
    Ora questo per me, donna, è estremamente umiliante.
    Vorrei allora sapere perché diavolo, non condividendo quell’immaginario, quella prassi e quella politica, dovrei utilizzarne gli stessi strumenti linguistici per difendermene.
    Io sarei molto attenta all’uso ironico del linguaggio, al parlare tra virgolette, al dire ammiccando… sono trappole.
    Rimando come al solito a Wu Ming 1 e al suo saggio su Troy di cui ora non ho tempo di trovare il link (ma ne abbiamo già parlato su questo blog) e al discorso sullo stile che fa Pascale.
    Insomma non possiamo criticare qualcuno utilizzando il suo stesso linguaggio, pena diventare, come dice Pascale, tecnicamente fascisti.
    Per il momento chiudo qui ma il discorso è piuttosto complicato.
    Segnalo, perché insieme ad Anna Maria Testa c’era anche Nicla Vassallo a parlare di queste cose a Fahrenheit, il libro ‘Donna m’apparve’ (Codice), che da quello che ho letto sulla scheda bibliografica dovrebbe essere molto interessante e anche utile per questo discorso.

  11. MA CHI LA PAGA QUESTA PUBBLICITA’ “ALTRA”?
    Scusatemi questo piccolo tonfo al lato pratico delle cose, ma chi si occupa di pubblicità sa bene di quanti zeri significa parlare di pubblicità. Sia per produrla che per metterla in circuito (manifesti, spot televisivi, pubblicazione sui giornali).
    Secondo me è molto importante iniziare a mettere in circuito proteste mirate. (Si veda il protocollo di Ico Gasparri). Personalmente ho vinto una piccola grande battaglia a Napoli nel 2000. La pubblicità era di Radio Kiss Kiss, nei manifesti 6X3 una bella ragazza (Miss Messico 1996 scoprimmo), stava a gambe divaricate con una radio in mezzo alle gambe. Lì. Il layout diceva: kiss kiss me baby. Iniziai con una mail, indirizzata alla radio, dicendo che non avrei più ascoltato la radio. Poi la mandai a tutti quelli che conoscevo, più tutte le mail reperite in rete delle associazioni femminili. Due giorni dopo il Mattino fece un articolo: “Le gamabe? Sono le antenne della radio” (aaahhh). Poi la denuncia delle associazioni femminili napoletane. 20 giorni dopo la pubblicità era stata ritirata. (Già in “Pubblicità con giudizio”, 40 anni di attività dello IAP).
    1° problema : quanta pubblicità ulteriore si fa alla pubblicità?
    Se cercherete la mostra di cui sopra, scoprirete anche anche alcune idiozie al maschile.
    2° problema: gli artt. del Codice di Autodisciplina (ma quale AUTOdisciplina, mi viene da chiedere) a cui appellarsi sono l’art. 9 e il 10.
    Nel 9 il passaggio fondamentale dice “secondo il gusto e la sensibilità dei consumatori”. Prima si pubblica, i/le consumatori/consumatrici si indignano, denunciano, quindi si ritira.
    Sicuramente ci sono molti altri aspetti che vanno approfonditi.
    PROPOSTA: perchè non facciamo come la meute (si veda http://www.lameute.fr) che istituisce il premio per la pubblicità meno sessista e anche più sessista?
    Ci sono anche pubblicità diverse, per esempio quelle che fa la Dove (anche qui si vedano gli spot pubblicati su http://www.perlabellezzaautentica.it)
    EPPOI, RIPRENDENDO IL POST DI LOREDANA: COME LA METTIAMO CON L’IMMAGINE DELLA DONNA IN TV? – Ossia del fantastico lavoro di Lorella Zanardo. (al maschile qualche esempio mortificante direi che c’è già….)
    Grazie a Loredana, a Giovanna Cosenza, ad Annamaria Testa a Lorella Zandardo, a Zeroviolenzadonne e a tutte e a tutti quelli che stanno portando avanti questo discorso.
    a presto!
    Maria Chiaramonte

  12. Secondo me quella indicata da Maria Chiaramonte è una strada percorribile.
    Se l’alibi dietro cui si trincera certa pubblicità e certi media è che ‘il popolo lo vuole’, ‘il popolo che non lo vuole’ deve farsi sentire.
    Bisogna segnalare con forza che c’è un gusto e una sensibilità dei consumatori che non coincide con quella immaginata dai pubblicitari.
    E la domanda che mi faccio è: su quale base i pubblicitari si fanno questa immaginazione? Posso pensare a ricerche di mercato, focus group, ecc. ecc. Possibile che il target a cui loro si riferiscono esprime nella maggioranza quel gusto e quella sensibilità?
    Che poi non dovrebbe trattarsi di target di nicchia, visto che la maggior parte della pubblicità, dall’auto al detersivo, è sessista e per fare quel tipo di pubblicità le aziende spendono un sacco di soldi. E non credo che spendano un sacco di soldi per gratificare il delirio solipsistico dei pubblicitari.
    E dunque se aggredire quell’immaginario di massa in modo diretto non è possibile, bisogna mettere a punto strategie di nicchia e lavorare in modo trasversale su tutti i fronti possibili e immaginabili.

  13. Il discorso sul “da farsi” mi lascia smarrita, sinceramente non saprei da dove cominciare. Ma so che bisogna cominciare e soprattutto continuare. A fare che? non lo so. Temo pessimisticamente che la società sia troppo impelagata in certi meccanismi per poterne uscire facilmente, a colpi di firme o video…eppure, non possiamo stare con le mani in mano.
    Valeria, fai bene a citare il libro curato da Vassallo, per l’appunto incentrato sulla questione pluralismo “femminile”. Peccato però che il libro manchi del capitolo specifico”le donne nei media” (Se t’interessa ci ho fatto una recensione sul mio blog o su recensionifilosofiche.it).

  14. Se invece della Chiabotto, quello spot minerale avesse usato un biondo ariano palestrato per cercare di mettere in ridicolo un omino grassottello, bollandolo come inferiore, m’avrebbe offeso, e fatto incazzare lo stesso.
    Sarebbe stato ugualmente nazista.
    E neanche originale: il corpo maschile viene ridicolizzato da sempre, avete presente Fantozzi?

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