Proviamo a partire da qui. Due giorni fa un’associazione di consumatori invia via mail una fotografia. Automobili in doppia fila davanti a qualche negozio (un macellaio, una piccola rivendita di abiti per donne e per bambini, una tabaccheria, un baretto). Cosa tuonano quei consumatori?
“Questa è via Filippo Meda, una qualsiasi via romana, in una qualsiasi giornata di luglio (ma potrebbe essere anche ottobre) ad una qualsiasi ora del giorno. Via Filippo Meda è una via a doppio senso di marcia. Un senso di marcia, quello che va da via Monti Tiburtini a via dei Durantini, è in parte corsia preferenziale. Arteria di passaggio importante per il 544.
La conoscono molto bene, quindi, autisti di mezzi pubblici in generale (ATAC, AMA, TAXI, AUTOAMBULANZE): via Filippo Meda è un vero calvario.Un calvario per il normale passaggio di un mezzo pubblico che fatica a farsi largo e che, spesso, è costretto all’attesa di chi, “soltanto per un caffè” ha deciso di parcheggiare in doppia fila esattamente davanti al “baretto di fiducia”. Poco importa se, a qualche decina di metri, Roma Capitale ha costruito decine di parcheggi sempre, tristemente vuoti. In questa maniera qualche decina di persone aspetta. Aspetta un autobus che tarda a passare per colpa … di un caffè”.
Bene, si dà il caso che io conosca benissimo quella via qualunque perché è la via dove da lustri vado a comprare le sigarette e il petto di pollo e i pomodori, visto che abito proprio a via dei Monti Tiburtini. Un tempo periferia assoluta, oggi semi-quasi-vicina-a-essere-centrale. Ignorata, comunque, se si esclude un breve momento di gloria quando Paolo Repetti decise di inserirla nel suo romanzo scrivendo che abitare in una strada con un nome così brutto, e con quella sgradevole “u” di “Tiburtini”, era più o meno degradante.
Di fatto, abito nella via col nome brutto da quando avevo quattordici anni. I parcheggi a qualche decina di metri tristemente vuoti non ci sono affatto. C’è un garage a pagamento, in compenso. Via Filippo Meda è a doppio senso di marcia, con corsia preferenziale per i bus, da relativamente poco tempo. E la decisione è sembrata incomprensibile a tutti: perché il tappo non si crea tanto per quelli che parcheggiano in doppia fila, ma per i mezzi che scaricano merci per i negozi, antica e non risolta questione di tutta la capitale.
Perché è interessante il comunicato dei consumatori? Perché evidenzia una falla dimenticando di aprire questioni più dolorose per il quartiere. Ovvero: come mai la fermata del bus su via dei Monti Tiburtini, già prevista all’esatto corrispettivo di quella di fronte, con tanto di slargo già predisposto e panchine per l’attesa, è da subito stata collocata più indietro, di fronte alla più nota e prospera pizzeria a taglio che infatti funziona benissimo, a forza di fornire supplì ai disperati che aspettano, e poco importa che il marciapiede sia stretto e che ci si debba far largo strisciando come un ninja? E ancora: chi ha dato permessi e licenze a esercizi commerciali spuntati come funghi nella campagna che c’era quando io sono venuta nella via col nome brutto, quattordicenne, e che erano stati subito riconosciuti come abusivi e poi, vabbè, pazienza? Chi sta gestendo i monumentali lavori per lo Sdo e come (rileggere Antonio Cederna, grazie)?
Se non vi siete annoiati a leggere le beghe di un quartiere poco significativo come Pietralata, forse da questa vicenda è possibile evincere un modo di procedere e di informare che si può estendere alle sconcertanti polemiche di questi giorni. Perché invece di fotografare l’immondizia sotto casa, magari un paio di domande in più sull’Ama (e sull’Atac) andrebbero fatte. Perché va bene il quotidiano americano che si indigna, ma qui le ragioni per indignarsi risalgono all’era di Franco Carraro, se proprio vogliamo dirla tutta. E se per un decennio ci è stata data l’illusione che le cose fossero risolte con le famose fioriere di piazza Bologna (Veltroni sindaco: comunicato stampa sul collocamento delle fioriere e la riqualificazione della piazza, senza però che fosse stata collocata una pensilina anti-caldo e anti-pioggia al capolinea dei bus), be’, non era vero. Perché ci è voluta Mafia Capitale per portare alla luce almeno una parte delle lunghe connivenze che hanno fatto sì che ci trovassimo in queste condizioni. E, certo, la rassegnazione (e spesso i piccoli interessi) di noi romani.
“Sappiamo che i padroni di Roma non amano comparire, preferiscono
invece nascondere i loro interessi particolari sotto le più nobili fole (tradizione, romanità, diritto, eccetera): e che chi combatte le loro pretese conduce una polemica «viziata» (oibò) dalla politica. Loro, di
politica non ne fanno mai: si limitano a coltivare il loro orticello, cioè a far fruttare al massimo, senza far niente, i loro terreni, accaparrandosi indebitamente una rendita creata dalla comunità. (Antonio Cederna, 25 dicembre 1962)